La “gioia” della chiamata

Sabato 22 novembre la Chiesa di Gorizia vivrà un momento speciale: don Aldo Vittor sarà ordinato sacerdote per l’imposizione delle mani dell’arcivescovo mons. Redaelli nel corso di un rito che avrà inizio alle ore 15.30 nella basilica patriarcale di Aquileia. Abbiamo incontrato don Aldo – che rimarrà incardinato nel clero diocesano pur appartenendo alla Comunità missionaria di Villaregia – a pochissimi giorni dalla sua ordinazione e ci siamo fatti raccontare delle sue più vive emozioni, ad un passo da questo momento speciale.

Don Aldo, mancano ormai pochi giorni alla sua ordinazione sacerdotale. Con quali sentimenti si avvicina a questo momento?È una sensazione particolare e un po’”strana”, piena di tanta emozione. Coscientemente si arriva preparati, con la consapevolezza di una scelta predisposta da tempo, ma l’emozione è grande, perché si comprende di star effettuando una scelta profonda, davvero per la vita. Unita a tutto questo c’è anche tanta attesa.In questi giorni mi sto preparando, ma ho talmente tanti impegni che non mi lasciano fermarmi a pensare a cosa stia succedendo! Però mi danno la bellissima possibilità di testimoniare quello che sto vivendo all’interno dei gruppi diocesani e ai ragazzi delle scuole, in collaborazione con alcuni insegnanti di religione. La prossima settimana sarò in ritiro per gli esercizi spirituali e lì avrò tempo per pensare e prepararmi a questo momento speciale.

Nei suoi incontri con i gruppi diocesani e con gli studenti, com’è la risposta delle persone?Sono due reazioni molto diverse. Nei gruppi diocesani leggo tanta stima, domande, voglia di sapere e di essermi vicino. Con i ragazzi delle scuole invece sono colpiti e la mia scelta gli giunge inaspettata, soprattutto dopo che conoscono la mia storia – ero un ingegnere informatico e ho deciso di lasciare questa strada per seguire la chiamata del Signore -. Sono però molto colpiti dalla mia esperienza in terra di missione e tante classi mi hanno chiesto di ritornare per un incontro in cui poter parlare proprio di questa mia esperienza.

Proprio riguardo quest’ultimo punto, lei si presenta alla sua ordinazione sacerdotale già con un bel bagaglio di esperienza guadagnato svolgendo servizio nella missione in Messico. Quali sono i principali insegnamenti che quest’esperienza le ha donato e che porterà con sé, anche per il suo prossimo “lavoro”?L’esperienza della missione ti rende più semplice, smonta tante attese e ti riporta su un piano delle cose più essenziale. Soprattutto ti porta vicino alle persone, ti trovi a stare con gente molto semplice ma con una grandissima capacità di relazionarsi e vivere in comunione; sono stato a stretto contatto con le persone di questa comunità e ho vissuto con loro appieno la fede. Un’esperienza di questo tipo fa capire poi l’importanza del dare ascolto alle storie delle persone. In Messico ho lavorato soprattutto con i ragazzi, ascoltandoli e accompagnandoli con un atteggiamento di fraternità.Sono stato destinato a questa missione – che si trova nella diocesi di Texcoco, presso Città del Messico – con la Comunità Missionaria di Villaregia dopo la mia ordinazione diaconale. Sono contento di essere stato assegnato proprio lì, per me è un dono di Maria: poco lontano infatti si trova il Santuario di Guadalupe; io sono molto devoto alla Madonna e per me è come un regalo che ha voluto farmi. Il 10 dicembre avrò modo di ritornare alla missione e so che mi stanno aspettando e per domenica 14 dicembre hanno già organizzato la mia prima Messa in terra messicana. In molti li sento quotidianamente tramite i social network e tanti mi sono vicini accompagnandomi verso l’ordinazione nella preghiera: hanno preso degli impegni, dei fioretti, e li stanno seguendo per starmi vicino anche se in questo momento sono fisicamente lontano.

Lei fa parte, come accennava poco fa, della Comunità Missionaria di Villaregia. Cosa sta traendo da quest’esperienza comunitaria?Grazie a questa Comunità mi sono innamorato dell’esperienza della vita comunitaria. Qui ci sono consacrati sia uomini che donne e in missione non si parte mai da soli ma è sempre un’esperienza che si vive insieme ad altri della Comunità. È proprio questo che mi ha permesso di rispondere al meglio alla mia chiamata, il fatto di essere un gruppo, di operare sempre insieme. Credo che così si raggiunga in maniera più completa il popolo che si sta servendo e dal punto di vista personale, oltre ad arricchirsi dentro, si ha sempre accanto qualcuno a cui rivolgersi e con cui confrontarsi. È una vita fatta insieme, quasi come in una famiglia, in una fraternità davvero molto stretta.

In questo momento sta dando un segno molto importante per una comunità e per una diocesi come quella di Gorizia. Inoltre lei è molto giovane; quale emozione la pervade in questo momento verso la realtà diocesana?Provo sicuramente un forte senso di gratitudine verso la diocesi per avermi accolto: essere incardinato in diocesi è un grande segno. I membri di questa comunità mi hanno più volte commosso per la vicinanza che mi hanno dimostrato, anche quando ero in missione.In questi giorni poi, incontrando tanti giovani, tante belle speranze per il futuro, mi sono sentito anche io pervadere da questa speranza. Desidero pregare tanto per la diocesi affinché il Signore dia vocazioni non solo sacerdotali ma anche matrimoniali e laicali, per portare avanti con amore e fede la “missione” della comunità dei fedeli, impegnandosi.Sento poi che il Signore mi rende responsabile, mi sento in qualche modo di poter essere un segno concreto di “sacerdote nel mondo” per la diocesi di Gorizia, di essere suo testimone e, successivamente, di riportare ad essa la mia esperienza, perché sia patrimonio di tutti.

Il ruolo di sacerdote e missionario la porterà nel suo futuro a spostarsi e ad incontrare moltissime comunità, persone, chiese. Cosa le piacerebbe lasciare in queste realtà con il suo passaggio?Mi piacerebbe lasciare il segno di quanto sia bello rispondere al Signore, che è bello dare risposta alla sua chiamata; questo fa realizzare completamente.Tutti sono chiamati, in più modalità e in più forme; è, come dice il papa, la “gioia” della chiamata, dell’evangelizzare e dell’essere rivolti non a sé stessi ma agli altri.