La nostra corsa verso il Risorto

La mattina del giorno di Pasqua, il vescovo Carlo ha presieduto il solenne pontificale nella chiesa di S. Ignazio. Riproponiamo i passi principali della sua omelia ricordando che tutti gli interventi del vescovo durante la Settimana Santa 2021 possono essere scaricati dal sito internet diocesani all’indirizzo www.gorizia.chiesacattolica.itSe siete appassionati di arte, un viaggio che mi sento di consigliarvi – quando sarà possibile riprendere a viaggiare: speriamo non troppo avanti nel tempo… – è quello di andare a Parigi per visitare i molti musei ricchissimi di opere d’arte che si trovano in quella città. Un museo da non perdere è quello vicino al Louvre ricavato in una ex stazione ferroviaria, la Gare d’Orsay. Ha una raccolta straordinaria di opere degli impressionisti, ma contiene anche un quadro di un pittore svizzero meno noto, Eugène Burnand, che merita però di andare a vedere (l’ho visto anch’io un po’ di anni fa) perché propone esattamente il Vangelo di oggi. Più precisamente un momento particolare del racconto dell’evangelista: la corsa di Pietro e di Giovanni al sepolcro. Abbiamo ascoltato che Pietro e il discepolo che Gesù amava, che la tradizione identifica con lo stesso evangelista Giovanni, appena ricevono da Maria di Magdala la notizia che non c’è più il corpo di Gesù nel sepolcro, si mettono a correre per andare a vedere. Il quadro, che molti di voi sicuramente hanno visto riprodotto anche su qualche immaginetta o in qualche volume o sui social, riprende i due apostoli che stanno correndo insieme. Siamo quindi all’avvio della corsa: Giovanni, il più giovane, non ha ancora distanziato Pietro. Sono protesi in avanti nell’impeto della corsa, le braccia raccolte sul petto, i capelli al vento, i volti tesi e gli occhi brillanti (“Mi alzo all’alba per studiare nel brillio dell’occhio del mio modello il riflesso ardente del sole che spunta all’orizzonte”, scriveva il pittore a un suo amico). Gli apostoli corrono dentro un paesaggio senza tempo e senza luogo: dovrebbero essere invece all’interno della città di Gerusalemme e anche il sepolcro è appena fuori le mura vicino alla collinetta del calvario. L’unico accenno al contesto storico in cui i due dovrebbero trovarsi è a tre piccole croci che il pittore ha dipinto lontane sulla destra. Il messaggio del quadro è chiaro: quella corsa dei due è in realtà la corsa di ognuno di noi, di ogni cristiano, verso la Pasqua. E’ la corsa della fede tra la domanda che mette in moto il nostro cuore, ci spinge a cercare e l’arrivo alla meta. La meta per ora non è l’incontro con il Signore, ma con i segni di Lui, della sua risurrezione.Al discepolo che Gesù amava bastano quei segni per credere. Non altrettanto sembra succedere per Pietro. Solo dopo aver incontrato di persona il Signore crederà, come lui stesso ci ha raccontato nel discorso riportato nella prima lettura tratta dagli Atti degli Apostoli.A noi non è dato di incontrare di persona il Signore, di mangiare e bere con Lui dopo la sua risurrezione come è successo a Pietro e agli apostoli. Dobbiamo per ora accontentarci dei segni della sua presenza. Una presenza però reale non solo simbolicamente allusa. Gesù è realmente presente nell’Eucaristia, nella Parola, nella Chiesa che è il suo Corpo, nei poveri con cui si è identificato. Lo sappiamo, ma dobbiamo sempre riscoprirlo, perché la fede non è mai qualcosa di acquisito una volta per tutte. Per questo, in un certo senso, siamo sempre in corsa per andare a vedere, per cercare di capire. Una corsa che ci mette ansia, preoccupazione, tensione, ma anche aumenta il nostro desiderio di incontrare il Signore. Per questo è anche una corsa piena di speranza. Questa è la nostra vita, tra il “già” e il “non ancora”: il “già” della fede, dei sacramenti, della Parola, della comunità cristiana, dove comunque incontriamo il Signore, e il “non ancora” della visione, della comunione piena con Gesù, della gioia del Regno dove saremo una cosa sola con Cristo e Dio sarà tutto in tutti. Una situazione che Paolo descrive molto bene nella seconda lettura, invitandoci a cercare le cose di lassù, ad avere il pensiero rivolto al compimento. Non certo per fuggire da questo mondo e dall’impegno a vivere già ora da risorti in una vita nuova, basata sul Vangelo. Ma proprio per vivere così. Solo chi attende la pienezza della vita, può affrontare con serenità e fiducia questa vita con le sue oscurità e le sue fatiche. Solo chi attende, ma mettendosi in corsa come hanno fatto gli apostoli. E’ significativo che a credere, una volta giunti al sepolcro, sia il discepolo che Gesù amava, colui che aveva sperimentato il profondo amore del Signore. Perché la strada della fede passa anche dalla riflessione, dalla ricerca intellettuale, dall’approfondimento personale, ma anzitutto dal cuore. Un cuore che si sente amato e amato da chi è l’Amore e proprio per questo non può non credere.Che cosa pensavano i due mentre correvano al sepolcro? Ma prima ancora, perché correre se tanto il sepolcro era vuoto? Potevano forse correndo fare in tempo a rintracciare il ladro che in ipotesi poteva aver trafugato il corpo di Gesù? O comunque avrebbero potuto indagare meglio su ciò che era successo, sul perché il sepolcro era vuoto? No. Se correvano era solo perché c’era qualcosa nel loro cuore che li muoveva: l’amore. Sicuramente in quello di Giovanni, ma anche nel cuore di Pietro che aveva rinnegato tre volte Gesù e non era stato sotto la croce come l’altro discepolo e però non aveva smesso di amare il Signore nonostante tutto. L’amore mette ali al cuore e anche ai piedi. A chi ama pienamente, basta vedere i segni, che sono già la presenza della persona amata. Se visti con gli occhi dell’amore allora ti fanno incontrare il Signore. Si incontra realmente il Risorto solo se lo si ama. Del resto l’unico modo profondo per incontrare l’altro è l’amore. Altrimenti lo incontri certamente ma solo per un aspetto della sua persona: è allora solo un collega, un cliente, uno che ti deve dare qualcosa o prestare un servizio, un compagno occasionale di viaggio, un estraneo sulla strada, ecc. Il problema è se amiamo o no il Signore. E lo possiamo amare solo se abbiamo sperimentato il suo amore. Il discepolo amato lo ha sperimentato sotto la croce. Pietro lo ha provato ricevendo il perdono del Signore e la sua rinnovata fiducia: il Vangelo di Giovanni più avanti racconterà delle tre domande sull’amore rivolte da Gesù Risorto a Pietro e del suo affidargli le sue pecore e i suoi agnelli.Che il Signore in questa Pasqua ci dia la grazia di sentirci amati da Lui, di scoprire la sua presenza nei segni che ci ha donato affinché la corsa della nostra vita sia guidata dal suo amore e possa giungere alla pienezza dell’incontro con Lui.   + vescovo Carlo