Chiamati ad essere ancora più uomini di speranza

Del febbraio di due anni fa anche il nostro Paese doveva iniziare i conti tragicamente con le conseguenze della pandemia da Covid-19. Ricordiamo tutti quei giorni segnati dal dolore per la perdita di tante persone care. Avevamo dovuto imparare una nuova parola – lockdown – che significava anche chiusura delle chiese ai fedeli ed interruzione delle attività pastorali.In questi mesi, un ruolo importante nel sostegno della Chiesa diocesana a tante situazioni di difficoltà è stato reso possibile grazie ai fondi ricevuti dal 8xmille. Un fiume di generosità che – soprattutto attraverso la rete sul territorio della Caritas diocesana ed il “Fondo Scrosoppi” – si è riversato su tante persone e famiglie in difficoltà economica ma che ha anche consentito alle comunità di riprendere la propria attività ordinaria in un periodo in cui le offerte domenicali si erano praticamente azzerate organizzando, ad esempio, i campi estivi o altre iniziative analoghe o sostenendo le spese “quotidiane” derivanti dall’apertura delle chiese, degli oratori…Ma come è cambiata in questi due anni la vita dei nostri sacerdoti e quale futuro si delinea per le nostre comunità impegnate nel cammino sinodale?Lo abbiamo chiesto a don Francesco Fragiacomo, parroco dell’UP fra le comunità di San Canzian d’Isonzo, Turriaco, Begliano, Pieris, Isola Morosini.

I due anni di pandemia hanno condizionato non solo la vita quotidiana, quella più “materiale”, ma anche la vita spirituale. In questo contesto com’è mutato il ruolo del sacerdote in questo tempo? A quali nuovi “compiti” è chiamato ora a rispondere?Penso che in questo tempo di pandemia, l’uomo di Dio, il presbitero e in modo particolare noi parroci, siamo stati chiamati anzitutto ad essere ancor più uomini di speranza. Questo si è tradotto in uno stile pastorale, un modo di parlare, di scelte e di porre dei segni con il messaggio che la vita è più grande delle prove che la colpiscono. L’orizzonte luminoso dell’eternità e l’affidamento a Cristo vivo che cammina e condivide con noi, può anzi tramutare le prove in un’occasione che Dio permette al fine di una crescita di fede, di speranza e di carità. Per fare un piccolo esempio concreto, pur invitando al rispetto delle norme sanitarie ho cercato di non farne un assoluto o un’ossessione, tanto da tener addirittura le chiese chiuse o agibili solo per un breve spazio o con continui e insistenti richiami al loro rispetto durante la liturgia.  Un altro compito, come uomini di Dio, è quello ora di saper offrire degli sguardi di fede su quanto è successo e sulle prove della vita in genere, affrontando anche il grande tema del male e quello ad esso relativo della salvezza. Mi sembra di intuire, che le persone si stanno facendo domande fondamentali sulla vita e cercano delle risposte.Forse siamo chiamati ad essere un po’ come i profeti che in tempo di benessere richiamavano alla fedeltà e in tempi di prova alla speranza, al Dio che guarisce le ferite e schiude grandi orizzonti.

Questo clima di preoccupazione e di lontananza ha fatto allontanare molti dal vivere insieme la comunità della Chiesa. Come possiamo recuperare, far re -incontrare le nostre comunità?Sempre in questo stile di speranza, come presbiteri, un nostro compito ora è ricostruire le relazioni, personali e comunitarie. Visto che tanti servizi pastorali sono venuti meno, dovremmo spendere più tempo per ascoltare le persone individualmente e a creare il più possibile occasioni per fare comunità. In un certo senso è come un nuovo inizio. Se siamo parroci, dovremmo pensare questo momento come se fossimo al primo anno in una nuova comunità. Anche perché in effetti è proprio cosi: questa prova non ci ha lasciati come prima. Quindi, ricominciamo e si ricomincia dalle relazioni personali, ascoltando in profondità e conoscendo le persone, condividendone le ferite e le parure, ed anche, con il tempo, riflettendo insieme, con la luce della Parola, su quanto è successo.  

L’esempio concreto della vostra Chiesa: com’è stato affrontato il periodo più duro e come si continua oggi verso una normalità? Cosa di buono è stato possibile cogliere da tutto questo e mantenerlo per il futuro?Abbiamo cercato il più possibile di essere resilienti. Adattandoci cioè alla situazione volta per volta, sfruttando tutte le cose in quel momento fattibili per la vita della comunità cristiana.  Alcuni esempi concreti: riguardo la celebrazione delle S.Messe con più affluenza o anche quella domenicale, anche per una maggior tranquillità dei fedeli, abbiamo celebrato, dove era possibile, all’aperto. Per esempio in una parrocchia ogni domenica da maggio a settembre nella piazza antistante alla chiesa dove c’era la possibilità di una zona d’ombra. Questo si è rivelato buono soprattutto per le celebrazioni di I^ Comunione e per la Cresima. Penso manterremmo la consuetudine, visto le ridotte dimensione dell’edificio chiesa in certe occasioni. L’incontro settimanale sulla Parola durante la pandemia l’abbiamo fatto on line, adesso lo stiamo facendo e continueremo a farlo, in contemporanea nelle due modalità: in presenza e on line, permettendo così molti a partecipare pur rimanendo a casa, visto l’ora serale o residenti lontano dalla parrocchia. La riposta è buona.

Un grande impegno è richiesto verso i più giovani, forse in questo momento quelli più a rischio dispersione. Anche in un’ottica sinodale, come possiamo aiutarli, avvicinarci e andare loro incontro?I ragazzi dei sacramenti dell’Iniziazione cristiana (Confessione, Comunione e Cresima) sono tornati subito ed anzi il momento del catechismo è un’occasione buona per riprendere la vita di relazione. Per i più grandi dai 14 anni in su già negli anni scorsi, almeno nelle nostre comunità la presenza era esigua, la pandemia ha dato poi il colpo di grazia. Penso che ormai i giovani di molte generazioni li abbiamo già persi. Anche nelle realtà più floride quelli che nelle parrocchie intercettiamo sono un numero molto piccolo. Guardando le Chiese cristiane nel mondo, è stato un grande errore, a suo tempo in Italia, non aver puntato in modo deciso e serio sulle scuole cattoliche. Un errore che ci costerà parecchio per il futuro della fede nel nostro paese.   Si tratta comunque di ricominciare, penso anzitutto lavorando con le famiglie giovani. Per la famiglia che già vive la vita di fede in comunità è molto più facile che i figli adolescenti accolgano una proposta di continuità. Con quei pochi che già ci sono si tratta ancora di ricostruire relazioni personali e costituire piccoli gruppi di crescita umana e cristiana con proposte belle ma non banali o scontate che già trovano dovunque in altri ambienti. Chi può proporre loro, se non noi, la bellezza e pienezza degli alti ideali della vita nuova in Cristo? È questo, né più ne meno, il compito che Dio ci affida.