Sogno una Chiesa che scandalizzi con i suoi gesti di misericordia

Non è facile parlare di Chiesa perché normalmente, quando lo facciamo, pensiamo immediatamente a qualcuno che abita in qualche palazzo e deve decidere le sorti di tutti gli altri. Quando parliamo di Chiesa dobbiamo parlare di noi: io devo parlare di me a me; voi dovete parlare di voi a voi perché noi siamo Chiesa! E la Chiesa sarà quello che vogliamo: ognuno di noi è chiamato a fare la sua parte: nei mosaici della basilica di Aquileia vediamo come migliaia di piccole pietre messe insieme hanno fatto nascere immagini capaci di parlarci persino di realtà più grandi di noi. Quindi tutti noi siamo Chiesa, e questo è il punto di partenza: non si tratta di dire cosa devono fare gli altri ma di ricordarci cosa dobbiamo essere noi.Parto da un’affermazione di Papa Francesco: “La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole” (Misericordiae Vultus). La Chiesa – e quindi noi – è Chiesa di misericordia non perché fa la carità ma perché è carità. Sant’Ignazio nei tempi antichi non avrebbe detto: “la Chiesa che c’è a Gorizia, la Chiesa che c’è ad Agrigento…” ma “la carità che c’è a Gorizia, la carità che c’è ad Agrigento…”: se non identifico la Chiesa con la carità ciò a cui mi sto riferendo può essere tutto ma non è la Chiesa.La Chiesa è carità perché deve essere sempre pronta a compatire, a condividere, a compartecipare più che a dare cose. Noi veniamo da un tempo in cui quando si parlava di carità si parlava di elemosina. Raoul Follerau paragona l’elemosina all’osso lanciato al cane. La carità non si misura su quello che io do ma su quello che io mi tolgo. Una Chiesa che è carità misura la propria carità sulla base di quello che riesce a togliersi per darlo agli altri. È Chiesa di misericordia – e qui basta sfogliare le pagine di papa Francesco – perché esce dai recinti delle persone pie e buone per andare nelle periferie esistenziali e geografiche. Una Chiesa che non vuole uscire, che preferisce i suoi ambienti, che ancora non ha un cuore che batte di misericordia: la Chiesa non si organizza ma si genera e la generazione normalmente è frutto d’amore. La Chiesa che è Chiesa di misericordia preferisce i luoghi visitati e preferiti da Gesù: le strade, i pozzi, le case… Gli incontri più importanti, più veri, quelli che di lui ricordiamo, belli e meno belli, Gesù li ha fatti per strada. Lui ha potuto dire e parlare del Padre perché lungo le strade si è soffermato ed  ha fermato le persone: quando compiva i suoi gesti metteva sempre in contatto la persona con il Padre dell’amore e della misericordia.La Chiesa è Chiesa di misericordia perché facendosi povera – e questo è un passaggio obbligato – sceglie il povero anziché il ricco Epulone.Noi non possiamo scegliere da che parte stare. Se voglio stare dalla parte dei poveri non lo faccio per una mia scelta, magari perché sono una persona buona, ma mi è stato detto che come credente devo stare sempre lì dove mi ha schierato Gesù. Non siamo liberi di scegliere ma siamo obbligati a scegliere il povero: se non lo facciamo, non stiamo seguendo Gesù. Come credenti dobbiamo continuare a guardare Gesù povero: la povertà è anche un fatto teologico ed io incontro Gesù nella misura in cui lo vedo povero e mi avvicino a lui perché povero.

Dobbiamo essere Chiesa di misericordia perché una società come quella in cui viviamo, ammaliata dal potere e che costruisce tutto sul calcolo finanziario ed economico, non solo crea i poveri ma addirittura li coltiva salvo, poi, toglierseli di mezzo perché danno fastidio. Sono stato poco tempo fa al Consiglio europeo di Bruxelles. La cosa triste è che mi è stato detto con tanta semplicità e chiarezza che l’Europa non può fare delle scelte di accoglienza in tema di immigrazione perché, se lo volesse fare, tutti i Paesi dovrebbero pensare allo stesso modo: prima, però, che tutti si mettano d’accordo passeranno anni. Mi hanno detto poi: “Se ci viene chiesto del denaro noi possiamo darlo ma mettere al centro l’uomo non è nella logica europea”. Una società che mette al centro il denaro crea sempre gradini: basta che io abbia magari solo 10 euro più di voi e sono più fortunato di voi che mi guardate con invidia. Se vogliamo costruire una società diversa, i parametri sono altri. È assurdo, però, osservare che oggi i poveri stanno aumentando mentre i ricchi diventano sempre più ricchi e ciò che regola i rapporti sono soltanto l’economia e la finanza.Qualche anno fa, il Fondo monetario internazionale ha sottolineato che nel mondo c’erano un miliardo e 300 milioni di “esuberi”: vuol dire che se tutta questa gente scomparisse ci “farebbe un favore”. Ma io mi chiedo: perché debbono scomparire gli africani, gli asiatici e non dobbiamo scomparire noi? Perché siamo noi a decidere la sorte degli altri e non ci mettiamo in ballo pensando che anche noi potremo essere quell’esubero?

Per parlare di una Chiesa che è misericordia dobbiamo parlare di Dio. Questo Dio che è inquietante e scomodo; un Dio che ha scelto di stare tra noi, con noi, anzi è uno di noi. Dice monsignor Bello: “Uno di noi è Gesù”. Sottolineo la parola inquietante perché un Dio inquietante non poteva non pensare ad una Chiesa inquieta; perché la Chiesa è la continuazione di ciò che ha fatto Gesù; è Gesù presente oggi.

Il fatto che Gesù si sia fatto uomo ci ha messo nei pasticci. Un Dio che se ne sta in cielo, in mezzo alle nuvolette, lo si può accontentare con poco: recito qualche preghiera, faccio qualche elemosina, quando posso vado a messa…E lui deve accontentarsi perché gli sto dando quello che sento di dargli.Un Dio, però, che si fa uomo diventa inquietante perché da Betlemme in poi lui ha la faccia di uomo: e Lui, come tanti uomini, ha fame, ha sete, è solo, è senza vestiti, piange anche. A noi da fastidio un Dio che piange ma se leggiamo bene il Vangelo troviamo che spesso piange.Quando siamo andati al catechismo ci hanno detto che noi dobbiamo pregare Dio. Nel Vangelo, però, si parla di un Dio che prega l’uomo: quando il figlio maggiore non vuole entrare in casa al ritorno del fratello, il padre si avvicina e lo prega perché entri in casa a fare festa. Ecco perché è un Dio piacevolmente “strano” perché, improvvisamente, ce lo possiamo trovare fra i piedi. È un Dio che ci spiazza e scandalizza perché lo vediamo parlare con la Samaritana e con l’adultera o entrare nella casa di Zaccheo; anziché fare una predica al figlio che aveva sbattuto la porta e se n’era andato, gli prepara una festa e vuole che anche gli altri vi partecipino. È un Dio “strano”: “quando lo cerchiamo nel tempio, Lui si trova nella stalla; quando lo cerchiamo tra i sacerdoti, si trova in mezzo ai peccatori; quando lo cerchiamo libero, è prigioniero; quando lo cerchiamo rivestito di gloria, è sulla croce ricoperto di sangue” (Frei Betto). Con questo Dio abbiamo a che fare e dall’Incarnazione tutto è diventato sacro, cioè degno di Lui: non solo il tempio, la chiesa ma anche la baracca, la strada, l’ospedale, il barcone, l’emarginazione, la prigione. Questo significa che non troviamo Dio soltanto nelle chiese, avvolto da quel fumo d’incenso che a noi piace ma che, da quanto ha fatto scrivere nella Bibbia, non è che lui gradisca tanto anzi qualche volta gli da pure fastidio (“sono stanco dei vostri riti”): quello che a Lui interessa sono la vedova, l’orfano, l’anziano. Questo Dio io lo posso trovare anche nella stiva di un barcone di immigrati. Per noi, molte volte, immigrato fa rima con terrorista o delinquente. Aprendo a Lampedusa – per la foto di riconoscimento – i sacconi neri che contenevano i cadaveri dei morti annegati nel naufragio del 3 ottobre 2013, si vide che molti avevano in bocca un crocifisso o una medaglietta: erano morti pregando. Nella stiva, i sommozzatori hanno trovato qualcuno di loro morto a mani giunte ed in ginocchio.Mi confidava uno dei pescatori che per primi si erano mossi per soccorrere quel barcone: “Don Franco, è brutto vedere un mare pieno di teste!” E proseguiva: “Mentre ne tiravo una sulla barca vedevo altre che andavano a fondo. Ma la cosa che più mi ha impressionato è scorgere due uomini che, prima di andare a fondo, si sono abbracciati e sono andati giù insieme”. Ed una mamma, nel momento del naufragio, ha messo al mondo un bambino o una bambina: li hanno trovati, morti, ancora uniti dal cordone ombelicale. Questi sono per noi i terroristi!

Questa è la realtà a cui dobbiamo vedere. Quel barcone, quella nave, quel molo erano i luoghi in cui Dio era presente in quel momento e là lo trovavo. Non perché, con la mia fantasia, penso che potrebbe stare in quel luogo ma perché Lui ha detto: “Ogni volta che ero carcerato, che ero affamato, che ero pellegrino… io c’ero e ci sono”. Anche se io non lo riconosco.Dio lo posso trovare in mezzo a tutti quelli che stanno morendo di sete in Africa oppure coinvolto nel traffico dei minori (perché Lui potrebbe essere uno di quei bambini) oppure, addirittura, scelto per fornire i propri organi sani ai nostri bambini (sono tanti i minorenni che scompaiono quando arrivano sulle nostre coste dall’Africa: ci chiediamo dove possano essere finiti ma sappiamo bene che qualcuno verrà utilizzato per dare gli organi ai figli della gente “civile”). Gesù lo posso trovare mentre lavora nelle miniere o mentre cuce scarpe per pochi centesimi al giorno oppure potrebbe essere uno di quei bambini che si devono offrire per fare piacere alla gente “civile” che va a fare turismo sessuale in certe terre. Potrei trovarlo fra i liquami delle nostre periferie oppure ricoverato in un ospedale del Terzo Mondo dove si muore per una febbre che potrebbe guarire con un antibiotico.Ecco perché il nostro è un Dio inquietante: perché noi non l’avremo mai messo in quei luoghi. Eppure Lui lì c’è.

La Chiesa, noi, siamo la continuazione di Gesù oggi. Noi siamo Gesù che oggi opera in questa società.Papa Francesco sottolinea che ormai la logica del Vangelo bisogna concepirla come un’ottica capovolta: gli ultimi diventano i primi ed i primi ultimi.Dice Chiara Lubich che la Dottrina sociale della Chiesa iniziò quando Maria cantò il Magnificat. Qualche esegeta ci invita a valutare bene l’”Eccomi!” di Maria: è un “Eccomi” convinto di una donna che, pur non capendo gran che di quello che le veniva proposto, sente che è Dio a chiederle qualcosa. Ed a quella richiesta risponde: “Io ci sono. Su di me puoi contare!”. E così, quando incontra Elisabetta, non canta soltanto la lode del Signore ma aggiunge che la rivoluzione è iniziata perché tutto quello che era stabilizzato in una certa maniera ora sta cambiando. E Maria lo canta perché si sente protagonista di questa storia.Ma, oggi, Dio, attraverso cosa parla? Lo fa attraverso la “mano” della Sua Chiesa: quella Chiesa che, se veramente continua la Sua storia, non può non essere “scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani”. Noi siamo una Chiesa che cerca sempre di mettersi a posto la coscienza. E tante volte riusciamo ad addormentare la nostra coscienza e quella degli altri.Il Signore ha scorso la nostra coscienza tante volte scandalizzandoci con i Suoi gesti d’amore. Lui mangiava e beveva coi peccatori e non si è posto il problema di trovarsi vicino al pozzo a parlare con la Samaritana anche se si scandalizzavano e ripetevano che quelle cose non andavano fatte. Eppure lui ha continuato a farle suscitando uno scandalo insopportabile.Oggi dovremo essere uno scandalo per quelli che ci guardano: uno scandalo d’amore.Diceva monsignor Romero: “Non avvicinarsi al mondo è un peccato contro la propria identità”. Noi pensiamo che dirsi cristiani sia sufficiente ma se gli altri non si accorgono che lo siamo è un problema: un cristiano anonimo non può esistere; un cristiano si deve avvertire. Per questo Paolo dice: “Siate il profumo di Cristo”. Se questa stanza fosse al buio e voi conoscete me e sapete che io uso un certo tipo di dopobarba, se voi non mi sentite entrare e non mi vedete, nel sentire quel profumo direte: “È entrato don Franco!”. Il cristiano si deve notare altrimenti non c’è. Diceva Paolo VI: “La Chiesa è chiamata a dare un’anima alla società moderna… E quest’anima la Chiesa deve infonderla non dal di sopra o al di fuori, ma passando al di dentro, facendosi prossima all’uomo d’oggi”.

L’uomo d’oggi non è una distrazione per me che voglio vivere la mia fede nella maniera migliore: il Vangelo dice, infatti, che io posso incontrare Dio solamente quando percorro la strada degli uomini. Allora la Chiesa deve essere “estroversa”, accogliente, in uscita, “senza pareti e senza tetto” (come diceva monsignor Tonino Bello); una Chiesa aperta a tutti, capace di accogliere tutti, “fontana del villaggio” (secondo l’espressione cara a papa Giovanni XXIII). Una Chiesa che è scandalo per chi la sogna sull’Olimpo. Essa scopre se stessa nella misura in cui si trova “fuori di sé”. La Chiesa o è missionaria o non è nemmeno evangelica (cfr. Giovanni Paolo II): per parlare delle missioni potremo parlare di strade non di sagrestie. La Chiesa è fedele al suo Sposo solo se e quando prende posizione nel mondo e per il mondo.

Sui giornali dei giorni scorsi si ricordava che l’1,2 per cento della popolazione detiene il 20 per cento della ricchezza italiana. Io vedo la gente della mia terra con le mani nei cassonetti a cercare pane per poter mangiare: non sto parlando degli africani ma degli agrigentini. E questi fatti non devono interrogarmi?È facile celebrare il rito ma se non ho riconosciuto Gesù alla porta io non posso adorarlo in chiesa. Oggi più che mai è necessario spostare il baricentro: la “trincea” dell’evangelizzazione non sta più nel cuore dei buoni cristiani ma nel cuore di ogni uomo che ha bisogno di qualcosa per sentire la dignità di esserci e per poter ascoltare la parola liberatrice del Vangelo. Dobbiamo convincerci che i lontani non sono quelli che non vengono da noi ma coloro che noi non avviciniamo. La lontananza non si misura da loro ma comincia da me. Forse dobbiamo imitare il diacono Filippo che camminava lungo la strada aspettando e sperando di incontrare qualcuno: qualcosa di simile deve essere accaduto anche per i Santi Ermagora e Fortunato che hanno perduto la vita per annunciare la Parola in un tempo in cui non si era liberi di farlo. Filippo quando vide passare il carro con l’eunuco fece il salto. Ad una Chiesa che non salta e che cammina soltanto manca qualcosa, forse proprio le ali. Nella Bibbia troviamo scritto che dobbiamo avere ali d’aquila. Che differenza fra le ali d’aquila e le ali della gallina: la gallina fa dei saltelli piccoli perché è portata sempre a guardare per terra mentre l’aquila sa guardare il sole ed è quello che le da la forza di volare.

La cosa più strana è che nelle nostre comunità noi deleghiamo l’amore. C’è la Caritas e la San Vincenzo ed ai poveri devono pensarci loro. Io porto sempre questo esempio: se fossi un ragazzo di vent’anni che incontra una bella ragazza di cui si innamora, cosa pensereste di me se io dovessi dire ad un mio amico: “Amala tu al posto mio”? E se fossi un papà potrei dire ad un altro papà di amare mio figlio al posto mio? Se c’è una cosa che non si può delegare è l’amore.Ma come mai noi, dopo avere celebrato l’Eucarestia, siamo capaci di dire che altri devono pensare ai poveri ed amarli altri al posto nostro? Se ci comportiamo in questo modo non abbiamo capito l’Eucarestia e stiamo facendo un passo sbagliato: stiamo delegando ciò che non si si può delegare. E questo non funziona! Ecco perché poi saranno i poveri a giudicare la nostra eternità: mi incontreranno e saranno loro a dire “vieni” o “vattene”. Perché il “gioco” con loro non è riuscito quando io mi preoccupo di dare a qualcuno i soldi purchè pensi lui ai poveri.Se volessimo cambiare le parole finali della celebrazione, la formula più giusta sarebbe quella evangelica: “va’ e fa’ anche tu lo stesso!”. Ogni volta che c’è l’Eucarestia, Gesù si fa a pezzi per ognuno di noi: è la Sua dichiarazione d’amore.Ogni volta che io vivo l’Eucarestia, anche se non vedo il gesto in sé, Gesù mi lava i piedi: in Giovanni non si parla dell’istituzione dell’eucarestia ma di Gesù che lava i piedi. Lui ogni volta che mi incontra mi domanda se può lavarmi i piedi. Noi celebriamo la messa per il conforto ma la messa è una “bomba” : Gesù dice che l’ha fatto per me ma ora tocca a me farlo per gli altri perché anche loro possano gustare la bellezza del vedersi lavati i piedi. Ma noi questo gesto lo deleghiamo. Immaginiamoci se Gesù avesse detto ai suoi apostoli: “Io dovrei lavarvi i piedi ma non ve li lavo perché sono il Figlio di Dio. Pensateci voi”.

Certe volte la chiesa per i cristiani diventa un rifugio ma un po’ alla volta può succedere che si trasformi in un ripostiglio dove si mettono le cose vecchie. Però quando le donne vogliono mettere a posto le cose, prendono quelle vecchie e le eliminano. Gesù vuol cambiare le cose di questo mondo ed ha noi che siamo la sua rivoluzione. Percorrere le sue strade significa essere capaci di scandalizzarci ma anche di scandalizzare gli altri. Noi siamo figli del vento e del fuoco: il vento quando passa scompiglia tutto ed il fuoco – ce ne stiamo accorgendo in questi giorni al sud – quando passa toglie tutto di mezzo. Se riusciamo a tenere tutto com’era, non siamo i figli della Pentecoste. La Chiesa c’è per camminare. Diceva monsignor Fallico: “Per noi credenti il tempio è la residenza, il domicilio è la strada”. Anche noi – come ha fatto Gesù – dobbiamo piantare la tenda dove l’uomo gioisce, piange, lotta, sogna perché la nostra preoccupazione – la stessa che hanno avuto i nostri Santi protettori – è che a nessuno manchi la parola di Dio, a nessuno manchi l’acqua che disseta, il pane che nutre, la carezza che conforta, la spada che esige. Il vangelo non è una dottrina sociale ma non è neppure un programma politico: è un progetto di Dio sull’uomo. Se un ingegnere fa un progetto ma io non metto i muri come lui mi dice quella casa non si costruisce o al limite, se riesco ad alzarla un po’, dopo un poco crolla. Noi abbiamo una preoccupazione quando ci chiediamo se dobbiamo badare prima al verticale o all’orizzontale. Come se fare Chiesa fosse giocare alle parole incrociate. Ma c’è prima Dio o c’è prima l’uomo? Dice monsignor Bello che non c’è stato momento più interessante della vita di Gesù di quando è stato messo in posizione orizzontale, inchiodato sulla croce: allora ci ha dato la nostra salvezza. San Vincenzo de Paoli diceva che se stiamo pregando e qualcuno bussa alla nostra porta non dobbiamo preoccuparci di lasciare Dio perché alla porta troveremo Dio. Se l’uomo piange, Dio piange; la gloria di Dio è l’uomo vivente. Quando io onoro l’uomo, onoro Dio ed i Suoi occhi diventano lucidi. Noi dobbiamo percorrere le strade del mondo con lo stesso cuore e le stesse attrezzature del samaritano o del pellegrino, e con lo stesso passo (da risorta) di Maria che va da Elisabetta, considerandole tutte la continuazione della via (degli uomini feriti) che da Gerusalemme va a Gerico e di quella (dei senza speranza) che conduce a Emmaus. Il verbo della resurrezione è: “camminava veloce”! Strade che continuano perché non sono state bloccate da muri. Ed il Signore vuole ancora che qualcuno si fermi se c’è un uomo ferito; che qualcuno gli parli se c’è un uomo senza speranza. È lungo le strade che ancora possiamo incrociare uomini feriti, “mezzo morti”, feriti e segnati nel corpo e nello spirito. A Medellin fu detto che la Chiesa, servendo i poveri, iniziava a “pulire il volto di Dio” (mons. Romero).La nostra Chiesa deve amare come il sale (che nella minestra dà sapore sciogliendosi) o come la candela (che fa luce consumandosi) o come il lievito (che fermenta mescolandosi con la farina) o come il chicco (che diventa grano marcendo). Una Chiesa che non serve, non serve a niente. Non possiamo pensare ad una Chiesa dei riti senza vita. Giovanni e Paolo arrivarono tardi al tempio perché c’era una paralitico alla porta. Gli dissero: “Non t’aspettare denaro da noi perché non lo abbiamo. Ma facciamo una prova. Mettiti in piedi e noi ti sosteniamo”. E fecero il miracolo e quel paralitico riprese a camminare L’ora della preghiera divenne l’ora della carità e l’ora della carità divenne preghiera perché poi entrarono nel tempio anche se forse un po’ in ritardo: fuori, però, c’era un uomo che saltava di gioia perché poteva camminare.

La Chiesa annuncia la Parola tenendo fra le mani, assieme alla Bibbia, il grande libro della vita, quello scritto e quello ascoltato perché Dio ci sta parlando con i fatti di questo mondo. Anche con i fatti dell’immigrazione. Io me lo chiedo come vescovo di Agrigento: “Perché Dio sta passando così pesantemente dalla nostra terra?”. Se io busso una prima volta alla vostra porta perché mi serve un po’ di prezzemolo, voi me lo date; se busso ogni giorno incominciate a chiedermi per quale motivo lo faccio? Dio non è passato una sola volta nella nostra terra ma continua a farlo: noi, come Chiesa, non possiamo mostrare il “pollice verso” come fanno tanti altri per i più svariati motivi.Spesso dico ai miei catechisti: “Se tu ritieni che gli immigrati devono ritornare indietro, non fare più il catechista perché non sei in grado di spiegare il Vangelo”. Come credente o accetto il Vangelo o non l’accetto. Il vescovo di Algeri mi ha detto che si stanno attrezzando per accogliere quanti vengono rimandati indietro. Ma molti di quelli che arrivano da loro finiranno per fare i mendicanti ed a morire, inevitabilmente, per strada; qualcuno sarà arrestato (e lì in prigione si muore) mentre altri riprenderanno la strada del deserto e troveranno la morte. “Questi uomini – mi disse – sono già morti!”. E noi, che siamo la gente “civile”, vogliamo a tutti i costi rimandarli indietro: il viaggio che hanno intrapreso rappresentava per loro l’unica speranza e quando li rimandiamo indietro spegniamo quella speranza e facciamo finire quella vita.

Ci ricorda Sant’Ambrogio: “Se tu non dai da mangiare all’affamato sei un assassino!”.Noi iniziamo la nostra confessione ripetendo: “Non ho ammazzato nessuno; non ho rubato”. Però abbiamo, magari, commesso tutti gli altri peccati.Quando mi trovo dinanzi un uomo che ha voglia di vivere spesso gli volto le spalle, gli dico che è un incomodo. Ho paura di un uomo che ha la pelle nera ed arriva con un barcone. Ma se un uomo ha la pelle nera e gioca bene a pallone, lo pago profumatamente perché giochi nella mia squadra e spendo per andare a vederlo giocare. Eppure anche lui è un “extracomunitario”!

Spesso noi giochiamo con la bontà: ciò che conviene lo teniamo mentre quello che non ci piace lo togliamo e nonostante tutto ci consideriamo, comunque, “buoni”.Qualche mafioso, prima di andare ad uccidere, passava per la chiesa e pregava e dopo avere ucciso tornava in chiesa a pregare. Magari qualcuno, nel vederlo in chiesa, anche esclamava: “Che brav’uomo! Che gioia vederlo pregare!”. Eppure le sue mani erano sporche di sangue.

Noi decidiamo che questa gente non deve venirci a disturbare: ma perché io posso pensare che l’immigrato è sempre un delinquente e lui non può pensare che io sono un delinquente? La bontà non sta sempre dalla nostra ma anche dall’altra parte.

Un giorno a Messina dissi ad uno zingaro che gli avrei dato i mattoni, il cemento e tutti gli altri materiali per potersi costruire una baracca. Dopo un po’ di tempo, incontrandomi, mi raccontò che erano venuti a trovarlo altri zingari e lui, alla sera, si era posto il problema di dove avrebbero trascorso la notte: nelle sue due stanzette ospitò venti di loro senza porsi alcun problema. La generosità passa anche per il cuore dei poveri.

Nel Messaggio per la Prima Giornata Mondiale dei Poveri il Papa scrive: “Siamo chiamati a tendere la mano ai poveri, a incontrarli, guardarli negli occhi, abbracciarli, per far sentire loro il calore dell’amore che spezza il cerchio della solitudine. La loro mano tesa è anche un invito a uscire dalle nostre certezze e comodità, e a riconoscere il valore che la povertà in sé stessa costituisce”.Noi tante volte diamo l’elemosina velocemente perché dobbiamo entrare in chiesa.

Una volta, dinanzi la chiesetta di cui ero rettore a Messina, si fermava sempre uno zingaro occupando quasi tutti i gradini. Le vecchiette insistevano perché lo mandassi via. Allora dissi loro: “Vedete, ho deciso che lo mando via!”. Ed erano tutte soddisfatte perché finalmente facevo quello che continuavano a chiedermi. Ma aggiunsi: “Ho ancora un avviso. La prossima settimana non ci sarà la messa”. E tutte le presenti fecero una faccia stupita. “Se caccio Gesù, quando venite la prossima volta non lo trovate e quindi la messa non si può dire. Perché non gli dite un “buongiorno” quando arrivate e lo vedete seduto sui gradini: lui conosce le scarpe di tutti voi ma sarà costretto ad alzare gli occhi e comincerà a conoscere il vostro volto”. Ed avvenne veramente un miracolo: quando celebrai sette giorni dopo, quell’uomo era seduto non sui gradini ma su una sedia. Mi colpì, però, il fatto che continuasse ad alzarsi ed a scendere la rampa di scalini, continuamente. Alla fine della messa una vecchietta mi raccontò che vedendola arrivare con la borsa della spesa, era sceso e l’aveva aiutata a portarla sino in chiesa. Quello zingaro, grazie ad un solo “buongiorno”, è diventato l’amico di tutti.

Un immigrato, ad Agrigento, mi ha detto: “Ma perché quando ci incontrate non ci sorridete mai?”.Un mio amico, elicotterista a Lampedusa, vive dalle parti di Pisa. Andando al supermercato è stato avvicinato da un immigrato che gli ha detto: “Tu sei amico mio”. E lui: “Ma io non ti conosco!”. “Sei amico mio – ha proseguito l’altro – perché quando sono arrivato a Lampedusa tu mi hai dato la mano e mi hai aiutato a salire sul molo dalla barca in cui ero. Poi hai preso un panino che avevi in tasca e me l’hai dato. Tu mi sei amico”.E se qualcosa di questo ci scandalizza, vuol dire che qualcosa nel nostro cuore non funziona.

Lampedusa è importante perché lì, come ha detto il Papa, la povertà e l’accoglienza si sono incontrate.Ad un certo punto sull’isola ci sono stati 10 mila migranti. Le vecchiette lampedusane mettevano i termos con caffè sulla porta di casa affinchè chi passava potesse servirsene: quando un termos finiva ce n’era subito pronto un altro. Altri facevano entrare quei migranti nelle loro case e davano loro da mangiare o permettevano loro di lavarsi.

Un immigrato, durante un’intervista, parlando della sua esperienza dopo una notte in mare ha detto: “Nulla è più bello al mondo del sorgere del sole”. Non vi pare che questa sia una gioia che tutti hanno il diritto di vivere? Un altro ha detto alla radio: “Io abitavo nella mia terra in un paese dove eravamo un gruppetto di cristiani fra tanti musulmani. E là mi sentivo solo. Poi la polizia mi cercava e sono scappato. Quando sono arrivato in Italia mi sono detto che finalmente ero giunto in una terra dove ci sono tanti cristiani e potevo trovare una famiglia”. Ma ha aggiunto: “Ero lì ed ero solo, sono arrivato in Italia e continuo ad essere solo”.

L’Eucarestia è un sacramento pericoloso. Paolo scrive: l’Eucarestia è sacramento di salvezza ma lo può essere anche di giudizio. Dice un proverbio Maori: “Giriamo il nostro viso verso il sole e le ombre cadranno dietro di noi”.

Noi ci meravigliamo che questa gente stia venendo da noi ma dimentichiamo secoli di colonizzazione: ci stanno chiedendo gli interessi su tutto quello che gli abbiamo preso. Il dittatore gambiano Yahya Jammeh ha detto: “Per compensare lo sfruttamento del nostro paese da parte dell’Inghilterra, i nostri giovani avranno il diritto di soggiornare in Gran Bretagna per almeno 359 anni”. Questi conti loro li sanno fare anche se noi fingiamo di non saperlo. Ecco perché la nostra diventa una responsabilità molto forte. Ladro non è solo chi ruba ma anche chi tiene il sacco.

Noi stiamo costruendo un mondo senza l’altro. Adesso diciamo: “Gli immigrati? No!”. Ma se sono anziano e giungo in ospedale e con me arriva un giovane, lui avrà la precedenza. Se sono ricco potrò stare in prima fila mentre il povero starà dietro; se sono bello avrò molte più possibilità di essere scelto e trovare lavoro rispetto a chi viene considerato brutto. Noi stiamo dividendo la società in due col rischio, senza rendercene conto, di un ritorno al disordine globale del far-west dove il potente di turno decideva la sorte degli altri. Ricordiamoci la pagina del vangelo dove si dice: “L’avete fatto a me”. Ricordiamocelo quando sentiamo dire che c’è una Madonna che piange da una parte o un Cristo che appare da un’altra: lui ci viene incontro ogni giorno… e noi cambiamo marciapiede. La strada fra Gerusalemme e Gerico dove quell’uomo venne colpito fu maledetta: non per quello che avevano fatto i briganti (da loro non ci saremo aspettato niente di diverso da quello che hanno fatto!) ma perché passarono due persone buone che hanno sì rispettato le norme ma hanno fatto un saltello. E quel saltello le ha messe fuori dalla storia e lontano da Dio.

Il Vangelo dobbiamo leggerlo. Nel Mar Mediterraneo ci sono 30 mila morti contati ed altrettanti non contati. Quel mare è diventata una tomba liquida ma di quei morti non parliamo.Ci commuoviamo davanti al presepe senza pensare che Gesù fu fortunato perché nacque in una stalla ma trovò un bue ed un asinello che lo riscaldarono. Tanti Gesù, nati sulle barche, Maria, la loro madre, ha dovuto gettarli in mare perché erano morti per il freddo. È terribile stare davanti a 366 bare allineate. In quell’ottobre di quattro anni fa, a Lampedusa, mi hanno aperto una delle quattro bare bianche: dentro c’era una bambina messa di lato che sembrava dormisse. Chi sono i responsabili di quelle morti? E noi ci sentiamo a posto? Non voglio scorticare le coscienze ma prima di decidere qualcosa sugli altri dobbiamo avere il coraggio di guardare la realtà così come è.

Gesù ci ha lasciato un unico testamento in cui ci sono contemporaneamente l’eucarestia ed i poveri.Noi abbiamo preso il foglio del testamento e lo abbiamo strappato a metà: abbiamo lasciato sul tavolo l’Eucarestia – perché è un sacramento facile – ed abbiamo messo nel cassetto quello che riguarda i poveri (“li avrete sempre con voi”) finendo per dimenticarcene. Anche quando Lui cerca di ricordarci che quel testamento, se lo accettiamo, dobbiamo accettarlo interamente.

L’Eucarestia diventa vera nella misura in cui il povero entra nella mia vita.Quando io mi pongo vicino al povero, scandalizzo gli altri, i “buoni”: questo, però, non mi interessa perchè io ho il dovere di incontrare Gesù che mi viene incontro sotto quell’aspetto.

Il Papa quando venne a Lampedusa disse: “Io sono venuto a piangere i morti”. Ed in un’altra occasione ha aggiunto: “Chi non sa piangere non sa amare”. I poveri non servono a compilare le statistiche che interessano solo ai sociologi. I poveri a noi interessano perché fanno parte della nostra vita e la nostra fede è legata alla loro sorte. Io immagino che quando sarà il momento finale, quando Lo incontrerò non mi troverò davanti ad un esame da fare ma appena lo vedrò dovrei poter dire “Ma sei tu?” E la gioia di incontrarlo sarà ancora più grande quando lui mi dirà: “Sì, sono il povero alla porta della chiesa; sono tuo marito, sono tua moglie; sono i tuoi parrocchiani…” Questo è il Paradiso: la gioia di poterLo continuare a vedere e stare con Lui. Ma se Lui mi viene incontro ed io gli chiedo: “Scusa quando arriva l’esaminatore così faccio l’esame e vedo se mi va bene?”,  Lui mi risponderà: “Che tristezza. Siamo stati insieme e non ti sei accorto che ero io”. E questo diventa l’inferno. La nostra deve essere una Chiesa che ha le porte aperte. Che si lascia prendere per mano dal Signore e fa quello che lui ha fatto senza fare i conti.Che fa gridare al mondo: “Guardate come siamo! Non deleghiamo l’amore ma lo viviamo tutti insieme”. Che fa dire ai poveri: “Guardate come ci amano!”Che fa chiedere: “Ma chi te lo fa fare ad amarci?”Questo dovremo essere noi in mezzo agli altri.

Nel “Quo vadis”, un soldato domanda a Pietro: “Cosa portate voi cristiani? La Grecia ha portato la bellezza, Roma il diritto, e voi?” “Noi portiamo l’amore”, rispose Pietro. Questo è il sogno da mettere in comune. Se siamo in più a sognare il sogno diventa realtà.Chiudo con Bonhoeffer: “Se ti accusassero di essere cristiano troverebbero delle prove contro di te?”.

nb: Il testo pubblicato non è stato rivisto dall’autore e conserva lo stile della conversazione