“Interroghiamoci insieme sul periodo che stiamo vivendo”

LETTERA AL CONSIGLIO DIOCESANO 

Cara / Caro Consigliere,  

in questi giorni non facili, sento la necessità di condividere alcuni sentimenti e alcune riflessioni con le persone che sono più coinvolte nel cammino pastorale della nostra Diocesi e considero miei più stretti collaboratori. Per questo ho scritto oggi una lettera a tutti i sacerdoti e ai diaconi e ho pensato di scriverne una analoga ai membri del Consiglio Pastorale Diocesano.

Stiamo vivendo dei giorni veramente difficili, una situazione inedita, che mai avremmo immaginato di affrontare. Questa situazione ci lascia spiazzati e senza punti di riferimento. Il non poter celebrare l’Eucarestia, il non poterci ritrovare a pregare come comunità, il non poter vivere le attività che costituiscono il tessuto quotidiano della vita delle nostre parrocchie, è una condizione che crea in noi sofferenza e disagio. Sappiamo che la cosa è inevitabile e che come cristiani, grazie anche al senso di solidarietà e di attenzione al bene comune che dovrebbe caratterizzarci, sentiamo molto forte l’impegno a camminare insieme con tutto il popolo italiano.

Penso che tutti vorremmo, con i nostri sacerdoti, trovare immediatamente delle soluzioni pratiche per poter continuare a vivere la pastorale come fino a poco tempo fa (sembra passato un secolo…), ma i tentativi fatti nelle ultime due settimane di trovare soluzioni percorribili sono saltati in modo sistematico. Resta ovviamente la seria preoccupazione di perdere i ritmi della vita della nostra comunità, di smarrire il senso e anche la pratica di ciò che ci caratterizza come discepoli del Signore, di sfilacciare i rapporti tra di noi, di trascurare chi ha più bisogno. Penso che sia necessario un po’ di pazienza e di fiducia nel Signore. Credo che questi siano anzitutto i giorni della riflessione, dell’interiorità, della purificazione. Del resto ciò sarebbe richiesto dal tempo liturgico che stiamo vivendo, i 40 giorni della Quaresima.

Quaranta giorni come quelli trascorsi da Gesù nel deserto: ce ne ha parlato il Vangelo della prima domenica di Quaresima (domenica che abbiamo vissuto senza la celebrazione comunitaria dell’Eucaristia). Alla Parola di Dio dobbiamo anzitutto rivolgerci per capire, per avere una luce. Nel deserto Gesù viene condotto dallo Spirito e certamente, al di là e dentro le cause naturali e umane, anche questi giorni hanno comunque la guida dello Spirito. Gesù è solo, a confronto con se stesso e con il Padre. Una solitudine non vuota, ma ricolma di preghiera, di silenzio, di austerità. Certamente anche di consolazioni, perché il deserto – lo dice l’esperienza del popolo di Dio – è anche un tempo in cui si sperimenta l’accompagnamento e la guida da parte di Dio e persino si vive l’intensità e la gioia del “fidanzamento” (cf Osea 2,16). Una solitudine però messa a prova anche dalle tentazioni del maligno. Tentazioni che toccano non aspetti periferici, ma l’identità stessa di Gesù come Figlio, come messia, come inviato dal Padre. Anche noi, in questa Quaresima “forzata” (o forse “rafforzata”…), possiamo vivere un’esperienza di deserto simile a quella di Gesù e, come comunità, analoga a quella vissuta dal popolo di Dio nell’Esodo. Un tempo in cui riscoprire chi siamo come comunità. 

    

Proprio riflettendo sulla nostra identità, vorrei chiederLe di riflettere su alcune domande: 

  • Quali sono le paure che sto vivendo in questi giorni come donna/uomo, discepola/discepolo del Signore? E quali i desideri e le speranze?

  • Che cosa crea più disagio a me e alla mia famiglia e alle famiglie della mia comunità? Che cosa mi preoccupa?

  • Come vivere in famiglia dal punto di vista della fede questo periodo: la preghiera, la trasmissione della fede, l’aiuto ai più deboli? Come approfittare di questo tempo che ci “costringe” a stare di più in casa per riprendere l’ascolto reciproco, il dialogo, l’attenzione all’altro? 

  • Che cosa può esserci utile per fare una “lettura spirituale” di quanto ci sta accadendo? 

  • Che cosa potremmo fare nelle prossime settimane per continuare la vita delle nostre comunità: la cura della preghiera, i percorsi di catechesi e di formazione, le attenzioni di carità, ecc.?

  • C’è qualcosa che possiamo fare come Consiglio pastorale diocesano nel suo insieme?

Posso chiederLe di condividere con me una riflessione (via mail) a partire da queste domande, possibilmente entro sabato 14 marzo? Mi sarà molto utile nel mio compito di pastore e per dare alcune linee per le settimane successive. 

Sentiamoci spiritualmente vicini nell’appartenenza e nel servizio al popolo di Dio che vive un momento difficile in cui non è scontato fare le scelte giuste. Grazie per la collaborazione anche in questo momento di prova.

Un caro saluto.

LETTERA AI DIACONI

Caro diacono, 

avrei voluto telefonarti personalmente (e cercherò di farlo nei prossimi giorni), ma il mezzo della lettera (via mail), mi permette di raggiungerti prima, spero con la stessa intensità di un contatto personale. Riprendo qui in parte quanto ho scritto ai sacerdoti della nostra Arcidiocesi e ai membri del Consiglio Pastorale Diocesano, ma mi sembra giusto indirizzarmi specificamente ai diaconi.

Stiamo vivendo dei giorni veramente difficili, una situazione inedita, che mai avremmo immaginato di affrontare. Questa situazione ci lascia spiazzati e senza punti di riferimento. Penso che anche ai diaconi, soprattutto quelli più impegnati in parrocchia, stiano arrivando tante richieste di chiarimento dalle persone più vicine: non siamo in grado di dare delle risposte precise perché la situazione cambia di ora in ora. Il non poter celebrare l’Eucarestia, il non poterci ritrovare a pregare con le nostre comunità, il non poter vivere le attività che costituiscono il tessuto quotidiano della vita delle nostre parrocchie è una condizione che crea in noi sofferenza.

Se mi metto nei panni di un sacerdote o di un diacono che lavora in parrocchia mi verrebbe da dubitare a proposito della necessità delle regole che ci sono state date circa le celebrazioni, ma poi, se penso al bene della comunità in senso più ampio, mi rendo conto di dover camminare insieme a tutto il popolo italiano; mi verrebbe da cercare immediatamente delle soluzioni pratiche per poter continuare a fare la pastorale come abbiamo sempre fatto, ma i tentativi fatti nelle ultime due settimane di trovare soluzioni pratiche sono saltati in modo sistematico. Insomma mi ritrovo con te e con i nostri sacerdoti a condividere la sofferenza e la fatica di questo tempo in cui è difficile sperare, e in cui ogni giorno la situazione sembra peggiorare. Credo che per me e per te questi siano i giorni della riflessione, dell’interiorità, della purificazione. Del resto ciò sarebbe richiesto dal tempo liturgico che stiamo vivendo, i 40 giorni della Quaresima.

Quaranta giorni come quelli trascorsi da Gesù nel deserto: ce ne ha parlato il Vangelo della prima domenica di Quaresima (domenica che abbiamo vissuto senza la celebrazione comunitaria dell’Eucaristia). Anzitutto alla Parola di Dio dobbiamo rivolgerci per capire, per avere una luce. Nel deserto Gesù viene condotto dallo Spirito e certamente, al di là e dentro le cause naturali e umane, anche questi giorni hanno comunque la guida dello Spirito. Gesù è solo, a confronto con se stesso e con il Padre. Una solitudine non vuota, ma ricolma di preghiera, di silenzio, di austerità. Certamente anche di consolazioni, perché il deserto – lo dice l’esperienza del popolo di Dio – è anche un tempo in cui si sperimenta l’accompagnamento e la guida da parte di Dio e persino si vive l’intensità e la gioia del “fidanzamento” (cf Osea 2,16). Una solitudine però messa a prova anche dalle tentazioni del maligno. Tentazioni che toccano non aspetti periferici, ma l’identità stessa di Gesù come Figlio, come messia, come inviato dal Padre.

Anche noi, in questa Quaresima “forzata” (o forse “rafforzata”…), possiamo vivere un’esperienza di deserto simile a quella di Gesù e, con la nostra comunità, analoga a quella vissuta dal popolo di Dio nell’Esodo. Un tempo in cui riscoprire chi siamo come diaconi, preti e comunità. Proprio riflettendo sulla nostra identità, ho visto che può farci bene andare con la memoria e con la preghiera al momento della nostra ordinazione, nel tuo caso quella diaconale, e riprendere in mano le promesse fatte in quel momento. Le riporto qui per comodità (sperando, aggiungo, di sentirle presto rivolte a qualche nuovo diacono…). 

Vuoi esercitare il ministero del diaconato con umiltà e carità in aiuto dell’ordine sacerdotale, a servizio del popolo cristiano?

Vuoi, come dice l’Apostolo, custodire in una coscienza pura il mistero della fede, per annunziarla con le parole e le opere, secondo il Vangelo e la tradizione della Chiesa? 

Vuoi custodire e alimentare nel tuo stato di vita lo spirito di orazione e adempiere fedelmente l’impegno della Liturgia delle ore, secondo la tua condizione, insieme con il popolo di Dio per la Chiesa e il mondo intero?

Tu che sull’altare sarai messo a contatto con il corpo e il sangue di Cristo vuoi conformare a lui tutta la tua vita?     

Queste domande invitano a ripensare che cosa significa per te nella concretezza dell’oggi essere “a servizio del popolo cristiano”. Soprattutto spingono i diaconi, con me vescovo e con il presbiterio, a vivere la preghiera – in particolare la liturgia delle ore – come intercessione: san Paolo ci invita a piangere con chi è nel pianto e a gioire con chi è nella gioia… (Rm 12,15). Questi giorni sono davvero importanti per riscoprire il compito fondamentale di pregare per la nostra gente, vivendo la vera compassione. Questo è esercizio della misericordia. Questo è anche il modo che abbiamo per offrirci uniti a Cristo, non meno importante che celebrare l’Eucarestia. 

In questi giorni di “deserto” ti chiedo di lasciarti interrogare da ciò che stiamo vivendo. Prima di ricercare delle soluzioni pratiche, è bene andare fino in fondo nel vissuto strano e drammatico di questi giorni. Vorrei quindi proporti di riflettere su queste domande: 

  • Quali sono le paure che sto vivendo, insieme al popolo di Dio, in questi giorni?

  • Che cosa emerge più forte del mio essere diacono, adesso che non posso dedicarmi, o lo posso fare solo in modo limitato, alle attività pastorali che mi sono state affidate?

  • Che cosa crea più disagio a me e alla mia famiglia e alle famiglie della mia comunità? Che cosa mi preoccupa?

  • Come vivere in famiglia dal punto di vista della fede questo periodo: la preghiera, la trasmissione della fede, l’aiuto ai più deboli? Come approfittare di questo tempo che ci “costringe” a stare di più in casa per riprendere l’ascolto reciproco, il dialogo, l’attenzione all’altro? 

  • Che cosa può essermi utile per fare una “lettura spirituale” di quanto ci sta accadendo? 

  • Come utilizzare il tempo che abbiamo a disposizione per alimentare la nostra fede?

  • Che cosa potremmo fare nelle prossime settimane per custodire le nostre relazioni tra diaconi e con il presbiterio?

  • Ci sono delle buone idee che possiamo suggerire e mettere in atto in collaborazione con i presbiteri per continuare la cura pastorale del popolo di Dio (in particolare i percorsi di catechesi e di formazione, la cura della preghiera, le attenzioni di carità)?

Posso chiederti di condividere con me una riflessione (via mail) a partire da queste domande, possibilmente entro sabato 14 marzo? Mi sarà molto utile nel mio compito di pastore e per dare alcune linee per le settimane successive. 

Vorrei attraverso questa lettera manifestarti e confermarti la gratitudine e la stima che nutro per il tuo impegno come diacono nella nostra diocesi e per la tua dedizione alla comunità (o alla realtà) che sei chiamato a servire con il tuo ministero. Sentiamo vicini, vescovo, presbiteri e diaconi di Gorizia, nel servizio al popolo di Dio che vive un momento difficile in cui non è scontato fare le scelte giuste. 

Un caro saluto.

LETTERA AI PRESBITERI

Caro fratello presbitero, 

avrei voluto telefonarti personalmente (e cercherò di farlo nei prossimi giorni), ma il mezzo della lettera (via mail) mi permette di raggiungerti prima, spero con la stessa intensità di un contatto personale. 

Stiamo vivendo dei giorni veramente difficili, una situazione inedita, che mai avremmo immaginato di affrontare. Questa situazione ci lascia spiazzati e senza punti di riferimento. Probabilmente anche a te, come a me arrivano tante richieste dalle persone più vicine, e non siamo in grado di dare delle risposte precise perché la situazione cambia di ora in ora. Il sentirsi impotenti e il ritrovarsi nel giro di un giorno “disoccupati” perché privati della possibilità di esercitare il ministero nelle modalità ordinarie, è una condizione che ci interroga. Il non poter celebrare l’Eucarestia, il non poterci ritrovare a pregare con le nostre comunità, il non poter vivere le attività che costituiscono il tessuto quotidiano della vita delle nostre parrocchie è una condizione che crea in noi sofferenza.

Se mi metto nei panni di un sacerdote che lavora in parrocchia mi verrebbe da dubitare a proposito della necessità delle regole che ci sono state date circa le celebrazioni, ma poi se penso al bene della comunità in senso più ampio mi rendo conto di dover camminare insieme a tutto il popolo italiano; mi verrebbe da cercare immediatamente delle soluzioni pratiche per poter continuare a fare la pastorale come ho sempre fatto, ma i tentativi fatti nelle ultime due settimane di trovare soluzioni pratiche sono saltati in modo sistematico. Insomma mi ritrovo con te a condividere la sofferenza e la fatica di questo tempo in cui è difficile sperare, e in cui ogni giorno la situazione sembra peggiorare. Credo che per me e per te questi siano i giorni della riflessione, dell’interiorità, della purificazione. Del resto ciò sarebbe richiesto dal tempo liturgico che stiamo vivendo, i 40 giorni della Quaresima.

Quaranta giorni come quelli trascorsi da Gesù nel deserto: ce ne ha parlato il Vangelo della prima domenica di Quaresima (domenica che abbiamo vissuto senza la celebrazione comunitaria dell’Eucaristia). Alla Parola di Dio dobbiamo anzitutto rivolgerci per capire, per avere una luce. Nel deserto Gesù viene condotto dallo Spirito e certamente, al di là e dentro le cause naturali e umane, anche questi giorni hanno comunque la guida dello Spirito. Gesù è solo, a confronto con se stesso e con il Padre. Una solitudine non vuota, ma ricolma di preghiera, di silenzio, di austerità. Certamente anche di consolazioni, perché il deserto – lo dice l’esperienza del popolo di Dio – è anche un tempo in cui si sperimenta l’accompagnamento e la guida da parte di Dio e persino si vive l’intensità e la gioia del “fidanzamento” (cf Osea 2,16). Una solitudine però messa a prova anche dalle tentazioni del maligno. Tentazioni che toccano non aspetti periferici, ma l’identità stessa di Gesù come Figlio, come messia, come inviato dal Padre.

Anche noi, in questa Quaresima “forzata” (o forse “rafforzata”…), possiamo vivere un’esperienza di deserto simile a quella di Gesù e, con la nostra comunità, analoga a quella vissuta dal popolo di Dio nell’Esodo. Un tempo in cui riscoprire chi siamo come preti e come comunità.         

Proprio riflettendo sulla nostra identità, ho visto che mi fa bene andare con la memoria e con la preghiera al momento dell’ordinazione presbiterale e riprendere in mano le promesse fatte in quel momento. Le riporto qui per comodità (sperando, aggiungo, di sentirle presto ripetere da qualche nostro giovane…). 

Vuoi esercitare per tutta la vita il ministero sacerdotale nel grado di presbitero, come fedele cooperatore dell’ordine dei vescovi nel servizio del popolo di Dio, sotto la guida dello Spirito Santo?

Vuoi celebrare con devozione e fedeltà i misteri di Cristo secondo la tradizione della Chiesa, specialmente nel sacrificio eucaristico e nel sacramento della riconciliazione, a lode di Dio e per la santificazione del popolo cristiano?

Vuoi insieme con noi implorare la divina misericordia per il popolo a te affidato, dedicandoti assiduamente alla preghiera, come ha comandato il Signore?

Vuoi essere sempre più strettamente unito a Cristo sommo sacerdote, che come vittima pura si è offerto al Padre per noi, consacrando te stesso a Dio insieme con lui per la salvezza di tutti gli uomini?

Queste domande mi invitano a ripensare che cosa significa per me oggi cooperare con tutto il presbiterio sotto la guida dello Spirito Santo, mi chiede di riaffermare che cosa significa dire che i sacramenti sono a lode di Dio, oltre che per la santificazione del popolo cristiano. Soprattutto mi interpella l’invito a vivere la preghiera come intercessione: “implorare la divina misericordia per il popolo a me affidato”… San Paolo ci invita a piangere con chi è nel pianto e a gioire con chi è nella gioia… (Rm 12,15). Questi giorni sono davvero importanti per riscoprire il compito fondamentale di pregare per la nostra gente, vivendo la vera compassione. Questo è esercizio della misericordia. Questo è anche il modo che abbiamo per offrirci uniti a Cristo, non meno importante che celebrare l’Eucarestia. 

In questi giorni di “deserto” ti chiedo di lasciarti interrogare da ciò che stiamo vivendo. Prima di ricercare delle soluzioni pratiche, facciamo bene ad andare fino in fondo nel vissuto strano e drammatico di questi giorni. Vorrei quindi proporti di riflettere su queste domande: 

  • Quali sono le paure che sto vivendo, insieme al popolo di Dio, in questi giorni?

  • Che cosa emerge più forte del mio essere presbitero, adesso che non posso dedicarmi a molte delle attività abituali?

  • Che cosa può essermi utile per fare una “lettura spirituale” di quanto ci sta accadendo? 

  • Come utilizzare il tempo che abbiamo a disposizione per alimentare la nostra fede?

  • Che cosa potremmo fare nelle prossime settimane per custodire le nostre relazioni nel presbiterio?

  • Ci sono delle buone idee che possiamo mettere in atto per continuare la cura pastorale del popolo di Dio (in particolare i percorsi di catechesi e di formazione, la cura della preghiera, le attenzioni di carità)?

Posso chiederti di condividere con me una riflessione (via mail) a partire da queste domande, possibilmente entro sabato 14 marzo? Mi sarà molto utile nel mio compito di pastore e per dare alcune linee per le settimane successive. 

Vorrei attraverso questa lettera manifestarti e confermarti la gratitudine e la stima che nutro per il tuo impegno come presbitero nella nostra diocesi e per la tua dedizione alla comunità che sei chiamato a servire con il tuo ministero. Sentiamo vicini, come presbiterio di Gorizia, nel servizio al popolo di Dio che vive un momento difficile in cui non è scontato fare le scelte giuste. E ringraziando il Signore del poter celebrare almeno noi l’Eucarestia, sentiamoci uniti tra di noi, col popolo di Dio e con tutti i sofferenti.

Un caro saluto.