La penitenza, un cammino di riconciliazione attiva con la Vita

Si rimane sconcertati, perché ha dell’incredibile, quando si prendono sul serio espressioni come “Dio ti ha creato”, “sei generato da Dio”. Lo stupore sta nel fatto che queste espressioni contengono una realtà umana imprevedibile, meravigliosa e ricca. Il nostro “limite” è abitato da qualche cosa d’infinito, di eterno: ogni creatura è luogo di una presenza vera di Dio. La nostra realtà umana, in maniera costitutiva, esprime qualcosa che è senza confini. La meraviglia dovrebbe concretarsi in un atteggiamento di scoperta: una scoperta che diventa percezione, esperienza che identifica la propria vita e ne segna la sua progettualità. Il  “sentire” autenticamente la vita, di conseguenza, non può essere se non gratitudine, e apertura ad un affetto generativo. La logica che fonda la nostra esistenza non è il calcolo, la misura, ma la scoperta di un’ “imprevedibilità”, di novità sempre carica di vita, di senso: la “Vita eterna” nel tempo si esperimenta sulla propria pelle. L’incontro, la relazione  con gli altri -ognuno con la propria unicità- diventa, allora, il luogo della gratitudine e dell’affetto. Certo riflettendo su questa intuizione religiosa profonda, realizzata pienamente nella realtà di Gesù di Nazaret come pegno di verità e quindi di fattibilità, sorge una domanda inquietante: perché la nostra storia personale e la storia degli altri uomini percorre spesso altre strade?Nel nostro vocabolario c’è una parola, spesso bistrattata, ma carica di tanta responsabilità, che dà una risposta: peccato. Vuol significare tradimento del senso vero della vita: fallimento. Un illudersi che il limite di cui anche siamo fatti sia la misura definitiva della nostra vita, con tutte le conseguenze che ne derivano. La logica del peccato è conquistare la vita, non scoprirne la ricchezza-dono; è possedere, vincere. Il peccato non è  qualcosa di anonimo: diventa volto di chi lo vive, e diventa azione fallimentare. É forza di non senso concreto: è ingiustizia, violenza, incomprensione che si fa storia. Non è una cosa da poco. Nella sensibilità biblica il peccatore viene descritto come colui che tradisce la vita che è luogo di una presenza, di una forza vera di bontà; e con delle immagini, è colui che non raggiungerà l’obiettivo, che “corre”invano; è chi si incurva su se stesso. Sono immagini significative per far cogliere la tragica esperienza dell’ essere peccatori. La negatività del peccato è una responsabilità nei confronti degli altri con i quali si condivide costitutivamente la vita: si è costruttori di fallimento storico responsabile. Ecco perché spesso peccato e morte sono presentate come le due facce della stessa medaglia. È una tragedia personale e sociale, nelle trame più concrete della vita. Esiste una via di uscita vera da situauzioni di “peccato”? Oppure, come spesso si pensa, con il male storico (sempre nella responsabilità personale) non si può far nulla se non venire a patti?Anche a questo punto una parola della nostra tradizione ci viene incontro: la via della penitenza. Quanta speranza in quest’esperienza! Si parte da una certezza: l’azione generativa di Dio non è solo per i buoni, ma per tutti e sempre. Ed è realtà da scoprire, esperimentare. Allora la possibilità non è un’utopia, è una certezza. Chiede, però, un cammino di cambiamento nella vera e concreta vita, ha bisogno di tempo, dove l’autosufficienza si trasforma in gratitudine e affetto generativo. “Crea in me, Dio, un cuore “nuovo”: così canta, invocando, il poeta del cammino penitenziale. In questa ripresa nasce, proprio perché è figlia di un’azione di Dio che genera, anche la grande responsabilità di “riparare” il fallimento storico prodotto dall’essere stati peccatori: non come dovere, ma come atto con cui si ricrea la storia autentica degli uomini. C’è una liturgia che celebra questo cammino di vita per diventare nuove creature: la “confessione”. Un momento dove la forza creatrice di vita di Dio diventa un evento concreto nella storia del singolo e della comunità: un segno della vittoria della vita.