Umiltà, ricerca e dialogo: la lunga vita di mons. Tuni

È ritornato serenamente alla casa del Padre, giovedì 24 gennaio, monsignor Ennio Tuni. Originario di Moraro, classe 1927, fra qualche giorno avrebbe celebrato sessant’otto anni di vita presbiterale. Da alcuni mesi si era trasferito nella Casa sacerdotale a Gorizia da Campolongo; pochi giorni di malattia e il ricovero all’ospedale di Gorizia dove ha concluso le sue giornate di vita sulla terra.L’annuncio della scomparsa ha avuto luogo in mattinata: è stata l’arcivescovo Redaelli che interrompendo i lavori del consiglio presbiterale – presenti una sessantina di sacerdoti – ha comunicato l’annuncio. Lunghi momenti di silenzio per esprimere la commozione e la ammirazione verso il sacerdote che ha fatto dell’umiltà e della semplicità, della ricerca e del dialogo i tratti più salienti della sua esistenza di uomo e di sacerdote.Moraro era, e don Ennio la sentiva, come la patria di origine della sua famiglia con tanti fratelli e sorelle. Dopo il seminario minore e gli studi teologici fra il 1947 ed il 1950, quando – era il 28 gennaio 1950 – aveva ricevuto l’ordinazione sacerdotale per le mani di monsignor Carlo Margotti. Cappellano del Duomo – insieme ad una schiera di sacerdoti come monsignor Tarcisio  Nardin, l’amico fraterno don Luigi Marcuzzi e don Casimiro Humar – aveva esercitato il ministero sotto la guida di monsignor Luigi Velci parroco del duomo. Insegnamento scolastico, servizio a diverse associazioni e all’Unitalsi in particolare; a metà degli anni cinquanta era anche insegnante di lettere al seminario e per quasi dieci anni insegnò latino e italiano, storia e geografia fino al liceo.Nel 1962 don Tuni ebbe la nomina a parroco di Terzo di Aquileia; nel 1966 quella a parroco decano di Aquileia e nel 1969 la nomina a rettore del seminario arcivescovile diocesano e, successivamente, è stato segretario del consiglio presbiterale, vicario generale della diocesi e assistente diocesano dell’Azione cattolica. Anni intensi di collaborazione con l’arcivescovo Pietro Cocolin del quale don Tuni era amico e interprete sincero con dispiegamento di tutte le sue energie. Coraggio e capacità di lettura dei tempi, passione per l’uomo e per la Chiesa, dedizione totale in vista anche di accompagnare le intuizioni conciliari con una serie di riforme della chiesa diocesana. La sua mano, e la sua intensa partecipazione, è riconoscibile nelle iniziative pastorali, nelle intuizioni profetiche e nella prassi pastorale; come anche nella gestione della diocesi e nella collaborazione intensa con il mondo laicale. La costituzione dei consigli presbiterale e pastorale, la riforma della curia – dove egli, in un angolo, era il moderatore -, la convinta collaborazione missionaria in Africa con la chiesa di Bouakè in Costa d’Avorio, il rinnovamento della catechesi, la valorizzazione del laicato e la presenza della chiesa nella cultura; la valorizzazione della stampa diocesana; la collaborazione fraterna con la comunità slovena riconosciuta e valorizzata: sono stati tanti i molteplici e delicati campi di intervento e di servizio che il sacerdote ebbe a guidare senza enfasi e con discrezione. Progetti e interventi non sempre facili come il trasferimento del seminario e la chiusura dell’edificio di via Alviano; la ricerca di dare contenuto e forma alle nuove esigenze della pastorale nella prospettiva dell’attuazione del Concilio.Nel 1983 il trasferimento a Campolongo: don Tuni – non riconoscendosi in un cambiamento di linea dopo la scomparsa dell’arcivescovo Pietro Cocolin – accettò di continuare a servire il popolo di Dio e la diocesi come parroco di Campolongo. Trentaquattro anni di servizio – con alcune responsabilità – in silenzio ed umiltà. La malattia che gli tolse la voce è stata accolta e sopportata con straordinaria dignità: una testimonianza di libertà e di linearità spirituale. Ricco dell’amicizia di tanti estimatori, degli ex-alunni, di persone che egli ha avuto modo di seguire nella formazione e nella vita. Umiltà e silenzio che hanno reso ancora più prezioso il suo servizio e che ha condiviso con la gente di Campolongo e poi di Tapogliano. Sempre presente agli incontri dei sacerdoti, ha garantito al corpo presbiterale il dono dell’esempio vissuto e la sapienza di una vasta cultura alimentata da letture appassionate. Era ed è rimasto l’insegnante oltremodo severo che ha consentito ai suoi alunni di imparare e di godere dell’amore per i classici e per le belle letture. Ha conservato fino all’ultimo il gusto della semplicità della vita, il rigore della povertà e nello stesso tempo è stato felice negli incontri e libero: una libertà di pensiero e di azione che aveva due centri: appunto il dono della libertà dei figli di Dio e della centralità della coscienza. Nella politica e nella vita.Educatore in nome dell’autonomia e della responsabilità, ha amato e vissuto la Parola di Dio con entusiasmo e con competenza, non avendo scrupolo di ascoltare e di misurare con il silenzio; aiutando a fare sintesi su quello che veramente è centrale nella fede e non disperdendo niente di quello che gli pareva indispensabile. Ha creduto in una fede da cristiani adulti, sempre in piedi. Fedeli e non solo obbedienti, liberi perché liberati.L’invito a credere fortemente si accompagnava al rispetto per la ricerca, il confronto con il dialogo e la condivisione, la corresponsabilizzazione delle persone con la determinazione della fedeltà: sapeva consigliare rispettando le scelte ma chiedendo l’essenzialità ed il servizio della responsabilità. Don Tuni è stato fedele a quell’impegno che, insieme, un gruppo di alunni teologi del seminario, si assunsero alla fine degli anni quaranta: essere prima uomini e cristiani e dopo italiani, sloveni, croati, friulani. Ha mantenuto la parola, data davanti alla Madonna del santuario di Montesanto, a lui e a tanti “goriziani”, caro per tutta la vita. La sua vita è in benedizione a testimonianza di un clero e di una chiesa viva, la chiesa goriziana. Un grazie a chi gli è stato amico, voce apprezzata e collaboratore ministeriale fino alla fine. La signorilità è stata la sua dimensione quotidiana e il suo modo di essere. Ha avuto la gratitudine del sindaco e della gente della comunità do Campolongo e di Tapogliano nella quale ha voluto essere inumato in attesa della resurrezione.