Il Natale di tanti anni fa

Il nostro Natale di ragazzi, negli anni tra il ’30 e il ’40, incominciava a scuola, dove si faceva il presepio in classe con la collaborazione di tutti.

Recita scolasticaDurante uno degli anni delle elementari, la maestra volle anche farci rivivere le vicende della notte natalizia. Per farlo c’impegnò a realizzare l’evento con una recita del racconto di Guido Gozzano dal titolo: “La Notte Santa”. La suggestiva rievocazione riscosse tra noi un grande successo, ci emozionò e ci commosse molto. Nella storia che vivemmo, alcuni di noi scolari ebbero una parte, io impersonavo San Giuseppe. Assieme alla Madonna dovevo interpellare gli osti delle varie osterie dove non c’era posto per… “un vecchio falegname” e sua moglie! Alla fine ci si dovette adattare: “Ecco una stalla!”. E’ qui, in una umile mangiatoia, per noi tra alcuni banchi adattati alla bisogna, nasce il “Sovrano Bambino”, salutato da un prorompente “Alleluja”! Nel corso della recitazione, in alto sulla cattedra, un campanile, personificato dal nostro compagno più alto, “scoccava lentamente le ore” fino alla “Mezzanotte santa”. La dizione dell’ultima parte del brano poetico, molto bella, fatta assieme, concludeva lo spettacolo, introducendoci bene al prossimo Natale.

Preparativi in casaAnche a casa nei primi di dicembre s’incominciava ad avvertire l’aria natalizia: era ora di pensare al presepio! C’era innanzi tutto da procurare il muschio, che avrebbe tappezzato il finto terreno; per questo doveva risultare fresco e bello e il luogo migliore per trovarlo erano le pendici nord della Castagnavizza: qui sarebbe avvenuta la raccolta. Mi procuravo inoltre, alcuni ciocchi che sarebbero serviti a costruire le montagne, utilizzavo poi la carta argentata per far scorrere un torrente e formare un bel laghetto, usavo della sabbia per costruire la carreggiata delle strade. Al momento della disposizione delle varie parti del presepio, riservavo molta cura alla collocazione dei personaggi, intenti alla loro opera, dal fabbro al falegname, alle massaie con le loro attività casalinghe, ai pastori con le greggi. C’era poi il popolo di chi accorreva alla grotta con i doni per il bambinello appena nato. Un po’ discosto in lontananza, in alto, tra le umili casette, s’intravedeva il castello di Erode. Lì presso si potevano scorgere, in cammino, i re magi, che mossi un po’ alla volta, giorno per giorno, sarebbero arrivati alla meta all’Epifania. Nella grotta sostavano i genitori di Gesù con accanto l’asino e il bue, l’infante divino non c’era fino a quando non fosse arrivata la mezzanotte del giorno fatidico. Il suo arrivo sarebbe stato solenne e degnamente celebrato, con una piccola festa, allietata dai nostri canti e, se c’erano, dallo scintillio d’innocui fuochi d’artificio, scoppiettanti su una piccola asta tenuta in mano. Nei giorni successivi i nostri presepi sarebbero stati visitati e giudicati dai vicini e noi ragazzi avremmo recitato le poesie che per l’occasione avevamo imparato.

L’albero dei vicini e la lettera… per papàTra le rappresentazioni natalizie di allora era pressoché assente l’albero di Natale, nella nostra mente conosciuto come un’usanza dei paesi nordici. Nel palazzo di via Caprin 21, la casa dei ferrovieri dove abitavo, si poteva trovare un solo albero di Natale, timido e solitario, era quello preparato dalla famiglia più emancipata, che proveniva dal Piemonte: qui lo andavamo a vedere come qualcosa di eccezionale! Non esisteva naturalmente Babbo Natale, se mai si preparava una letterina per il nostro babbo, compilata a scuola, nella quale vi erano scritti gli auguri per la ricorrenza e la promessa di diventare… più buoni; la mettevamo, con la complicità della mamma, sotto il tovagliolo dei nostri papà. Non si parlava poi di doni, ai quali aveva eventualmente provveduto a suo tempo San Nicolò.

La tavola nataliziaIl grande evento natalizio lo si poteva in qualche modo cogliere anche a tavola, dove compariva il meglio della produzione culinaria casalinga. La vigilia invece era strettamente di magro, a casa nostra, celebrata con  la presenza del “capitone”, il pesce della tradizione napoletana. Lo curava la mamma, in omaggio alle sue origini campane, papà a sua volta si dedicava ad un preparato esclusivamente suo, a base di baccalà lavorato secondo un uso del paese molisano dal quale mio padre proveniva. Si trattava di presenze che si ripetevano ogni anno, scandendo il passato dei miei genitori. Per il giorno della festa venivano invece preparati i tortellini e l’immancabile panettone. La loro preparazione, che avveniva nei giorni precedenti la comparsa in tavola, avveniva in modo proficuamente festoso, nella nostra cucina, alla presenza attenta e collaborativa di noi figli minori. Tra le altre leccornie natalizie ricordo gli “struffoli”, palline di pasta fritta irrorate di miele e piacevolmente cosparse di confettini colorati, che mettevano allegria e solleticavano la gola. Anch’essi rappresentavano una specialità meridionale cara ai miei genitori. Sul desco natalizio non mancava, tra i dolci, il torrone, gradito da tutti, ma particolarmente amato da papà. A proposito di mio padre, devo dire che purtroppo non sempre a Natale poteva stare con noi, il suo servizio di ferroviere lo prevedeva a volte al lavoro anche in una giornata tanto importante… i treni non si fermavano certo nei giorni di festa!

Giochi con gli amiciDurante le vacanze natalizie, prima e dopo il Natale, l’attività più divertente di noi ragazzi consisteva nel giocare a tombola. In casa di qualcuno di noi ci si trovava attorno ad un tavolo per svolgere quel gioco quanto mai semplice ma per noi assai festoso, che ci permetteva di stare tutti assieme in sana allegria. Dopo cena venivano a giocare anche i nostri genitori ed allora, come premio, spuntava qualche soldino, pochi spiccioli per il terno, la quaterna, la cinquina e la tombola; alla fine qualcuno poteva guadagnarci, ma si trattava di poco, era già molto una lira!

La messa di mezzanotteQuando è stato possibile, prima e dopo la guerra, nella notte di Natale si celebrava anche la messa di mezzanotte, alla quale noi giovani partecipavamo tutti. Dell’anteguerra ricordo bene una spedizione verso la chiesa di Piazzutta della gioventù del nostro palazzo, ragazzi e giovanotti, durante la quale per la strada c’imbattemmo in alcuni mucchietti di neve ai lati della carreggiata, residuo di una precedente nevicata. Naturalmente furono l’occasione per scambiarci qualche allegra pallata! Nel dopoguerra invece, diventato ormai più grande ed emancipato, ricordo la serata natalizia passata a casa dei cugini del mio amico Berto, sempre a giocare a tombola fino all’ora della funzione notturna. Ci trovavamo presso la numerosa, e quella sera festosa, famiglia del maestro Medeot, tra giovani più o meno della mia età, femmine e maschi. Era lontano ormai il tempo del presepio, ci si proiettava verso il mondo e, lungo il tragitto per andare in chiesa, non si giocava a palle di neve, ma si parlava dei nostri impegni di studio e delle nostre responsabilità di giovani cattolici. Un ideale filo legava però, l’ingenuo Natale dell’infanzia a quello più consapevole della gioventù, l’incontro con un incredibile mistero di luce e di speranza!