Comunità come case accoglienti e non burocratici uffici

Il 27 giugno, nella chiesa di S. Nicolò a Monfalcone, si è conclusa, con la terza tappa del percorso, l’assemblea diocesana. Dopo il canto di invocazione allo Spirito e l’ascolto del vangelo di Luca sull’incontro di Gesù con Marta e Maria nella loro casa, don Nicola comunica che la casa di Betania sarà l’icona per il secondo anno di ascolto sinodale. Ricordando il senso di un cammino da fare insieme, presenta l’articolazione della serata in tre momenti: la condivisione degli spunti emersi dagli incontri decanali; l’intervento di rilancio del vescovo; il confronto in assemblea nell’attesa delle indicazioni ufficiali della CEI. Le linee fondamentali sono peraltro già chiare: si tratta di evitare due rischi opposti per un percorso che sia davvero sinodale, da un lato, l’illusione di camminare stando invece fermi nella rassicurante ripetizione di ciò che si è sempre fatto; dall’altro, la corsa in avanti di singole parti o gruppi, che non condividono il cammino con tutti gli organismi ecclesiali. Il vangelo della casa di Betania ci invita a entrare nei villaggi, a incontrare i mondi che vi abitano; a rendere le nostre comunità parrocchiali case accoglienti e non burocratici uffici; a metterci al servizio, in ottica di corresponsabilità, incarnando il vangelo nella concretezza della vita.La lettura delle osservazioni e proposte emerse dagli incontri decanali evidenzia una grande eterogeneità di esperienze e visioni di Chiesa, com’è inevitabile in questo cambiamento d’epoca, che il Sinodo si propone appunto di leggere e interpretare. Per quanto riguarda gli organismi di partecipazione, si avanzano varie proposte di modifica, dalle modalità non elettive per la loro formazione alla suddivisione in gruppi di lavoro più snelli e operativi e all’inserimento di giovani già impegnati nella Chiesa, evidenziando una certa insoddisfazione per il loro attuale funzionamento. Sulla corresponsabilità la valutazione dell’esistente è più positiva in quanto si registra una crescita di partecipazione dei laici alle scelte della Chiesa, ma servono comunque itinerari di formazione, non soltanto conferenze, anche per preparare le comunità a farsi carico dell’assenza del presbitero. L’esigenza di formazione ricorre nuovamente nell’ambito dei linguaggi, in cui si affrontano i temi delle omelie e, più in generale, di tutti i linguaggi liturgici, comprese le risorse simboliche presenti nelle chiese. Infine, per il 4° “cantiere” diocesano, si evidenziano sia la proposta specifica di investire sui giovani e sugli oratori sia la richiesta generale di una Chiesa più attenta alla verifica delle scelte fatte, alla trasparenza nella gestione dei beni, e soprattutto alla dimensione relazionale e alla condivisione dei percorsi. È quindi intervenuto il vescovo Carlo le cui riflessioni pubblichiamo integralmente nelle prossime pagine.C’è stato poi spazio per interventi dei partecipanti, che hanno messo in rilievo alcuni temi, dal linguaggio ecclesiale non sempre comprensibile all’esigenza di dare ragione della nostra fede e speranza, dai rischi connessi a visioni burocratiche e formalistiche delle Unità Pastorali all’importanza di spiegare il senso e i simboli della Messa e di focalizzarci sull’eucaristia, dalla proposta di rivedere il format degli incontri assembleari alla richiesta di prendere finalmente sul serio le osservazioni critiche dei giovani e le urgenze di questa società perché la Chiesa, in linea con la visione di papa Francesco, sia “sacramento di cura” per il mondo.

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Gli spunti emersi negli incontri decanali

Organismi di partecipazione: – Ripartire dalla consapevolezza che lo Spirito è in azione nel cuore delle persone- Difficoltà legate al Covid negli ultimi anni- Funzioni dei cpapa:      – crescere nella responsabilità di testimoniare la fede     – promuovere la comunione diocesana     – camminare insieme ai pastori e ai Vescovi     – maturare un senso di Chiesa aperta alla partecipazione.- Non avere fretta di rinnovare, ma costruire il gruppo per il futuro- Il cpapa non fa il suo lavoro di discernimento della realtà pastorale… Spesso ci si perde in dettagli- Cpapa viene vissuto spesso come una realtà che appesantisce- Importante assicurare la presenza di diverse sensibilità, gruppi, fasce di età- Proposta: un consiglio ridotto di 5-6 persone che si occupano di un tema specificio (carità, liturgia, catechesi, cultura) con una rete di consulenti/operatori a cui riferirsi (ognuno avrebbe un piccolo gruppo sinodale a cui riferirsi) che si incontra frequentemente (almeno ogni 2 settimane); il consiglio come lo conosciamo adesso che si incontra ogni tre mesi senza compiti operativi; due assemblee parrocchiali all’anno- Meglio meno riunioni ma più lunghe… magari in forma di ritiro- Non elezione- Puntare su un gruppo che desidera condividere la propria fede- Si sente la mancanza dei giovani… – Inserire i giovani che hanno già alcuni incarichi nella comunità, lasciandoli liberi di scegliere; i giovani non sono solo destinatari dell’azione pastorale- I CPaPa andrebbero mantenuti anche nelle piccole Comunità per conservarle vive e per mantenere l’identità e le peculiarità di ciascuna; nel caso delle UP gli incontri si possono realizzare con i CPaPa delle singole Comunità, riuniti, con momenti di preghiera e formazione ai quali possono seguire la divisione nei gruppi dei vari consigli pastorali delle singole parrocchie.Corresponsabilità– Spesso l’assenza del parroco fa sorgere una maggior assunzione di responsabilità- Ci sono attenzioni che nascono per iniziativa dei laici: visita agli anziani, alle giovani famiglie, agli ammalati- Globalmente cresce la partecipazione dei laici scelte della Chiesa- Ci sono pochi preti e pochi laici – Attenzione all’attaccamento al ruolo- Si approva la maggior presenza femminile negli ambienti ecclesiali- Spesso la parola dei laici pesa di più- Importanza della formazione che non sia solo una conferenza da ascoltare- Negli oratori c’è una progettualità già condivisa- Meno attività, ma più prolungate- Preparare le comunità a celebrare in attesa del presbitero- Attenzione alla sofferenza dei sacerdoti in difficoltàLinguaggio– L’omelia è il “biglietto da visita della celebrazione”- Molte sono già piene di speranza di accoglienza- Difficile parlare a tutti e alla sensibilità di tutti- Le omelie lette sono più difficili da seguire- Necessità di spiegare la liturgia- Parlare usando esempi- Omelie di 5 minuti o poco più, pronunciate non troppo veloce, necessità di un sistema di amplificazione adeguato- Usare le risorse simboliche presenti nelle chiese- È bene che il sacerdote conosca la comunità a cui parla: girare troppo non aiuta- Nelle omelie manca il feed-back- Utile preparare in modo condiviso l’omelia con un gruppo di laici- Chiedere un commento all’omelia- Non solo l’omelia ma tutta la liturgia è linguaggio- Necessità di una corso per la comunicazione e la relazione interpersonale- Dietro al linguaggio c’è una visione del mondo e una cultura- Ogni UP abbia il suo sito- Difficile farsi leggere, anche se le informazioni vengono date- Necessità della formazione continuaCantiere diocesano–  Far sentire le persone come a casa, come in famiglia, – Le UP così come sono non funzionano e non si è fatta una verifica- Lettere pastorali calate dall’alto- Chiesa meno aziendale e burocratica, curare i rapporti- Investire negli oratori come luogo di incontro e di protagonismo giovanile- Investire sui giovani: la diocesi contribuisca economicamente alla formazione, importanza delle esperienze concrete; favorire la collaborazione tra gruppi- Valorizzazione della catechesi esperienziale alle famiglie: catechesi + liturgia, con spazio per ascolto e dialogo- Necessità di trasparenza nella gestione dei beni materiali