Come declinare oggi la carità pastorale?

Giovedì 5 novembre 2020 nella chiesa di S. Ignazio si è svolta la presentazione della nuova edizione del Messale Romano. Successivamente l’arcivescovo Carlo ha presieduto la liturgia di commemorazione dei vescovi, presbiteri e diaconi defunti.

Su che cosa verremo giudicati, noi, vescovi, presbiteri e diaconi? Certamente non su qualcosa di diverso dagli altri cristiani, anzi da tutti gli altri esseri umani. Quindi sull’amore e sull’amore concreto come ci indica il brano di Vangelo: dare da mangiare, da bere, da vestire, accogliere, visitare, andare a trovare. Ma sicuramente verremo giudicati specificamente sul nostro modo concreto di vivere la carità. Il Concilio Vaticano II lo definisce come carità pastorale. La carità pastorale, afferma il Concilio, è per i presbiteri “unirsi a Cristo nella scoperta della volontà del Padre e nel dono di sé per il gregge loro affidato” (PO 14). Dono di sé per le persone e le comunità che ci sono affidate secondo la volontà di Dio: questa è la carità pastorale.Il Concilio è in continuità con quanto dice Gesù parlando di coloro cui altri sono affidati. E’ interessante il passo del cap. 12 di Luca dove Gesù parla della vigilanza nell’attesa della sua venuta e Pietro gli chiede se quello che sta dicendo è per i discepoli o è per tutti, quasi sottintendendo che i richiami di Gesù valgono per gli altri e non specificamente per gli apostoli. Ma Gesù risponde: “Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire” e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli. Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più” (Lc 12,42-48). Vi ho letto l’intero passo perché risulta molto chiaro: chi ha un compito verso gli altri, verso la comunità, ha doni maggiori di altri, ma ha anche una responsabilità molto più grande.Quali sono questi doni? Li conosciamo bene: il dono della fede; il dono della vocazione; il dono di aver avuto e di avere una formazione umana, spirituale, teologica; il dono di potersi dedicare agli altri; il dono di avere tempo per accostare la Parola di Dio e per pregare, ecc. Doni di cui ringraziare continuamente il Signore, sentendosi insieme responsabili per il loro impiego per il Regno di Dio. Doni da saper vedere operanti in ciascuno di noi per ringraziare insieme il Signore. Doni che abbiamo visto e oggi ricordiamo presenti nei confratelli che ci hanno preceduto in questo pellegrinaggio terreno. Oggi mentre preghiamo per loro è giusto anche che ringraziamo per i doni che il Signore ha dato loro e per quello che sono stati per la nostra Chiesa e anche per ciascuno di noi. E insieme preghiamo perché il Signore abbia misericordia dei limiti che ciascuno ha avuto nel rispondere in pienezza alla vocazione ricevuta e alla responsabilità che gli era stata affidata.Ma che cosa ci viene chiesto oggi come pastori e servi del popolo di Dio? Come deve declinarsi oggi la carità pastorale in questo tempo così particolare, così strano, così indefinito e pieno di incertezza? Basandoci sulle letture odierne, penso si possa rispondere riferendoci a tre azioni. Anzitutto, ovviamente, la carità, che oggi e nel prossimo futuro assumerà sempre più il volto concreto delle opere di misericordia, vista la crisi sanitaria che si sta accentuando e le conseguenze in ambito economico, ma anche di crisi delle relazioni che si prospettano gravi. C’è la Caritas, esiste il Fondo Scrosoppi che sta entrando nella fase operativa, ma l’apporto dei sacerdoti e dei diaconi e della loro animazione delle comunità resta decisivo.Un secondo aspetto su cui siamo chiamati a esercitare la nostra responsabilità verso la comunità è quello che ci viene indicato nella seconda lettura da san Paolo: vivere uno Spirito non di paura, ma di figliolanza.  “Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre!””. In questo momento di sofferenza, tutti – anche noi, perché non siamo diversi dagli altri – rischiamo di essere bloccati dalla paura o comunque dalla preoccupazione e dall’incertezza. Dobbiamo chiedere per noi e per le nostre comunità, per così dire, un supplemento di Spirito Santo, per sentirci comunque non abbandonati da Dio, ma figli amati dal Padre. Maturando quelle convinzioni che Paolo esprime molto bene: “Ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio”. L’apostolo sa che c’è una crisi della creazione e noi la sperimentiamo concretamente a livello mondiale, ma sa “che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio”.Infine un ultimo aspetto del nostro agire pastorale in questo tempo di pandemia è quello indicato nella prima lettura dal profeta Isaia. Cioè la fede nella sconfitta da parte del Signore della morte e di tutto ciò che c’è di male nel mondo: “Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l’ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato”. Una fede nell’aldilà come compimento e senso di questa vita. Una fede che diventa speranza: “E si dirà in quel giorno: “Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza””. Carità concreta, superamento della paura, apertura piena di speranza verso il compimento nell’aldilà. Tre atteggiamenti importanti anzitutto per ciascuno di noi e per noi tutti insieme come presbiterio diocesano e da vivere a favore delle nostre comunità. Con molta fiducia, con molta prudenza e saggezza, senza fughe. Si può fuggire dalla realtà autochiudendosi e sospendendo tutto o anche vivendo con superficialità senza la consapevolezza della gravità della situazione. Dobbiamo invece continuare a vivere la nostra azione pastorale e garantire il cammino delle nostre comunità, con tutte le attenzioni necessarie, sapendo che questa situazione non finirà, come vorremmo, a breve. Del resto – lo sappiamo bene – situazioni difficili e anche molto difficili non sono state risparmiate a diversi vescovi, presbiteri e diaconi per cui oggi preghiamo. Hanno saputo – certo come hanno potuto, con le loro capacità e i loro limiti -, non perdere la fede e la speranza e vivere la carità continuando a guidare le comunità cristiana anche in tempi duri.Preghiamo allora per loro, ma anche per noi perché il Signore ci assista e ci guidi oggi con il suo Spirito.