“Eravamo morti e siamo tornati alla vita, eravamo perduti e siamo stati ritrovati”

La Chiesa chiede ai fedeli di comunicarsi a Pasqua e di confessarsi almeno una volta all’anno. Sono indicazioni pedagogiche minimali ma importanti per mantenere viva la fede in Colui che, risorto, vive in noi con noi e attraverso di noi. Da qui la tradizionale pratica del sacramento della riconciliazione e della comunione eucaristica al termine di un cammino quaresimale di riscoperta del battesimo come dono della fede. Sia all’inizio della storia cristiana come in particolare negli ultimi cinquant’anni (dal Concilio Vaticano II) la pratica della “confessione” in preparazione alla Pasqua viene proposta e vissuta come esperienza gioiosa di liberazione dalla paura, legata al peccato, che il prossimo possa togliermi la vita qualora sia disposto a condividerla con lui. O, peggio ancora, quando egoisticamente uso il prossimo per interessi personali.La confessione è una predisposizione personale libera, che con Gesù diventa forza liberante dalla paura e dall’egoismo, per una solidarietà sempre più profonda e radicale con il prossimo, chiunque egli sia.Proprio per il suo specifico carattere di rigenerazione della fede, all’inizio della chiesa il sacramento della riconciliazione era chiamato “secondo battesimo”. È vero che è il vescovo e poi i presbiteri che in nome di Gesù accolgono l’accusa dei peccati e ribadiscono la misericordia di Dio con il gesto dell’assoluzione. Ma è anche vero che il peccatore è già perdonato nell’atto di accostarsi al sacramento della riconciliazione. Fa testo (fra le altre) la parabola del padre misericordioso che corre incontro al figlio per abbracciarlo e baciarlo prima ancora che questi confessi il peccato come richiesta di perdono.Sulla base del Vangelo la Chiesa ha sempre insegnato che il desiderio di celebrare il sacramento della riconciliazione e il non poterlo fare a causa di un impedimento contingente equivale ad essere realmente riconciliati con Dio e con i fratelli. Questa è, purtroppo, la condizione che oggi viviamo a causa della pandemia virale che ci impedisce di accostarci al sacerdote per la “confessione”. Certo, rimane in noi il desiderio di sentire, attraverso la voce del prete, quella del Padre misericordioso che ci abbraccia accogliendoci. Ma avremo tutto il tempo di ascoltare questa voce quando le condizioni lo permetteranno. Intanto, avendo desiderato celebrare il sacramento della riconciliazione e in attesa di farlo, facciamo festa perché “eravamo morti e siamo tornati alla vita, eravamo perduti e siamo stati ritrovati”.Così anche per la comunione eucaristica: il suo desiderio è già la sua presenza in noi, nell’attesa di celebrarla con tutta la comunità cristiana.