“Il prete deve ’dire’ messa o celebrare la messa?

“Permettete una mia lamentela: siamo tra amici e posso farla con tranquillità. Ogni tanto dico a don Carlo, a don Renato e ai vostri sacerdoti: nella nostra diocesi di Gorizia è ripartito il cammino vocazionale, abbiamo sei seminaristi – uno inizia a fine mese con altri otto di Udine e uno di Trieste – e un altro sta frequentando a Roma, ci sono poi anche delle vocazioni religiose, ma provengono tutti da comunità di lingua italiana. Possibile che lo Spirito Santo, che parla tutte le lingue e in ogni cuore, non si dia da fare nelle unità pastorali e nelle parrocchie di lingua slovena? Io non ci credo: c’è qualcosa che non funziona… Forse qui le nonne e le mamme – perché sono loro decisive per le vocazioni – non pregano per avere un nipote o un figlio sacerdote? Scusate lo sfogo…, ma come sapete io ci tengo molto alla splendida e arricchente presenza di due culture nella nostra diocesi di confine: è un dono prezioso da non buttare via. Lo dico anche a voi ragazzi, senza dimenticare le ragazze perché sono importanti anche vocazioni femminili di consacrazione, nonché ovviamente le vocazioni al matrimonio”.Così l’arcivescovo Carlo, durante la celebrazione della Cresima domenica 19 settembre nella chiesa di S. Andrea, ha sollecitato le parrocchie di lingua slovena ad un ulteriore impegno e preghiera per la proposta vocazionale ai giovani.Ne abbiamo parlato con don Carlo Bolčina, vicario episcopale per i fedeli di lingua slovena della diocesi, parroco di S. Andrea ed amministratore parrocchiale di Aurisina, San Pelagio e Sgonico.

Don Carlo l’arcivescovo mons. Redaelli celebrando il rito della Confermazione per i ragazzi dell’UP Isonzo -. Vipacco ha espresso “una lamentela fra amici” sottolineando come manchino le vocazioni sacerdotali fra le comunità di lingua slovena…Il cambiamento sociale e culturale della nostra Chiesa locale non ha risparmiato neanche le comunità di lingua slovena, cioè quelle che fino a qualche anno fa erano composte prettamente da fedeli di lingua e cultura slovene. Se fino all’anno 2000 potevamo dire che in dodici parrocchie l’unica lingua di comunicazione era lo sloveno (celebrazioni, catechesi, dialoghi…) e solo in cinque era abituale l’uso di due lingue, oggi non c’è comunità cristiana che possa definirsi “esclusivamente” slovena. Da Zgonik-Sgonico (Carso Triestino) a Devin-Duino (Litorale), da Jamlje-Iamiano e fino a Števerjan-S. Florian del Colio e Krmin-Cormons, con una particolare realtà che è Gorizia, le comunità di lingua slovena, riunite intorno ad un altare, sono circa venticinque, se teniamo conto anche delle due Case religiose. D’altra parte dobbiamo riconoscere che pure in molte parrocchie “italiane” l’uso dello sloveno (forse soltanto in minima parte ed occasionalmente) è diventato abituale. E aggiungo che molti presbiteri e diaconi, oltre il vescovo, hanno una conoscenza della lingua slovena tale da poter almeno leggere in modo corretto. Personalmente non mi piace distinguere tra sacerdoti sloveni e italiani, si rischia un conflitto ed un stravolgimento ecclesiologico, ma se vogliamo verificare – dati alla mano – la situazione del “clero sloveno”, ecco i numeri: oggi siamo sei i preti sloveni incardinati in Diocesi, un incardinato croato, due sloveni non incardinati. A questi possiamo aggiungere alcuni presbiteri che da anni passano “il confine” della diocesi di Koper-Capodistria e accorrono in aiuto in particolari circostanze. Vogliamo dire una parola anche sull’età? Cinque oltre i settanta, due sopra i cinquanta e due più di trenta.

Tante parrocchie e pochi sacerdoti: come riuscite a continuare ad assicurare la celebrazione sacramentale ma anche la presenza del sacerdote in questa situazione?La domanda esige una risposta pluri-articolata, cercherò di andare per ordine.1. Il calo del numero dei sacerdoti ha portato ad un calo del numero delle celebrazioni eucaristiche il giorno di domenica, ma non un calo generale delle ss. messe. Se prima il culto festivo era presente in ogni chiesa parrocchiale (ed anche filiale) il giorno di domenica oggi le celebrazioni festive iniziano il sabato (anche in due luoghi diversi) e continuano domenica (in altri due luoghi diversi): Quindi ogni prete celebra un massimo di quattro messe festive (beh, ci sono anche eccezioni che eccedono e altre che abbassano tale numero). In questo modo riusciamo a celebrare in 24 comunità. Togliendo i sacerdoti in età tutto sommato abbiamo un esubero di preti!2. Quest’ultima considerazioni troverà sicuramente opposizione e critica di molti, perché in effetti molte chiese sono sguarnite della messa festiva. Ma io pongo tre domande: si fa messa per la chiesa e per la Chiesa? Si fa messa per il fedele o per i fedeli? Il prete deve “dire” messa (in velocità, di corsa) o celebrare la messa?3. Abbiamo ritenuto opportuno, con i fedeli delle comunità, alternare le celebrazioni: una domenica in un luogo e una domenica in altro viciniore. Le feste un anno qua ed un altr’anno là.4. Per non sminuire o negare l’identità delle singole, piccole comunità, celebriamo la s. messa feriale ogni giorno in un’altra chiesa.5. Nella ricorrenza del Santo Patrono si cerca, per quanto possibile, di sospendere le celebrazioni nelle diverse chiese e far confluire i fedeli nel luogo della festa.6. Tutto quanto espresso più sopra è stato notevolmente ribaltato con l’inizio del ritorno in chiesa al tempo del COVID19. Preferiamo i luoghi esterni; se invece interni, quelli più spaziosi. Di conseguenza alcune chiese (le meno capienti), oggigiorno sono chiuse.

Ritorno alla “lamentela” dell’arcivescovo. Quali sono, secondo Lei, i fattori che influiscono su questa situazione? Quali le prospettive future?Una delle spiegazioni, credo la più plausibile, sia l’esistenza di una comunità all’interno di un’altra, più grossa e più forte. Per conservare la propria lingua e la propria identità la società slovena propone molte attività a livello culturale, sportivo, ricreativo etc. Questa notevole concentrazione esclude un po’ le attività ecclesiali e di conseguenza i giovani sono concentrati sulle attività extra-ecclesiali, riducendo al minimo la partecipazione religiosa. C’è poi un’altra causa, secondo me. La società slovena in Slovenia patisce ancora molto dell’educazione ricevuta durante il periodo anti-ecclesiale del secolo scorso. I rapporti tra gli Sloveni di “qua” e di “là” sono molteplici e vari, pertanto anche il pensiero corrente non si ferma ai confini dello Stato, ma impregna anche la mente delle persone in questa relazione. E poi, se mi faccio un profondo e sincero esame di coscienza: il mio stato di presbitero, le mie parole, i mei atteggiamenti, le mie relazioni sono tali da rendere la vocazione religiosa un’attrattiva?Concludo con un pensiero positivo: quanto non c’è, può ancora avverarsi. Sono convinto che in molti giovani qualcosa sta maturando, lo vedo nei loro volti e lo sento nel loro cuore. Con un po’ di pazienza e sostengo orante da parte degli adulti c’è la faranno.

Nel contesto da Lei delineato che ruolo hanno e posso assumere i laici?Mi suona un po’ “clericale” questa domanda… Secondo me non sono i laici a dover assumere specifici compiti e particolari negozi nella Chiesa, ma i consacrati. I fedeli laici sono (o dovrebbero essere) il motore della Chiesa – anche perché sono la maggioranza, mentre noi presbiteri (e diaconi e vescovi, insieme alle famiglie religiose) dovremmo supportarli in quei compiti dove loro non possono inserirsi: la celebrazione eucaristica, il dono sacramentale della misericordia, il conforto agli ammalati. Si, anche l’insegnamento dei contenuti della fede fa parte di questo elenco, ma in modo di proposta delle linee guida. Questo concetto di Chiesa sta alla base della nostra Unità pastorale già da anni. I fedeli laici hanno assunto diversi ruoli e si sono fatti carico di varie responsabilità. Ad esempio: tutta la parte di gestione economica e finanziaria, la catechesi di tutte le fasce di età (i presbiteri manteniamo soltanto la guida dei gruppi adulti), la segreteria ed ufficio etc. Ma la radice di tutto è un verbo non sempre dolce al nostro palato: fidarsi del prossimo!