Cosa vuol dire ascoltare?

La vigilia della terza domenica di Avvento, Giornata diocesana della Carità, si svolge, come tradizione, la NotteCaritas: una veglia di preghiera che ha lo scopo di far riflettere le comunità cristiane della nostra Diocesi sui temi della prossimità, della solidarietà e della condivisione. In particolare quest’anno il tema era: “Ascoltare per amare”. L’ascolto inteso come prima forma di aiuto. Soltanto ascoltando l’altro possiamo entrare in relazione con il nostro prossimo ed uscire dalle nostre visioni per guardare il mondo con la prospettiva dell’altro.Durante la veglia si sono potute ascoltare alcune testimonianze di volontari dei Centri di Ascolto presenti nel territorio della nostra Arcidiocesi. Sono state testimonianze molto belle perché hanno sottolineato il valore dell’ascolto. Ascoltare vuol dire lasciarsi commuovere dalle ferite, dalle delusioni, dagli sconforti delle persone che vivono una fragilità o emarginate dalla società, ma anche rallegrarsi per le loro gioie, per le loro speranze e per i loro successi.Tra le testimonianze che sono state presentate durante la veglia pubblichiamo quella di Daniela, volontaria del Centro di Ascolto di Cormòns, e di Luigi, volontario al Centro di Ascolto diocesano.

Capaci di coinvolgersi

  er me ascoltare significa coinvolgersi, entrare in empatia.La persona che viene da noi per un qualsiasi problema o richiesta, ha bisogno di essere accolto e perciò amato e quindi ci si coinvolge nel suo dolore.Ascoltare e sentire le sue emozioni, il suo stato d’animo, guardarlo negli occhi, prestare attenzione al suo tono di voce, alle sue espressioni, al suo atteggiamento: e tutto questo sempre senza fare valutazioni, senza giudicare, senza pregiudizi ma mostrandosi umili e pazienti sull’esempio di Gesù.Per entrare in empatia con chi ci chiede aiuto, abbiamo bisogno di farci sostenere dalla preghiera e lasciare che sia Gesù a trasformare il nostro sguardo verso l’altro perchè chi è in difficoltà non sempre è pienamente consapevole del proprio bisogno e non sa come spiegare o che cosa chiedere o come usufruire dei vari servizi che si sono nel territorio. Perciò dobbiamo orientarlo ed accompagnarlo sulla strada giusta.Che cos’è per me allora la Caritas? È un luogo dove fare concretamente esperienza di Gesù, il quale ci chiede di far uscire l’amore che ci teniamo dentro di noi e che lui ci ha donato.Imparare ad “educare” il nostro sguardo affinchè vada oltre le apparenze; che ci insegni che l’ascolto dei nostri fratelli e sorelle è fondamentale; che ci faccia comprendere che anche dei piccoli gesti, quali un sorriso, un abbraccio, una stretta di mano si trasformano in aiuto concreto; che ci guidi al rispetto delle diversità, alla pazienza, alla mitezza, alla dolcezza, all’umiltà che dobbiamo avere nei confronti del prossimo. Dietro alle persone ci sono tante storie, sofferenze, dolori, fatica ad affrontare il futuro.Siamo consapevoli che i nostri interventi sono una goccia dentro il mare però questa goccia a volte può recare un sollievo, ridare coraggio e aprire una piccola speranza per andare avanti.  Perciò crediamo che noi volontari (e speriamo anche tanti giovani in futuro possano diventarlo) dobbiamo essere sostenuti da una comunità che crede ancora nella dignità della persona, che crede in un futuro migliore, che crede nell’amore di Dio che è dentro tutti noi, perchè ogni persona è un mistero, ogni vita è un dono e tutti siamo affidati gli uni agli altri.Carità è amore incondizionato, amare le persone così come sono perchè possano sentirsi accolte e non giudicate.Non solo noi volontari ma tutta la comunità è chiamata a dare attenzione alle persone in difficoltà perchè Gesù nel Vangelo ce lo ricorda che “Li abbiamo sempre con noi”.E, ci invita a saper affinare lo sguardo come il buon samaritano, per cogliere li dove sono.Gesù ci chiede di abitare la nostra storia, abitare il tempo che viviamo.Molte volte, quando vediamo delle persone in difficoltà, ci chiediamo: che cosa non ha funzionato in quella famiglia? Che cosa è successo a quella persona che è così cambiata? Ecc. Ma forse la domanda giusta da farci è: in una situazione di disagio che può colpire la vita di tutti noi, la comunità dov’è? Questa storia noi la viviamo? Forse dobbiamo tirare fuori il coraggio, il coraggio di dire che questa storia è dono di dio che ci appartiene, appartiene a me, a te, a tutti noi.Allora ripartiamo dall’eucarestia per ritrovare la nostra vera identità che è quella di essere pane spezzato.Io posso distribuire ad una persona in difficoltà una borsa spesa ed allo stesso tempo posso trovare persone, amici, conoscenti che sono disposti ad aiutarmi contribuendo con 10 euro in questo. Ma, se chiedo di ospitare a casa una persona per un giorno, per una notte, se chiedo del tempo per consolare, per abbracciare, per accompagnare è a questo punto che non trovo nessuno.Quanto di tutto questo mi coinvolge? Quanto mi lascio toccare da tutto ciò? Le persone con problemi e disagi fanno parte della nostra comunità? Quante di queste persone che conosciamo vengono a messa? Quante di queste persone vengono coinvolte nelle nostre attività parrocchiali? Quante volte le ho invitate a casa mia per un pranzo?Essere prossimi vuol dire accorciare le distanze, vuol dire cogliere il volto di cristo in tutte le persone e solo allora riusciremo a dare un senso alla nostra vita.Chi è questa persona? È mio fratello? Si. Sei custode di questo fratello? Si.Da solo? No, con la comunità.Il mio sogno sapete qual è: che un giorno le Caritas, i centro di ascolto e le tante associazioni di aiuto per chi è nel bisogno possano chiudere ma, non perché hanno fallito, ma perché c’è una comunità che se ne fa carico pienamente e perciò gli altri servizi non serviranno più.

Daniela, volontaria Caritas parrocchiale di Cormòns

Cercare il volto di Dio nel volto del fratello

Ancora oggi, dopo circa otto anni di servizio volontario presso il Cda diocesano della Caritas, mi sorprende il fatto di come l’ascolto sia molto di più di ciò che pensavo al momento della decisione di dedicarmi a coloro meno fortunati di me.Le motivazioni iniziali, che mi hanno spinto a tale scelta, sono state dettate dal desiderio di donare agli “ultimi” almeno una parte del tanto bene che personalmente ho ricevuto nella mia vita, compresa quella lavorativa.Nel corso del tempo però altre considerazioni prendevano corpo nel mio essere; ascoltando le storie drammatiche, spesso disperate, di persone costrette non per loro scelta a vivere nella povertà o a lasciare il loro Paese causa drammatici avvenimenti come la guerra, la fame e altro, una frase di Gesù mi ricordava che “i Poveri li avrete sempre con voi”.Nella sua semplicità ho constatato e visto la “verità” di questo ammonimento evangelico.Le persone di qualsiasi nazionalità, religione, cultura, età che a noi si rivolgono, alcune con dignità, altre con malcelata rabbia, altre ancora con arroganza, altre con speranza oppure privi di speranze e illusioni…Tutte comunque hanno un unico denominatore comune: sono poveri.C’è l’operaio o il professionista o il laureato, magari coniugati con figli o con un mutuo o affitto da pagare e non hanno lavoro, la donna o l’uomo rimasti soli, disoccupati e bisognosi di lavoro o di un aiuto per pagare le utenze, lo straniero che non ha trovato ciò che pensava o sperava, l’extracomunitario fuggito da guerre o dalla fame, c’è il dipendente da varie tentazioni (diciamo così) che il mondo offre, acculturati o meno…Una umanità varia e… povera!E in questa loro nuda povertà aprono il loro cuore e la loro mente alle richieste di una semplice priorità: il lavoro, le utenze da pagare, un posto dignitoso per vivere.Chiedono soprattutto, l’ho imparato nel corso degli anni, di essere ascoltate, di non lasciare cadere nel vuoto le loro o voci o le loro supplici richieste.Non sempre riusciamo ad accogliere e soddisfare tutti i loro bisogni, i costi materiali sono alti, in questi casi il nostro “NO”, è doloroso ma non chiudiamo mai la porta alla speranza.Ritornano regolarmente e siamo pronti ad ascoltarli e a dare loro un aiuto.E a questo punto un’altra domanda, altri quesiti, un’altra motivazione prende corpo.Che cosa effettivamente, nei limiti del mio tempo e delle mie possibilità, dono io a questi poveri?Che cosa sono io per loro (alcuni ormai li conosco da tempo) o che cosa sono loro per me?Che cos’è l’ “Ascoltare” o il “Chiedere”? Non bastano certo parole di conforto che il più delle volte assomigliano a frasi fatte, anzi…Penso allora alla narrazione di Luca, alla parabola del “Buon Samaritano” e mi domando: chi è il “mio” prossimo?Colui che mi sta di fronte, deluso, disperato, qualche volta piangente, arrabbiato, anche verbalmente violento, speranzoso, dignitoso, anche sorridente (anche i poveri sorridono), o sono io che magari ricevo da loro un bene, una grazia della quale al momento non ho coscienza?Posso solo, con sincera convinzione, ringraziare il Signore per avermi dato questa possibilità di poter dare un piccolo aiuto a coloro che, meno fortunati di me, vivono disagi grandi o nella assoluta povertà.In questi anni, sembrerà strano a dirsi, ho ricevuto e appreso molto da tante di queste persone in difficoltà.Più di quanto probabilmente io abbia dato.Non è stato e non è facile porsi di fronte a tanta sofferenza; davanti a me ho persone come me, come voi, sono solo poveri ai quali dono qualcosa di me ma dagli stessi ricevo altrettanto.La bellezza di un gesto, la gioia semplice per un “si” ad una richiesta accettata, la speranza non delusa di fronte ad un “no” motivato ed unito alla promessa di rivederci.Grazie Signore per tutte queste gioie e anche per quelle giornate nelle quali, con il cuore gonfio, non abbiamo potuto accogliere le aspettative di qualcuno.Ti ringrazio Signore poiché mi insegni che il prossimo sono io, siamo tutti noi… Insegnaci ancora a non volgere altrove il volto poiché in ogni povero c’è il volto Tuo.

Luigi, volontario del Centro di Ascolto diocesano.