Crocifisso senza cittadinanza?

Colpiva leggere, proprio durante la Settimana Santa, notizie come quella che viene dall’Umbria dove un docente di scuola superiore viene sanzionato – un mese senza entrare in classe e senza stipendio – per aver tolto i crocifissi dai muri delle aule della scuola. Già nel 2009, inoltre – annotano le cronache – il docente di italiano e storia era stato “sollevato dal servizio” per trenta giorni, per aver rivendicato “la libertà di non fare lezione sotto un simbolo di una specifica confessione religiosa”.Caso spinoso, sul quale è in corso un procedimento che dovrebbe vedere il ricorso del docente e nel quale non vorremmo entrare. Ci sono però le dichiarazioni diffuse nei giorni scorsi, per cui il professore parla di “violenza di chi impone simboli religiosi”, subita da parte di chi lotta “per una scuola libera”. E così anche i Cobas, che si sono schierati dalla parte del docente e che parlano di un provvedimento di stampo inquisitoriale, puntando il dito contro l’atteggiamento intimidatorio e discriminatorio dell’Ufficio scolastico dell’Umbria. Per i Cobas, infatti, “continua la crociata integralista, discriminatoria e diseducativa, di quelli che pretendono di imporre la connotazione religiosa delle aule scolastiche pubbliche”. Questo è il punto: “L’imposizione del crocefisso – spiega il portavoce nazionale dei Cobas Piero Bernocchi – ha un carattere discriminatorio ed escludente, serve a marcare un territorio e imporre una visione e una simbologia religiosa di parte, in uno spazio pubblico che deve invece essere libero, includente, laico e aperto a tutti”.Fermi tutti: è davvero così? O non piuttosto sta avvenendo – come in altri casi di cui si parla, magari a proposito di gesti religiosi anche solo avvicinati al tema scuola – un continuo malinteso tra laicismo e laicità? Sembra che ogni occasione sia buona per dare contro ai simboli e ai segni religiosi – cristiani anzitutto – negando loro cittadinanza. È questione diversa dal rispetto delle libertà e, in particolare della laicità della scuola. Dove peraltro, la presenza delle espressioni religiose non solo è normale che ci sia – a scuola ci sono le persone, con le loro appartenenze – ma addirittura, in ambiente educativo, diventa una risorsa.La questione del crocifisso, in particolare, è stata trattata all’infinito, anche a colpi di sentenze di giudici, dai Tar alla Corte di Strasburgo, per arrivare a concludere che non conculca i principi, che non configura violazione della laicità. Che anzi, quel simbolo religioso, cristiano, parla ben al di là delle appartenenze. Diverso il caso dei riti religiosi nello spazio scolastico, per i quali esistono normative apposite. Ma questo vuol dire far finta che non ci siano? Rispettata la laicità degli ambienti e delle programmazioni, le libertà individuali e la sacrosanta distinzione tra luoghi di culto e luoghi “laici”, di apprendimento, bisogna forse azzerare l’esperienza? Ignorare che una comunità cristiana, durante la Settimana Santa, celebra ad esempio la Via Crucis?Si potrebbe andare avanti. Restando al crocifisso, alzando lo sguardo oltre l’attualità viene da pensare – con un pensiero cristiano, rispettoso della laicità, ci mancherebbe, ma dichiaratamente di parte – che davvero quell’Uomo si è consegnato del tutto nelle mani altrui, come pecora muta, facendosi portare e trascinare ovunque, sugli innumerevoli grandi e piccoli Golgota della storia, consapevole che alla fine sarà Lui a portare tutti con sé.