“El Bonsignor al va, coronao de fiuri e de preghiere de la sova zente…”

Il mare, il sole, la città vecchia, la Basilica di Sant’Eufemia, le calli, una visita al campo santo, un caffelatte e un buon libro. Una fotografia in bianco e nero, posta in posizione privilegiata in un noto locale dell’Isola, che con palesi sentimenti di affetto e di riconoscenza, nonché di sano orgoglio, raffigura il momento topico della benedizione dell’attività lavorativa, domandata a Dio e ricevuta nel 1960 attraverso le mani di un giovanissimo monsignore, Silvano Fain. Questa “scoperta” risveglia in me parecchie immagini, ricordi e sensazioni delle non poche volte nelle quali ho avvicinato e mi sono confrontato con il Bonsignor, con il suo mistero di uomo e di presbitero. Ogni anno, durante il soggiorno della mia famiglia a Grado, partecipavamo per lo più all’Eucarestia domenicale che un generoso don Ettore Rizzatti celebrava nei posti più disparati per venire incontro a noi pigri vacanzieri. Era però una tradizione, almeno una volta durante quelle settimane d’estate, vivere l’Eucarestia solenne delle dieci, nell’antica Basilica, cantata in latino e animata con passione indomita dalla corale di Santa Cecilia. In una di queste occasioni abbiamo anche vissuto l’ingresso dell’allora vescovo titolare di Grado monsignor Crescenzio Sepe.Dapprima accompagnato dai genitori e negli anni successivi con gli amici o da solo, nel tempio zeppo di persone, gustavo la maestosità della celebrazione, del canto, della liturgia, esageratamente rapito come ero dall’esteriorità del rito e dall’estetismo della funzione fine a se stesso. Tuttavia la superficiale partecipazione al momento religioso, non ha completamento distorto né cancellato, ma paradossalmente ha reso ancora più possibile e attualizzato in me, la percezione dell’Assoluto, la tensione dello Spirito, la sacramentalità dell’azione di popolo, la presa di coscienza necessaria per mettersi in ascolto, ricerca e testimonianza creativa dell’evento dell’incontro con Cristo, uomo e Dio.Quanto detto è stato proprio solleticato e potenziato dalla mediazione discreta  di monsignor Silvano Fain che in maniera mirabile presiedeva quella celebrazione assieme a padre Max da Vipiteno e ad alcuni imberbi seminaristi gradesi e ora apprezzati parroci della diocesi che gli facevano opportunamente ala; dalla sua fede matura e coinvolgente che traspariva come una sorgente naturale di forza e pace dai suoi gesti pacati e signorili, dal suo tratto deciso ma delicato, dalla sua disarmante semplicità propria dei sapienti, dalla forza teologica del suo linguaggio. Giusto vent’anni fa saliva al cielo a ricevere il premio sempre anelato del suo lungo apostolato, della sua missione, del suo servizio senza riserve offerto a Dio, per la gente di Grado, per tutte le persone che da ogni dove arrivavano sull’Isola in cerca di refrigerio e riposo per il corpo e per l’anima, per la Chiesa diocesana e universale. Accompagnando per un lungo periodo monsignor Antonio Vitale Bommarco, ho avuto modo di stare vicino a monsignor Fain in varie circostanze. Con inevitabile commozione ricordo i momenti immediatamente precedenti alle sue esequie, il pranzo consumato con monsignor Bommarco e pochi altri a Stella Maris prima della Messa funebre, la mestizia di quelle ore e il concorso enorme di persone, presbiteri e vescovi che desideravano ardentemente rivolgersi a Dio per ringraziare e consegnare a Lui la testimonianza del Bonsignor. Immemori le parole di commiato espresse da monsignor Bommarco: “El Bonsignor al va, coronao de fiuri e de preghiere de la sova zente incontro al Pare Celeste, là in Paradiso”. Altro ricordo prezioso che conservo è quello del Perdon di Barbana del 1998, due mesi e mezzo prima della nascita al cielo di monsignor Fain, quando ero seduto di fronte a lui ritto sulla barca ammiraglia che riportava la statua di Maria a Grado per essere accolta in Basilica sulle note del Te Deum cantato nella versione tradizionale patriarchina. Negli occhi sempre vividi e determinati, tuttavia alquanto stanchi, in quella giornata di luglio sotto un sole implacabile già si intravvedeva che stava scrutando altri luoghi, un altro tempo, un altro Mondo. In quel momento ho avuto un brivido d’emozione nel sentire che il Bonsignor era lucidamente conscio che quello sarebbe stato il suo ultimo Perdon. Pur disconoscendo del tutto il suo precario stato di salute, ho avuto questa dolorosa intuizione: monsignor Silvano Fain faceva trasparire, pur nel suo abituale e nobile portamento e nel suo salutare con un cordiale sorriso e le braccia aperte qualsiasi barca che anche accidentalmente incrociasse la rotta dell’ammiraglia, che quello sarebbe stato l’epilogo del suo pellegrinaggio in Terra per potersi inebriare ancora del mare, a fianco della Madonna degli Angeli, dell’orizzonte lontano, là dove i colori ondivaghi dell’acqua non si distinguono più da quelli inimitabili della volta celeste. Un ultimo ricordo di autentico compiacimento è quello legato ad alcune decine di minuti passate con monsignor Fain dopo una delle celebrazioni domenicali. Deposti i paramenti e il quadrato a quattro punte, con rara perizia e cordialità inaspettata, il Bonsignor ha invitato i presenti a seguirlo nella sua spiegazione dei tesori della Basilica, dei segni concreti della storia della comunità cristiana antica che in essa erano conservati. Rientrando a casa, mamma mi confidava la sua sorpresa di aver potuto apprezzare l’umanità, lo spessore e la cultura di monsignor Silvano Fain, che si era fatta vicino con umiltà e con il desiderio di condividere con noi il tempo, anche quello normalmente banale del dopo eucarestia di una domenica di piena estate, calda e sufficientemente noiosa. Tutto ciò è esagerato, fallace, deformato dai miei ricordi giovanili e inconsistenti? Forse sì, ma anche no. I detrattori ingenerosi di ieri di certo non si risparmieranno oggi; tuttavia ora, con salvifica ironia, riesco a ricalibrare le non poche perplessità amare che avevo provato ascoltando in quegli anni dei frettolosi giudizi dati da alcune persone in merito al “caso Grado”, ammesso che per la comunità di fede ne esistesse veramente uno. Ho desiderato condividere quello che ho vissuto, raccontarlo in maniera semplice e verace, facendo memoria di monsignor Silvano Fain che ho avuto la provvidenziale fortuna di incrociare nella sua sequela a Cristo, verso la casa del Padre, devotissimo come era a Sua Madre Maria, protettrice della “sua” comunità gradese, della nostra Casa, della nostra Chiesa.