Pentecoste: “Guardando a noi è come se Dio guardasse in uno specchio”

Si è svolta venerdì 13 maggio nella Basilica di Aquileia la Veglia di Pentecoste. Erano presenti circa 300 giovani e adulti. La serata di invocazione dello Spirito Santo è stata piuttosto dinamica tra ricordo del battesimo nel battistero, ingresso in basilica attraverso la Porta della Misericordia, letture della Parola di Dio, parola del vescovo, preghiera di intercessione, testimonianze… Sono state soprattutto le testimonianze i momenti forti di questo incontro: racconti semplici e di persone vicine, ma che hanno aiutato a comprendere come la vita nello Spirito si collochi nel quotidiano.Anche il coinvolgimento dei giovani che parteciperanno alla Giornata Mondiale della Gioventù in programma nel prossimo mese di luglio a Cracovia è stato significativo. Alla GMG dalla nostra diocesi ci saranno circa 120 giovani che andranno con l’organizzazione del Servizio diocesano di Pastorale Giovanile e circa 50 giovani che faranno un itinerario specifico insieme al Cammino Neocatecumenale. A tutti loro sono stati affidati dei coetanei per cui pregare ed è stata consegnata la conchiglia per ricordarsi lo spirito del pellegrinaggio.Questo il testo dell’intervento del vescovo Carlo.

“Ho visto che tra i giovani è presente anche qualche signora… Sicuramente ha una borsetta con dentro uno specchio: posso averlo?” “Grazie. Persino uno specchio con una luce incorporata, una meraviglia della tecnica…”.Perché mi serve uno specchio? Perché vorrei soffermarmi con voi su una frase che mi ha colpito nella seconda lettura e su cui di solito non si riflette molto quando si legge l’inno alla carità contenuto nella prima lettera ai Corinti: «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto» (1Cor 13,12).Per comprendere quello che intende dire san Paolo occorre tenere presente che gli specchi di allora non erano così tecnologici come questo che ho in mano, ma erano alquanto rudimentali, spesso di metallo lucidato e magari non ben levigato: di chi si specchiava, davano spesso un’immagine sfuocata.Dal contesto si capisce che Paolo sta parlando della nostra conoscenza di Dio, che qui sulla terra è confusa e imperfetta e che solo alla fine sarà invece completa, «faccia a faccia». Non si capisce bene allora come mai utilizzi l’esempio dello specchio, uno strumento che uno adopera per vedere se stesso e non un’altra persona. Sarebbe stato più chiaro se avesse impiegato l’esempio di una lente sporca o non precisa per dire che su questa terra noi conosciamo Dio come se lo vedessimo attraverso una lente sfuocata. Ma a suo tempo – aggiunge l’apostolo – i nostri occhi lo vedranno bene.Invece san Paolo parla dello specchio: perché? Un indizio per trovare una risposta possiamo rintracciarlo nella seconda parte della frase, quando per dire che conosceremo Dio perfettamente, l’apostolo dice che ciascuno di noi lo conoscerà così bene come anche Dio conosce ciascuno di noi. La conoscenza di Dio e la conoscenza di noi sono quindi collegate: guardare in uno specchio, cioè guardare a noi stessi per vedere Lui non è una cosa sbagliata. Ma anche il contrario è corretto: guardare a Lui per vedere chi siamo.A noi interessa anzitutto conoscerci, sapere chi siamo, più che conoscere Dio e sapere chi è Lui. Ci teniamo alla nostra immagine, a come apparire all’esterno, ma ci teniamo ancora più a quello che siamo per davvero. O forse no, anche per noi è importante non quello che siamo realmente, ma l’immagine che ci siamo fatta di noi e che gli altri hanno di noi.Siamo in un mondo in cui conta molto l’immagine. In realtà è sempre contata anche quando non c’era photoshop per qualche ritocco o instagram per scambiarsi le foto. Ma oggi, rispetto al passato, ci sono tantissimi modi per apparire diversi e migliori da quello che siamo sia agli occhi degli altri sia ai nostri. C’è chi ci aiuta in questo, di solito in maniera interessata. Pensate a tutto il mondo della moda, che vive tutto sull’immagine che cerca di venderci, facendoci acquistare anche solo una maglietta o un paio di scarpe… Forse avete sentito di quella ragazza che ha girato molti negozi di abbigliamento e si è accorta facendosi i selfie nei camerini che questi con giochi di specchi, di luci e di musica tentano di far passare un’immagine piacevole di te che ti stai provando un paio di jeans o una maglietta, spingendoti a comprare qualcosa che poi quando la indossi a casa magari è di una taglia sbagliata e comunque non ti dà l’effetto promesso. Entrando in uno di quei camerini mi vedrei snello (non taglia 56, ma 52) e slanciato (più dei miei 1 metro e 75) …, ma poi non ci starei dentro nella giacca acquistata.Perché tramite i vestiti, gli anelli, i tatuaggi, il modo di atteggiarsi, il nostro linguaggio, le nostre amicizie cerchiamo un’immagine migliore o comunque diversa di quello che siamo? Perché cerchiamo questa immagine e non vogliamo neppure sapere bene chi siamo? La risposta è facile: perché abbiamo paura, se siamo quello che siamo per davvero, di non venire amati e di non amarci neppure noi stessi. Vogliamo apparire più belli, più alti, più interessanti, più decisi, più furbi, più atletici, ecc. per un solo motivo: per essere amati e anche per amarci.C’è però Qualcuno che non ha bisogno della nostra immagine bella per volerci bene, ma ci vuole bene così come siamo. Perché ci conosce più di quanto noi ci conosciamo. Del resto ci ha creati Lui. Ed è Dio. Non solo ci ha fatti Lui, ma ci ha creati a sua immagine e somiglianza. Guardando a noi è come se guardasse in uno specchio. Sì, forse un po’ deformato, ma che rimanda a Lui la sua immagine che siamo ciascuno di noi. Conoscere Dio è quindi conoscere noi stessi e gli altri: perché tutti siamo sua immagine. Lo siamo non in modo seriale, perché ciascuno di noi è unico, è speciale per Dio. E Dio ha un modo particolare per conoscerci ed è l’amore. Del resto anche tra le persone si può dire che conosce veramente solo chi ama.Si capisce allora che il grande comandamento dell’amore è in realtà un modo di conoscere: amare Dio è conoscerlo, amare il prossimo è conoscerlo, amare il prossimo come noi stessi significa che anche noi ci amiamo e ci conosciamo per davvero. L’amore di Dio è lo Spirito Santo. Riceverlo come dono è ricevere la possibilità di amare e di conoscere, di amare conoscendo e di conoscere amando. Tutto questo nella verità, senza trucchi o imbrogli, così come siamo.Chiediamo pertanto questa sera il dono dello Spirito Santo per sentirci amati, per amare a nostra volta e così conoscere Dio, conoscere gli altri e conoscere noi stessi. Conoscerci come immagini di Dio, conoscerci come suoi figli amati. E questo ci riempirà di gioia e di fiducia.

† Vescovo Carlo