“Ciò che muore apre la strada a ciò che sta nascendo”

Il 10 agosto 2020, è stato proprio don Renzo a tenere l’omelia della festa patronale di San Lorenzo a Ronchi fermamente convinto che – ogni tanto, negli anni- tocchi comunque al parroco indicare la strada nel segno del Santo Protettore della comunità. E così lo ha fatto. Rileggendo i passi salienti della riflessione omiletica, sembra che in essa ci siano proprio delle indicazioni per il futuro del cammino comunitario, locals e diocesano. La liturgia patronale è stata celebrata all’aperto dopo i primi duri mesi della pandemia. Tutto molto bello e organizzato ma il sacerdote, era convinto non bastassero “solo certi aspetti”. Ecco i passi salienti affrontati. “Dopo quello che ci è accaduto, serve un nuovo inizio della vita, della società, della chiesa e del Cristianesimo”. Così ha introdotto l’omelia don Renzo. L’esperienza di questi mesi di restringimento è stata di spaesamento anche a Ronchi ma anche di presa di coscienza di alcuni valori negativi (come fragilità e vulnerabilità); sono stati sperimentati e vissuti anche valori positivi. “Sulla terra siamo amministratori e non padroni, connessi e uniti con tutti in un destino comune e interconnesso da non disperdere insieme alla carità e solidarietà.. Si tratta di non lasciar disperdere queste esperienze, di abituarci ad una nuova essenzialità e al recupero delle radici, di vincere la tentazione dell’individualismo e praticare una vita sostenibile anche dal punto di vista economico ed ecologico”. “La risposta cristiana – ha affermato il celebrante – non sta nelle burocrazie o nella ’religione civile’, piuttosto si lega alle tre opzioni bibliche delle letture di oggi: “continuare a seminare”, “dare la vita per amore” e “scoprire nella offerta di sé”. Si tratta dell’essenziale della fede cristiana. In primo luogo come una vocazione che riguarda tutti i battezzati e non un compito riservato solo ad alcuni di noi come preti, suore o frati … La riscoperta del sacerdozio di tutti è fondamentale per una nuova testimonianza anche all’interno della vita ecclesiale. Onorando il sacerdozio ministeriale, dunque, non si deve dimenticare questa dimensione che è propria di “tutti i battezzati” così ha sottolineato seriamente il parroco.Ai compiti della Chiesa oggi, pertanto, va affidato un maggiore senso realistico, prendendo atto della realtà: il Cristianesimo non è la religione del sacrificio e della rinuncia ma dell’amore, di chi sa cogliere il grido di sofferenza ed ingiustizia, di chi si fa accanto a chi ha perso i diritti, a chi vuole esprimere doveri di servizio e di carità. I Cristiani sono chiamati a provocare ed intercettare domande non a pretendere di avere risposte, mettere al primo posto ciò che è il bene di tutti, condividere e “corteggiare” gli umani, portare i pesi degli altri e credere di avere un futuro.Per il parroco, sostanzialmente nessuno doveva e deve sentirsi escluso da questo impegno di riappropriarsi della propria vocazione – come ha fatto per esempio il martire Lorenzo – e di mettere la propria vita a disposizione degli altri, per vivere e condividere la fatica della vita: appunto per “continuare a seminare”, per condividere sapendo raccogliere tutti, nella convinzione che “ciò che muore apre la strada a ciò che sta nascendo”. L’ essenzialità, il valore della memoria, la sobrietà, la pacatezza, la semina continua, il darsi per gli altri e offrire il proprio amore – che è vocazione cristiana – siano per tutti delle indicazioni per rinascere. In una Chiesa che sa vivere con realismo come chiede Papa Francesco, don Renzo ci ha chiesto di sapersi fare ultimi con pazienza mettendosi al servizio senza ripensamenti. È quel Vangelo che andava testimoniando “niente di più, niente di meno”. Ora tocca a noi.