Chiamati ad “un restauro pasquale” della fede

Chi di voi ha avuto il dono di recarsi in Terrasanta e di entrare nella basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme, ricorderà certamente con emozione la visita all’edicola del Sepolcro posta al centro della basilica. Ricorderà anche che quell’edicola era sostenuta da decenni da una impalcatura di ferro. Dallo scorso anno, con l’accordo di tutte le confessioni  cristiane competenti, si sono avviati degli importanti lavori di restauro, da poco conclusi, che sembrano aver fatto ritrovare la lastra di pietra su cui è stato deposto il corpo di Gesù.Lavori di restauro sull’edicola del Sepolcro… E se ci impegnassimo in lavori di restauro della nostra fede cristiana e lo facessimo proprio in questa Pasqua che vede, tra l’altro, la coincidenza di data tra la Pasqua cattolica, ortodossa ed ebraica? Una fede, la nostra, che ho è pasquale o non è.Lo diceva con chiarezza san Paolo ai primi cristiani: “se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede. […] Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati” (1Cor 15,14.17). Vorrei allora proporvi tre semplici passaggi per una verifica e un rilancio della nostra fede pasquale. Lo faccio riferendomi alle tre letture di oggi. Partiamo dal Vangelo, che si conclude proprio con la constatazione dell’arrivo alla fede del discepolo che Gesù amava, il discepolo che la tradizione identifica con Giovanni e che era corso con Pietro al sepolcro dopo la notizia data dalla Maddalena  circa la tomba vuota: “Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette”. In che cosa crede questo discepolo, in che cosa deve credere il cristiano? Che Gesù è davvero risorto. Cerco di precisare meglio il contenuto di questa affermazione che esprime la fede della Chiesa. Anzitutto si tratta di Gesù: non un’idea, non un’invenzione, ma un uomo concreto nato poco più di trent’anni prima, conosciuto per i suoi insegnamenti e i suoi miracoli e ucciso appeso a una croce. Il Risorto non è altro rispetto a Gesù. Le apparizioni alle donne e ai discepoli insistono su questo punto, in particolare sottolineando la presenza sul corpo del Risorto dei segni della passione. Poi si parla di risurrezione: significa vita, una vita nuova, diversa da quella che conosciamo, in continuità e insieme in discontinuità da essa, ma vera vita. Le donne e i discepoli hanno incontrato realmente un uomo vivo, che ha parlato con loro, si  è lasciato toccare, ha mangiato in loro presenza. C’è una realtà della risurrezione, non è semplicemente una convinzione interiore maturata nei discepoli che la vicenda di Gesù non poteva finire con la croce. Naturalmente la fede nella risurrezione è incompatibile con alcune convinzioni o credenze oggi diffuse: la reincarnazione, il fatto che tutto finisca con la morte, l’idea di un aldilà indefinito e altre simili… Convinzioni che non sono cristiane (citavo prima quanto Paolo scriveva ai Corinti: in quella stessa lettera l’apostolo sottolineava l’incompatibilità tra il credere che i morti non risorgono e la fede cristiana: “Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto!” (1 Cor 15,13). Noi, a duemila anni di distanza, crediamo che Gesù è risorto non perché lo abbiamo incontrato, ma grazie alla testimonianza di chi lo ha visto: le donne e i discepoli. Lo abbiamo ascoltato dalla prima lettura: “E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti. E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio”. L’impegno della testimonianza però non si ferma ai discepoli di allora. Anche noi in quanto cristiani – e non solo i preti, i diaconi, i religiosi e le religiose -siamo tenuti a testimoniare Gesù risorto. Ho detto “siamo tenuti”, ma sarebbe più giusto dire “ci viene spontaneo annunciare con gioia” che Gesù è il Salvatore, che il Vangelo è la parola giusta anche per gli uomini e le donne di oggi, che vale la pena essere cristiani.La fede in Gesù risorto, l’impegno di testimonianza: a questi due va aggiunto un terzo elemento che caratterizza la fede del cristiano. Ci viene indicato nella seconda lettura, ancora una volta da san Paolo: “Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra”. Cercare le cose di lassù non significa uscire dal nostro mondo, ma è un invito a cercare le cose che valgono, a mettere in pratica il Vangelo, a vivere da persone che credono in Gesù Risorto e si sentono salvate e perdonate da Lui, sanno quindi scegliere ciò per cui vale la pena spendere la vita.Mi fermo qui. Vorrei però che tutti ci impegnassimo in questo “restauro” pasquale della nostra fede: credere davvero in Gesù risorto, testimoniarlo agli altri, vivere il Vangelo come persone che già sperimentano la potenza della risurrezione. Un restauro forse difficile e certo più impegnativo del riparare e rinnovare la cappella del Santo Sepolcro. Ma c’è la grazia di Dio che ci aiuta e, soprattutto, la grande e profonda gioia del credere. Alleluia.   

† vescovo Carlo

Tutte le omelie della Settimana Santa del vescovo Carlo sono disponibili sul sito diocesano all’indirizzo www.gorizia.chiesacattolica.it