I cimiteri ci parlano di vita

“All’ ombra de’ cipressi e dentro l’urne confortate di pianto è forse il sonno della morte men duro?” Ugo Foscolo, I sepolcri

Ritornano alla mente antiche reminiscenze letterarie, in questo mese di novembre, dedicato al ricordo dei defunti, nel varcare il cancello del Cimitero, luogo di riposo, nel suo significato etimologico, ma in realtà luogo di dolorose nostalgie e di lacrime, nel sentire comune.Eppure, soprattutto in occasione della ricorrenza dei morti, i Cimiteri parlano di vita: le tombe adorne di fiori dai più svariati colori, i lumini accesi, il via-vai delle persone in visita ai propri cari, i cipressi che fiancheggiano i vialetti, parlano più di presenza che di assenza, come se un invisibile e sottile filo conduttore legasse i vivi ai morti, oltre il tempo e lo spazio, in un “per sempre” che profuma di eternità. Ogni tomba, dalla più semplice a quella più monumentale, parla di chi, virtualmente, la abita e il cui nome, sempre in chiara evidenza, identifica una persona che è stata, che continua ad esserci e che chiede di non essere dimenticata.Per dirla con S. Agostino “Quelli che ci hanno lasciato, non sono assenti, sono invisibili. Tengono i loro occhi, pieni di gloria, fissi nei nostri, pieni di lacrime”. C’è un innegabile e ineludibile realtà di dolore, spesso inconsolabile, nella perdita di una persona cara, ma per i cristiani, c’è sempre il richiamo ad una speranza e a una consolazione, che vanno oltre. Il cimitero di Capriva, più o meno eguale a tutti gli altri luoghi di sepoltura, costudisce una tomba che non può sfuggire alla vista del visitatore anche più distratto: sta laggiù, incastonata nel muro di cinta, semplice, ma con una fisionomia particolare, quasi icona di un passato in cui le tombe avevano forme essenziali, che oggi diremmo antiquate.  E, questa tomba, antica lo è veramente, risalendo al 1887 e costudente la salma della prima persona inumata nel cimitero di Capriva.Una grande croce sovrasta la lapide, al centro la fotografia di una donna e sotto, a grandi caratteri, un nome: Rosalia Roset di anni 27 Lascia il desolato marito, con 4 figli.La morte non fa distinzioni: ce lo ricorda l’età di questa moglie e madre, costretta a lasciare gli affetti più cari nel vigore della vita. Tutti siamo chiamati a fare i conti con questa realtà, tutti siamo chiamati a vivere “alla grande”, amando e lasciandoci amare, per imparare l’arte del morire, attraverso l’esercizio dell’arte del vivere: come figli di Dio, consapevoli dei nostri limiti e delle nostre paure, ma anche confidando nella sua Misericordia e nella Fedeltà alle sue promesse. La morte ha il potere di metterci davanti allo strazio di un distacco, mai indolore, ma non ha il potere di distruggerci e di cancellare i ricordi.La tomba di Rosalia, per gli abitanti di Capriva, ma per tutti, è la testimonianza che il lungo tempo passato dalla sua morte, non è che una manciata di giorni: una mano pietosa, nel trascorrere del tempo, ha continuato ad adornare e costudire il suo semplice sepolcro e molti hanno la attinto, dalle parole impresse, quasi a corona, sulla lapide, la forza di continuare a credere e a sperare.No, nonn piangier, figli mieiSe io sono adormentataDio mi ha chiamata Verrà un dì, Che mi risveglierò È il testamento spirituale di una donna dalla fede semplice e solida, che ha creduto nell’Amore e che, con Fede adamantina, afferma che la morte non può avere l’ultima parola, perché ci sarà un risveglio…E, allora, ci ritroveremo, riabbracceremo chi abbiamo amato e ci ha amato, vedremo Dio “faccia a faccia e ci incammineremo lungo i sentieri di una Vita bella, piena, felice e senza fine.Questa sarà l’ultima parola, perché, come dice S. Agostino: “La morte non è niente, sono solamente passato dall’altra parte. È come se fossi nascosto nella stanza accanto. Io sono sempre io e tu sempre tu. Quello che eravamo prima, l’uno per l’altro, lo siamo ancora”.Allora, nessuna lacrima sarà andata perduta, nessun dolore sarà stato infecondo, ogni lutto acquisterà il suo senso e la morte profumerà’, già qui ed ora, di Risurrezione.