La missione continua ma assume nuova veste

Nei giorni scorsi è stato ospite in diocesi  monsignor Paul-Siméon Ahouanan Djro, vescovo dell’arcidiocesi di Bouaké, in Costa d’Avorio. Abbiamo colto l’occasione della sua presenza per farci raccontare della situazione in quella che è una delle diocesi “sorelle”, per scoprire quali saranno i prossimi passi a livello pastorale, ma anche quali le aspettative dalla Chiesa presto impegnata nel Sinodo dei vescovi.

Monsignor Ahouanan, facciamo il punto della situazione partendo proprio dalla situazione socio – politica ivoriana in questo momento.Stiamo ancora risentendo dell’ultima crisi politico – militare, molto grave. La società della Costa d’Avorio è ancora divisa su base etnica, regionale, è uno scenario piuttosto complesso.Personalmente ho vissuto questa crisi con molta difficoltà, soprattutto quando mi trovavo nella zona di frontiera; successivamente sono stato spostato a Bouaké, che in quel momento era la vera “capitale” del conflitto con armi, sparatorie, soldati… Il nostro compito, della Chiesa, consisteva nel fare un po’ da mediatori tra i diversi gruppi militari coinvolti; quest’operato continua ancora oggi, perché la crisi non è ancora del tutto conclusa, c’è una pace relativa e noi dobbiamo lavorare per consolidare questa pace nel cuore e nello spirito della nostra società.Questo è il nostro impegno pastorale verso la giustizia e la pace, per mantenere l’equilibrio sociale.

Guardando poi alle realtà diocesane, come si stanno muovendo dopo il rientro dei missionari della diocesi di Gorizia e come continua ora la collaborazione tra le due realtà ecclesiastiche?Nessuna Chiesa funziona da sola, c’è una comunione tra le varie realtà. Noi abbiamo ricevuto tanto da Gorizia dall’avvio delle missioni nel 1968; oggi la comunità ecclesiale goriziana è piuttosto anziana, pertanto la Chiesa si trova in difficoltà perché ha pochi sacerdoti. Ecco quindi che la missione continua ma assume una nuova veste, con uno “scambio”, un aiuto dalla nostra diocesi con preti giovani, che qui arrivano per approfondire i loro studi e mantenere una presenza e uno spirito missionario, aiutando nell’animazione soprattutto della Pastorale giovanile.La missione quindi esiste sempre e i rapporti tra le diocesi isontina e ivoriana continuano nel tempo.

Quali sono gli obiettivi che la diocesi di Bouaké si è prefissa per quest’anno pastorale?I nostri punti forti mettono al centro il fare della nostra diocesi una Chiesa che sia veramente “famiglia di Dio”. Cerchiamo quindi di creare prossimità pastorale attraverso con le “Comunità ecclesiali di base”. Le nostre parrocchie sono molto grandi, pertanto sono state appunto divise in comunità più piccole, diciamo “umane”, per dare più impulso all’evangelizzazione, per lavorare in maniera più mirata sulle persone, con un approccio molto stretto, di comunità appunto.

Parlando proprio di evangelizzazione, come si prosegue? C’è ancora interesse e voglia da parte delle persone di avvicinarsi alla Chiesa cattolica?La zona è ancora poco cristiana, c’è molta frammentazione: sono presenti cristiani cattolici, protestanti, evangelici, musulmani e anche delle sette. Noi cristiani cattolici appunto abbiamo pensato di creare delle piccole comunità all’interno di ogni grande parrocchia per vivere la Fede più in comunione e in dialogo tra le persone. Queste piccole comunità nascono poi aperte, nello spirito della missione.I sacerdoti fanno visita alla singola comunità almeno una volta alla settimana e c’è un momento di confronto con il Consiglio della comunità, che va così a formare il Consiglio pastorale parrocchiale. Nessuna comunità è separata dalle altre, ci si confronta e si vive in comunione – anche decisionale – con le altre.All’interno delle singole Comunità di base si vivono la catechesi e l’eucaristia, i momenti fondamentali per favorire la crescita della Fede. Ogni comunità è poi aperta, anche alle altre religioni, per confrontarsi, spiegarsi, approfondire il proprio Credo in un continuo interscambio.

Quali sono infine le aspettative delle Chiese “giovani”, come quelle africane, dal prossimo Sinodo?Il nostro è un lavoro non facile. Abbiamo una Chiesa giovane, con tante vocazioni, che canta la sua gioia, ma dobbiamo sempre mantenere alta l’attenzione, operando con discernimento e mantenendo la comunione attorno alla Parola di Dio. Le Chiese giovani, sono le più fragili, perché evangelizzate solo da un centinaio d’anni. Si deve lavorare quindi per evitare confusione tra la Fede ed alcuni elementi della cultura africana, che a volte vanno in disaccordo. Dobbiamo fare quindi una buona opera culturale, per mantenere degli equilibri talvolta delicati. Non è semplice.Dal Sinodo quindi potrebbero arrivare utili linee di indirizzo che ci aiutino a lavorare bene in questo senso, per riflettere sul senso evangelico del nostro mandato, anche sociale e culturale.