Profeti capaci di guardare oltre

Laici, osate! “Cogliete la sfida. Usate la vostra capacità di visione. La Chiesa ha bisogno di profeti capaci di guardare oltre, di cogliere la presenza di Dio che lavora nella storia, e offre prospettive”.48 anni, docente di Teologia fondamentale e catechetica, don Federico Grosso è il prodirettore dell’Istituto di Scienze religiose “Santi Ermagora e Fortunato”, dal 2017 punto di riferimento unico per la formazione dei laici – in particolare per la preparazione degli insegnanti di religione, ma non solo – per le tre diocesi di Udine, Gorizia e Trieste, in collegamento accademico con la Facoltà teologica del Triveneto. 16 anni di sacerdozio, di cui 10 a Gemona e Tricesimo, spesi alternando il servizio pastorale all’insegnamento.

Prof. Grosso, la sua nomina alla guida dell’Issr lo scorso anno è giunta in un momento chiave per l’Istitutuzione accademica, ma anche per l’intera Chiesa. Un momento in cui la parola d’ordine è diventata collaborare. Un suo primo bilancio?È presto per fare bilanci, se non in prospettiva. È una sfida grande quella a cui siamo chiamati. L’Issr deve proseguire il suo compito accademico ma deve soprattutto sentirsi provocato dalla realtà pastorale che stiamo vivendo. Quando sono diventato prorettore il momento era cruciale per due motivi, il primo sul versante accademico, legato alla necessità di accorpare, in regione come in tutta Italia, gli istituti teologici. A livello di Conferenza episcopale e di Congregazione per l’educazione cattolica si è messo in atto un enorme progetto, durato parecchi anni, di unificazione e accorpamento degli istituti. Nella nostra regione l’istituto Santi Ermagora e Fortunato che ha sede a Udine è l’unico sul territorio, perché Pordenone gravita sulla diocesi di Treviso. Sul versante ecclesiale, e nella nostra diocesi è evidente, si sta facendo un lavoro quasi analogo con le parrocchie, non di accorpamento, ma di messa in rete. È un momento molto delicato e su questo versante. L’Issr è chiamato a giocare un ruolo a 360 gradi sulla formazione del laicato. Un laicato che prima di tutto colga la propria appartenenza ecclesiale e renda operativo il proprio sapere teologico.

In che modo lo studio della teologia può diventare “operativo”? Questo è un interrogativo a cui siamo chiamati oggi più che mai a dare risposta. Il laico che ha studiato teologia, che cura la propria formazione, che ruolo ha nella Chiesa? Come può essere collocato in maniera responsabile? Un interrogativo che interpella innanzitutto i preti. E, poi, certamente, i laici, che talvolta non osano “buttarsi” e hanno paure. Questa fase ecclesiale e culturale che stiamo vivendo deve essere una scuola per tutti.

In che ambiti il laico deve “buttarsi”?Non mi stancherà mai di dirlo: il cristianesimo non è un sistema valoriale o filosofico, prima di tutto è discepolato: una proposta esistenziale, biografica. La dimensione del laico è quella di vivere in pienezza il suo essere cristiano. Il Concilio Vaticano II parla del laico come colui che è chiamato per compito specifico a proporre le dinamiche del Regno nel contesto secolare: nel mondo del lavoro, nella scuola, nella famiglia… Il laico impegnato non è, come talvolta noi preti diciamo, quello che “fa il catechismo”, fa parte del consiglio pastorale o presta servizio in parrocchia. Il laico impegnato è quello che sente come un impegno la testimonianza del Vangelo nella realtà in cui vive. Certo, c’è anche la dimensione dell’impegno ecclesiale, che è risultato di una vocazione e porta a un ministero nella Chiesa, ad un servizio nel popolo di Dio. Un compito importante, delicato. Ma anche in questo compito – mi scuso per la banalità dei termini -, il laico non deve diventare un “mezzo prete” o un prete “mancato”. Preti e laici nella Chiesa hanno compiti diversi e devono svolgerli consapevoli della specificità di ciascuno. Devono animare la comunità cristiana insieme, nella corresponsabilità.

Oggi più che mai, se guardiamo alle nascenti Collaborazioni Pastorali. L’Istituto di Scienze religiose in che modo può contribuire alla formazione di laici preparati ad affrontare questa sfida?Non solo i laici, la frontiera formativa riguarda anche i preti e i futuri preti. Prima di tutto credo sia fondamentale formare alla mentalità della collaborazione, del lavorare insieme, e questo non è qualcosa che si improvvisa né tra persone né tra comunità. In parallelo c’è la formazione teologica…

C’è chi pensa che la formazione teologica sia qualcosa di astratto…Alle nostre comunità servono persone capaci di visione. E non c’è niente di più concreto di questo. Lo studio della teologia ha come compito fondamentale quello di offrire e far maturare proprio questa capacità. Visione significa saper leggere i segni della realtà ecclesiale, ma anche culturale, in cui viviamo; saper anche valutare e progettare in prospettiva. Penso a Pasolini, un uomo del nostro territorio, seppur non del nostro mondo, che oltre quarant’anni fa sapeva cogliere le logiche del tempo della società e delineare in anticipo futuri panorami. Anche oggi occorrono questo tipo di profeti, capaci di guardare oltre. Non per vedere scenari tragici, com’era invece tipico in Pasolini, ma per cogliere la presenza di Dio che lavora nella storia e offre prospettive.

Come ci aiuta in questo la teologia?Ci aiuta a non avere paura, a usare la testa oltre che il cuore, a vivere una fede propositiva. Lo studio della teologia non nutre solo il cervello ma la dimensione globale della vita cristiana. La fede va vissuta ma anche pensata, riflettuta. La dimensione del pensare e motivare non può essere staccata dalla dimensione del testimoniare, del pregare, dell’esprimere la fede nella pratica religiosa. Mi chiedo: come si può vivere il cristianesimo se non lo si pensa e come lo si può pensare se non lo si vive? Rendere ragione della propria fede è un compito del cristiano di tutti i tempi e la cosa si fa ancora più interessante nel contesto multiculturale e multireligioso in cui stiamo vivendo. Sapremmo rispondere se qualcuno ci chiedesse: “tu, cristiano, in cosa credi?”. O la domanda ci metterebbe in crisi? In cosa consiste la nostra fede? Lo studio della teologia aiuta a trovare risposte, ma soprattutto a farle diventare vita vissuta.

Il 3 settembre si sono aperte le iscrizioni al nuovo Anno accademico. Chi si dovrebbe iscrivere?La maggior parte dei frequentanti sono i futuri insegnanti di religione, ma ai corsi possono accedere tutti coloro che hanno un diploma di maturità e le lezioni sono aperte anche a persone che vogliono seguire solo qualche corso come uditori, perché incuriosite, interessate, ad approfondire la fede, la morale il Vangelo, il cristianesimo.