Giovani alla ricerca di senso nella nuova “terra di mezzo”

“Giovani e ricerca spirituale nell’epoca post-secolare”. Questo il tema di un’interessante giornata di studio promossa dal biennio di licenza della Facoltà Teologica del Triveneto a Padova. Un tema centrale, sia in vista del Sinodo dell’ottobre 2018, sia nell’ambito dei Seminari interdisciplinari della Facoltà, che quest’anno hanno come tema “Scelta di vita e vocazione. Accompagnare nel discernimento il cammino dei giovani” per quanto riguarda Teologia Pastorale e “Ricerca ed esperienza del senso nell’epoca post-secolare. Provocazioni, interrogativi, chanche per la spiritualità cristiana” per Teologia Spirituale.L’epoca attuale è sovente denominata “post-secolare” perché, diversamente da quanto si era ritenuto in passato, i processi di secolarizzazione non hanno svuotato l’universo umano da qualsiasi riferimento al sacro, sebbene abbiano contribuito a ridisegnare l’esperienza spirituale di contenuti e profili. Guardare alla ricerca spirituale dei giovani significa mettersi in ascolto, riformulare le domande e rimettersi in gioco.

I giovani e la religione “in standby”Il primo intervento, tenuto dal professor Castegnaro, sociologo, presidente dell’Osservatorio Socio-Religioso del Triveneto e autore di diverse note ricerche tra cui “C’è campo?” e “Fuori dal recinto”, ha evidenziato come nelle generazioni attuali la domanda di senso si ponga a livello individuale; il senso dell’esistere è ricerca, costruzione, realizzazione di sé. La religione rappresenta una possibilità e non più una necessità, viene accolta se aiuta a vivere, è una realtà opzionale.Lo specifico dei giovani oggi è costituito da quella che Castegnaro chiama la “fase della religione in standby”, uno stato di “moratoria psicosociale” (come la definisce Erickson), che indica come le fasi dell’evoluzione spirituale siano cambiate. “La definizione di sé in rapporto alla dimensione spirituale, più che essere il prodotto di una scelta in senso forte, presa una volta per tutte, assumerà di fatto i contorni di un lungo processo, non lineare, che attraverserà fasi diverse, ora di sospensione, ora di ripresa. Nella consapevolezza, riflessiva e relativizzante, che se l’identità può – non “deve” – essere ancora ritenuta ereditata e ricevuta, le proprie convinzioni religiose, la fede, non potranno che essere basate su una scoperta interiore, se ci sarà”. Anche il modo di credere è centrato più sul senso, che sui contenuti: “c’è una terra di mezzo – ha evidenziato Castegnaro – fra le rive del credere e del non credere, in cui si manifestano gradi di convinzione e forme del credere quanto mai differenziate”. Si tratta di nuove forme del credere, che non vengono intercettate dalla pastorale tradizionale. Il sociologo ha citato, ad esempio il noto festival biblico che attira un pubblico del tutto diverso da quello che si può ritrovare nelle assemblee domenicali, una domanda di spiritualità fortemente sottovalutata, un nuovo bisogno spirituale che attende di essere valorizzato.

La scelta vocazionale: affidamento creativoÉ seguita la relazione del professor don Duilio Albarello, teologo, della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, che ha riproposto alcune suggestioni di Charles Taylor ne “L’età secolare”.Alla base dell’atteggiamento dell’inquietudine, e quindi della ricerca spirituale, sta il bisogno di un “senso eccedente”. Intrecciato strettamente con il desiderio di senso, si pone quello che Kristeva definisce l’”incredibile bisogno di credere”, ossia una dimensione fondamentale di fiducia, che connota strutturalmente il soggetto umano, in quanto soggetto che parla e agisce: una “necessità antropologica, prereligiosa e prepolitica” che, nella prospettiva della psicoanalisi, affonda le radici nel vissuto profondo del rapporto primario con la madre e con il padre”. “Il bisogno di credere” ha affermato “non può essere idealizzato, ma neanche ignorato; deve essere riconosciuto, guidato: rappresenta una sfida. La fede non è più qualcosa di automatico, ma sempre più una scelta in cui la libertà è un elemento determinante, che non ci deve spaventare, perché è una componente costitutiva del legame credente”.Con queste premesse la pastorale vocazionale, ha concluso Albarello, è un servizio per tutti di realizzare la propria umanità alla sequela di Cristo. La scelta vocazionale diventa “affidamento creativo che suscita la libertà umana. Un orientamento di fondo per un modo specifico di attuare l’esperienza credente”.Una posta in gioco non indifferente che non può non interpellare la comunità credente nel trovare strade nuove per portare la vita buona del Vangelo nel mondo di oggi.