Domino servientes

4 giugno 1999. Il mio primo incontro con Mons. Dino De Antoni, appena eletto arcivescovo metropolita di Gorizia, nel chiostro del convento di S. Antonio a Padova. Era la data convenuta con il suo predecessore, padre Antonio Vitale Bommarco, per un inziale iter delle consegne.In quell’occasione, con il suo sorriso, che ha sempre contraddistinto le relazioni interpersonali con chiunque incontrava, mi disse: “Ho bisogno che tu mi stia accanto e mi accompagni nel mio ministero episcopale”.Rimasi un po’ sorpreso perché, solitamente, il nuovo pastore crea un po’ alla volta la sua “squadra”.  Anche il giorno dopo il suo ingresso in diocesi, gli dissi che per un certo tempo (breve) lo avrei accompagnato, ma poi mi sembrava adeguato, scegliesse il suo nuovo segretario particolare. Mi rispose: “Ne riparleremo” E per ben cinque anni e mezzo fui al suo fianco, nella quotidianità del Suo ministero e per tutto il suo episcopato, quale maestro delle celebrazioni liturgiche.Uomo della discrezione, della relazione, della tenerezza. Mons. Dino, era particolarmente  attento alle situazioni della sofferenza e quando andava a trovare gli ammalati negli ospedali, nelle loro abitazioni durante la visita pastorale, quando accompagnava gli stessi a Lourdes con l’UNITALSI, per ciascuno una parola, una carezza, un bacio.Sono certo che questa sua umanità sia il frutto dell’educazione donatagli dai suoi cari genitori che aveva spesso sulle labbra e dal suo percorso personale. Non solo: anche per il notevole tempo che dedicava alla preghiera. Era per lui l’alimento principe della giornata.Ogni mattina, puntuale, alle 6.30 era in Cappella per la preghiera dell’Ufficio delle letture, delle Lodi e la concelebrazione della S. Messa insieme al sottoscritto e a chi lo accudiva con amore e dedizione. Non posso non ricordare la fedelissima custode, la signorina Alfia, la signorina Maria, Suor Cecilia dell’Istituto della Sacra Famiglia, Suor Emanuela delle Suore della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, la cara Anna.E poi la giornata trascorreva tra le udienze ai sacerdoti, ai laici; le celebrazioni nelle comunità cristiane non solo per le Cresime, ma anche in altre occasioni, come le processioni mariane o dei patroni locali; l’attenzione che aveva al mondo del lavoro nelle sue varie espressioni; i vari viaggi fatti insieme per accompagnarlo dove lo portava il ministero di pastore della “gloriosa” (così amava definire) Arcidiocesi di Gorizia.Amava molto la “sua Chioggia” e ogni volta che, parenti, amici venivano a trovarlo era una festa di famiglia. Ho avuto modo di toccare con mano quanto bene aveva profuso nella Sua diocesi natia, Chioggia e come con discrezione, la portava nel cuore.Per tutti una parola, non aveva mai fretta. Anzi! Ascoltava con interesse tutti. Poi meditava, pregava e poi decideva “per il bene delle persone e della Chiesa”. Colpiva nella sua azione di uomo e pastore la Sua capacità di dare fiducia a quanti con lui collaboravano per la vita della diocesi, Quando faceva visita alla Curia, era discreto perché non voleva mai mettere in difficoltà nessuno. Apprezzava i momenti di incontro quali gli auguri natalizi e pasquali, i compleanni dei “curiali” ed aveva sempre pronta la riflessione calata nella concretezza della situazione.Ma il momento più importante per Lui era la celebrazione della S. Messa, feriale o festiva che fosse, la viveva avvolto nel mistero del Cuore di Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote. Amava molto che le Celebrazioni Liturgiche fossero preparate bene, per “edificare il popolo”. Infatti, quale suo Maestro delle Celebrazioni, preparavamo insieme anche i dettagli, perché ogni momento celebrativo fosse efficace e trasmettesse  il messaggio. Non era per il “ritualismo, ma per una liturgia celebrata bene e vissuta concretamente.Da quando sono venuto a conoscenza che Mons. Dino non stava bene, ho avuto modo, con discrezione, di accompagnarlo nella sua fragilità e di condividere le sue confidenze. Mi tornano in mente alcune espressioni che il vescovo di Vicenza, mons. Beniamno Pizziol ha espresso durante la liturgia esequiale del suo compianto predecessore, il vescovo mons. Pietro Nonis: “Mentre l’uomo esteriore, ossia l’uomo debole e fragile, si va inesorabilmente disfacendo, quello interiore, ossia l’uomo salvato da Cristo e destinato a partecipare alla sua risurrezione, si rinnova di giorno in giorno per ricevere un’abitazione eterna nei cieli” (2 Cor 5,1). Quando si avvicina la morte, l’uomo, se ha la fortuna di essere cosciente, rileggendo la sua storia, raccogliendo il tesoro di saggezza che l’esistenza gli ha donato, sente il bisogno di trasmettere ai suoi cari e ai suoi amici un ultimo messaggio, che riassuma il significato di tutta una vita. La debolezza fisica e la mancanza di fiato abbreviano le parole, ma ne condensano il senso, la morte è un tempo di rivelazione”.Sono certo che anche gli altri confratelli presbiteri, don Alessandro Biasin, mons. Ignazio, Sudoso e don Bruno Mollicone che dopo di me hanno avuto modo di essergli accanto come segretari, condividano questa esperienza di fede e di umanitàEccellenza carissima e reverendissima, grazie per aver condiviso un tratto della nostra “storia sacra”. Il Suo Ministero Episcopale resti in benedizione.