Nella locanda del buon samaritano

Si è svolta venerdì 16 ottobre presso la parrocchia di N.S. di Lourdes – Gorizia la veglia missionaria che ha raccolto giovani, gruppi missionari e fedeli dall’arcidiocesi. Per fare una proposta più adeguata ai destinatari la prima parte si è svolta in due contesti e in due modalità. I giovani si sono ritrovati nei locali dell’oratorio e hanno partecipato ad una serie di testimonianze flash di propri coetanei che durante l’estate hanno fatto un’esperienza che li ha portati dalla parte dei poveri. C’erano i giovani che hanno visitato la Comunità Missionaria di Villaregia a Texcoco in Messico dove opera don Aldo Vittor; c’era Chiara dell’Azione Cattolica che ha fatto un tempo di servizio presso la mensa della Caritas di Ostia; c’era il Clan Onhe Meja dei gruppi scout Gorizia 1 e 3 che ha vissuto la propria route estiva a Palermo e dintorni per conoscere meglio le opere di educazione alla legalità e per collaborare con una base scout nata con dei bene sequestrati alla mafia; c’erano alcuni dei giovani che a più turni hanno partecipato ad un esperienza di servizio in Grecia proposta dalla Caritas e sostenuta dal polo liceale di Gorizia. I testimoni in pochi minuti sono riusciti a far entrare nella loro esperienza i loro coetanei facendo capire come un’esperienza dalla parte dei poveri possa cambiare il proprio modo di vedere. Alla fine è intervenuto don Raffaele, missionario a nome delle diocesi del Triveneto in Thailandia, che in modo efficace è riuscito a comunicare cosa significa vivere la missione in altri contesti culturali e religiosi. Nel frattempo in chiesa gli adulti hanno ricevuto una testimonianza più prolungata di don Raffaele che ha spiegato come la missione in Thailandia nasce dal primo Convegno Ecclesiale di Aquileia e come sia una bella esperienza di comunione tra le chiese. Ci sono state delle comunicazioni più brevi anche da parte di alcuni giovani che hanno vissuto l’esperienza missionaria in Messico, di altri che sono stati in Grecia a servizio della Caritas e il saluto di Claudia Pontel, missionaria laica a Bouaké. Il tutto si è poi trasformato in preghiera: giovani e adulti si sono ritrovati insieme ad ascoltare la Parola di Dio e a intercedere per le situazioni di bisogno conosciute in prima persona. Il vescovo Carlo ha guidato questo momento presentando una rilettura della parabola del buon Samaritano.L’accoglienza della parrocchia ospitante, la profondità e l’abilità dei testimoni, la freschezza delle riflessioni hanno reso la serata ’occasione importante per conoscere di più il mondo e stare dalla parte dei poveri. Pubblichiamo di seguito l’intervento del vescovo Carlo.– Chi sei tu? … Dove sono? Dove mi trovo? … Che mal di testa… e come mai ho le braccia e le gambe fasciate?- Ah, finalmente ti sei svegliato. Mi hai fatto preoccupare. Sono Simone, il proprietario di questa locanda in cui ti trovi. Una locanda sulla strada che da Gerusalemme scende a Gerico. – Come mai sono qui?– Ti hanno portato qui da me cinque giorni fa, tutto pesto e sanguinante. Te le hanno suonate, quei briganti… ti hanno lasciato mezzo morto. So che ogni tanto attaccano un viandante isolato che passa da questa strada e spesso ci scappa il morto. Per fortuna non ti hanno ucciso e quell’uomo che passava ha avuto compassione di te e ti ha portato qui. Mi ha detto di avere cura di te e mi ha dato dei soldi.– Oh, adesso ricordo qualcosa. Stavo tornando da Gerusalemme, ero uscito di città all’imbrunire prima che chiudessero le porte delle mura. So che non è molto prudente, ma avevo fretta di raggiungere una carovana di nabatei nell’oasi di Gerico. Ogni mese vado a Gerusalemme portando ai sacerdoti dell’incenso per il tempio, che mi procuro dai nabatei. Quel giorno stavo tornando con un sacchetto di monete d’argento dopo aver venduto tutto l’incenso.– E che cosa ti è successo?– A un certo punto mi hanno assalito alle spalle, mi hanno colpito alla testa, sono caduto … erano tre o forse quattro … mi hanno picchiato sulle braccia e sulle gambe, strappata la veste e rubato il sacchetto con le monete che tenevo nascosto appeso alla cintura. Poi sono scappati. Quando ho capito che se ne erano andati ho cominciato a gridare, a chiedere aiuto…– E quell’uomo ti ha sentito e si è fermato …– No, ho dovuto gridare a lungo sempre con meno voce … Prima di quell’uomo sono passati due che dalle vesti mi sembravano del tempio, forse sacerdoti o leviti. Mi hanno visto, si sono avvicinati e se ne sono andati di fretta giù per la discesa. Eppure al tempio tutti mi conoscono, sono Alfeo, quello dell’incenso…– E poi è arrivato quell’uomo…– Non l’ho visto, stavo perdendo i sensi. Ho sentito che diceva qualcosa con accento straniero (“poveretto, come ti hanno conciato…” o qualcosa di simile). Poi mi ha versato qualcosa sulle ferite: bruciava… E mi ha sollevato da terra e lì devo essere svenuto e non ricordo nulla.– In effetti sei arrivato qui malconcio e privo di sensi. In questi giorni urlavi di dolore, soprattutto quando ti cambiavo le fasciature. Hai bevuto solo un po’ d’acqua e mangiato solo qualche dattero, ma poi ti addormentavi di nuovo. Meno male che hai trovato qualcuno che ha avuto compassione di te. Lo conosco: è un mercante che ogni tanto passa dalla mia locanda. Per caso lo conoscevi anche tu?– No, non so chi sia. Probabilmente uno straniero da come parlava… Vorrei tanto poterlo ringraziare.– Sei fortunato. Ecco che sta entrando dalla porta della locanda. E’ proprio lui.– Ma… è un samaritano! Lo riconosco dalla veste. Tu, Simone, ospiti un samaritano? Non si può, tu sei un Giudeo come me. O sei diventato come i pubblicani… Non ti ricordi quello che scrive il libro del Siracide: «Contro due popoli la mia anima è irritata, il terzo non è neppure un popolo: quanti abitano sul monte di Samaria e i Filistei e il popolo stolto che abita a Sichem» (Sir 50,25-26). Il popolo stolto sono i samaritani.– Sì, sono un Giudeo. Una volta l’anno vado al tempio, ma non durante le feste, perché è allora che passa tanta gente dalla mia locanda e … si guadagna. Ma non posso farmi troppi problemi circa la religiosità dei clienti, altrimenti dovrei chiudere… E poi, lui, il samaritano, è un buon uomo.– Non so se sono un buon uomo. Sono contento che tu stia meglio. Come ti chiami?– Alfeo. Scusami per quanto ho detto. Se non c’eri tu a salvarmi… Quei sacerdoti che sono passati prima di te mi conoscevano sicuramente, ma non si sono fermati…– Non preoccuparti. L’importante è che ti ho visto (era già buio) e che questo bravo albergatore ti abbia accolto. Avresti fatto lo stesso anche tu, se io fossi stato al tuo posto…– No, non l’avrei fatto. Sono un fariseo. Non posso diventare impuro toccando uno che potrebbe essere morto, tanto più se è un samaritano. Mi dispiace. Ti avrei lasciato lì. E, mi dispiace dirlo, devo riconoscere che quelli del tempio hanno fatto bene a non toccarmi e a passare oltre.– Certo sono un samaritano, ma sono anzitutto un uomo e devo comportarmi da uomo. Anche quelli che ti hanno assalito sono uomini. Poveretti, forse non sanno quello che fanno, forse sono cresciuti nella violenza, nessuno ha voluto loro bene, forse sono esclusi da tutti… Non li giustifico, ma non li giudico. Solo Dio sa che cosa c’è nel cuore dell’uomo…– Capisco che stai dicendo cose belle, ma faccio fatica a comprenderle, samaritano. Mi hanno insegnato che il prossimo da amare è chi appartiene ai miei, alla mia famiglia, al mio popolo. Gli altri vanno odiati. Mi hanno insegnato che bisogna osservare la legge e non bisogna lasciarsi intenerire…– Ti comprendo Alfeo, non è facile farsi prossimo degli altri, di chiunque… Ma anche se sono un samaritano, so i comandamenti dell’Altissimo e so che il più grande è quello dell’amore.– Forse hai ragione, samaritano … Ma, dimmi, come posso ricompensarti per quello che hai fatto? Mi hanno rubato tutto, ma posso farmi mandare il denaro dai miei. Ti devo la vita..– Non preoccuparti, non voglio soldi. Anzi, Simone, se non ti bastano quelli che ti ho dato, te ne aggiungo altri, ma tratta bene il mio amico Alfeo. E tu, Alfeo, se vuoi ricompensarmi basta che anche tu faccia come ho fatto io con le persone che incontrerai. Quello povere, ammalate, ferite. E non importa se le loro ferite sono nascoste: spesso quelle invisibili sono quelle che fanno più male. Ma chi ha occhi d’amore sa vederle dentro il cuore dell’altro …– Cercherò di fare quello che mi hai detto, samaritano.– Ora devo andare, Alfeo. Ti lascio in buone mani, quelle di Simone. Ti assicuro che, al di là dell’apparenza, ha un cuore d’oro.– Addio Samaritano e grazie ancora. Ma, dimmi come ti chiami? Qual è il tuo nome?– Mi chiamo Gesù.

†  vescovo Carlo