Il futuro che aspetta la diocesi

Dalle riunioni separate dei due Consigli diocesani (Consiglio presbiterale: un’ora e mezzo di ascolto intenso; e Consiglio Pastorale: relazione del responsabile della pastorale ed integrazioni dei presenti) è possibile riconoscere alcune linee di lettura e di proposta per il domani della chiesa goriziana. Gli incontri dei massimi organismi della diocesi, hanno tentato di rispondere non solo a due domande ma di riscoprire l’essenziale nel momento di un cambiamento così profondo nel sentire e del vivere della fede e dell’essere chiesa dei fedeli laici e dei presbiteri. Un bilancio positivo che potrebbe essere rappresentato bene – non tanto dall’elenco delle iniziative vecchie e nuove intraprese – quanto proprio da un bagno realistico nel riconoscere la fragilità e la grandezza della fede in tante testimonianze di carità, la bellezza della preghiera in famiglia, dei tentativi di mantenere un rapporto con le persone e le famiglie ed anche delle non comprensioni.Altrettanto vivo e concreto nella sua drammaticità -che alla fine fa dire che “tutto è grazia” per chi crede – il senso di sconcerto, disarmante e pesante, di fronte alle cause (solo ultima il coronavirus) della situazione a causa del senso di spaesamento vivo e totale, di vuoto e di incapacità di adattamento, fino alla percezione del limite.In questo quadro, pesante, poco o niente hanno significato il tanto impegno per alcune procedure a causa delle giusti preoccupazioni di garanzia della salute; molto più forte e deciso, deve apparire per la Chiesa diocesana nelle sue diverse dimensioni, il coraggio di porsi domande inusuali (quale salvezza e salute da privilegiare e come; come parlare della fede oggi in un mondo che ha perduto alcuni connotati di facciata e fa emergere alcune ragioni forti della fede e speranza? Quale sicurezza della fede, il non ritorno di tante cose …) fino a ieri. Al punto che tornano di attualità altre esigenze insopprimibili che riguardano il senso della testimonianza dei cristiani, sale e luce…; l’attenzione non solo al mondo interno della chiesa (liturgia, catechesi e carità) con le sue contraddizioni e problemi;soprattutto la domanda di come testimoniare la novità della fede e la freschezza del vangelo (annuncio di gioia e parola di salvezza e di speranza) in questo nuovo e inedito contesto culturale.Ci si è chiesti -secondo l’immagine antica- quale uomo e quale fede (la testimonianza di Cristo crocefisso); quale discernimento, cioè quale teologia per dare spiegazioni credibili e annunciabili oggi (la vita e la morte, la sofferenza e il dolore, l’annuncio della Apocalisse…). La riflessione si è allargata – intanto solo per accenni – su quali risposte concrete (gruppi famiglia, gruppi di base…); ha trovato spazio anche la richiesta di un nuovo discernimento per coglie e capire la portata del mutamento in atto e delle trasformazioni del futuro; per non parlare delle modalità della celebrazione dei sacramenti… e sacramentali; soprattutto la richiesta per i cristiani di essere di fatto “annunciatori della buona notizia dell’amore e della speranza”, incrociando (e non facendo finta che non esistano) i temi e le situazioni della vita comunitaria, della fede nella nostra terra e fra le nostre case. Di più: è venuta alla luce, finalmente e con grande enfasi, la carenza di formazione: cioè di fede vissuta e pensata, di modo con il quale leggere la realtà ed interpretarla alla luce della Parola e non delle devozioni varie, di maturità per scelte che si impongono e che non lasciano più posto ad esecutori obbedienti o burocrati della fede. Interrogativi inquietanti e impegnativi, anche sullo stesso concetto di formazione, di progetto educativo di una fede adulta e impegnata sul fronte della società verso la quale fede e chiesa sono impegnate. Dal come ci presenteremo si appurerà la motivazione dell’impegno, ma anche la credibilità nella certezza che la fede è sempre ricerca, passione per l’uomo, adesione di vita, donazione.Cosa fare per il futuro che è già oggi? L’arcivescovo Redaelli ha chiesto ai presenti di continuare la riflessione e la ricerca; di sperimentare  attraverso proprio il passa parola la pratica della fede, di essere attivamente al servizio nella carità, di vivere il silenzio come un modo per interrogarsi sul modo di parlare e di vivere la fede. Senza chiudersi ma spalancando le porte alla comprensione della fede e della sua ragionevolezza ma alla bellezza dell’amore che salva.     Le linee di pastorale, evidentemente, non potranno che essere in linea con questo discernimento e questa sperimentazione paziente. Dietro alle quali, occorre far strada alle lezioni di vita e di fede che guarda proprio ad un annuncio che ha a cuore la casa comune, la bellezza della fede vissuta e la grandezza della testimonianza. Una ricerca non senza la prospettiva di nuove esperienze, dunque di futuro per la fede.