Burkina: un terrorismo ormai anche mentale

Ospite negli scorsi giorni in diocesi, padre Jérôme Ouédraogo – segretario del vescovo e cancelliere della Diocesi di Nouna in Burkina Faso – si è soffermato con noi su alcune tematiche di grande e drammatica attualità che riguardano il suo Paese, recentemente colpito ancora una volta da tremendi attacchi terroristici

Padre Jérôme, proprio recentemente il Burkina Faso è stato scosso da nuovi attacchi terroristici che hanno causato morti e feriti. Come si vive tutto questo? Come vive la quotidianità la popolazione, ha paura?Sì, recentemente c’è stato un attacco, ma non c’è stato solo quello: ci sono episodi di attacchi terroristici praticamente ogni giorno.Ultimamente c’è stato un attacco vicino a Nouna, epicentro della nostra diocesi, in un paesino che si chiama Bourraso, dove hanno assassinato le persone davanti alla chiesa, fedeli cristiani. Va precisato però che questi terroristi non se la prendono in modo particolare con i cristiani ma con l’intera popolazione: musulmani, cristiani, animisti, tutti.La popolazione vive quindi questa situazione con grande paura, perché tu non sai cosa succederà domani, cosa succederà a te, al tuo vicino, a un tuo fratello che magari sta dall’altra Parte del Paese. Il terrorismo non è solo “fisico”, ci troviamo in presenza di un terrorismo anche mentale.

Quali sono le aree più sottoposte ad attacchi?I terroristi ormai hanno circondato il Paese, si trovano e agiscono dappertutto. Solo la zona centrale, quella attorno a Ouagadougou, la capitale, non è ancora stata ufficialmente raggiunta.Non c’è un posto sicuro, potrebbero attaccare ovunque: il loro obiettivo è conquistare il Paese, occuparlo per farne un Paese islamico; è lo spazio che interessa loro e cercano di isolare le varie aree dalla capitale, affinché diventi impossibile raggiungere i luoghi che ormai appartengono a loro.

Sono pensabili dialoghi per una possibile “tregua” o magari proprio verso un percorso di riappacificazione? Che ruolo può avere la Chiesa del Burkina Faso in questo percorso?Finora il ruolo della Chiesa è stato quello di invitare i Cristiani a pregare e le autorità militari e politiche a trovare vie di dialogo con questi gruppi terroristici, per non coltivare la violenza e non rispondere ad essa con altra violenza. I Cristiani pregano, recitano rosari, meditazioni, Vie Crucis per implorare l’aiuto del Signore ma è difficile per la gente aspettare.La Chiesa sta quindi giocando un ruolo di sensibilizzazione, cultura della pace e soprattutto porta aiuto alla gente che soffre: gli sfollati sono numerosissimi, parliamo di quasi 3 milioni di persone che hanno lasciato le loro case, famiglie, coltivazioni che davano nutrimento, animali, e che ora si trovano nei campi, senza cibo, senza acqua, senza medicinali. Le Caritas delle diverse diocesi stanno facendo veramente un lavoro enorme, attraverso progetti finanziati anche dalle Chiese europee, che consentono di portare cibo e acqua e qualcosa con cui coprirsi a queste persone che sono state private di tutto. Questo, l’assistenza umanitaria, in questo momento è l’impegno più grande che la Chiesa ha in Burkina Faso.Per il resto, vedo difficile la possibilità di trattare con questi terroristi, mi sembrano davvero persone senza cuore. Hanno il cuore talmente indurito che la gente ha paura anche ad avvicinarsi per negoziare. Parliamo di persone che non si fanno scrupoli a sparare o tagliare la gola anche a donne e bambini. Si fa prima a scappare, non so come potrà essere possibile un dialogo.

A inizio anno il Paese è stato anche scosso da alcuni eventi interni con un Colpo di Stato. Com’è ora la situazione? Si è raggiunto di nuovo un equilibrio? Dal suo punto di vista, cosa ci si potrà aspettare nel prossimo periodo? Una discreta tranquillità o pensa ci potranno essere nuovi scossoni?Il Colpo di Stato è avvenuto in un contesto di grande disperazione nel Paese, quando i terroristi stavano prendendo forza e conquistando il Paese giorno dopo giorno. I politici non cercavano soluzioni e non vedevamo risultati dai tentativi che venivano perpetrati per arginare questo terrorismo.I militari quindi hanno “preso le loro responsabilità” – così hanno detto – e hanno preso il potere attraverso questo Colpo di Stato. Inizialmente abbiamo preso quest’evento come una “fortuna” per il Burkina Faso, avevamo un barlume di speranza. I militari hanno promesso di fare tutto il possibile per conquistare di nuovo i territori presi dai terroristi affinché ci sia pace ma, a lungo andare, mese dopo mese, non si vedono risultati. Quindi la gente ora è delusa e arrabbiata e a soffrire di più sono proprio i civili.C’è da dire però che questo Governo militare ha certamente fatto molto di più del precedente nella risoluzione della problematica terrorista. Questi ultimi però non cedono: cambiano le loro tattiche e strategie ma non si arrendono.Nei prossimi mesi credo ci saranno altri scossoni: il Governo militare è orientato, deciso, a combattere il terrorismo e riconquistare le aree sottratte. I terroristi dal canto loro non sono disposti a mollare. Non sappiamo veramente come andrà a finire.Nel frattempo la gente continua ad essere cacciata via dai propri paesi: ora in Burkina Faso c’è la stagione delle piogge, momento in cui si coltivano i campi. Dovendo lasciare tutto per le minacce di morte dei terroristi, vengono abbandonati anche questi terreni coltivati: si prospettano quindi grandi problematiche dal punto di vista del sostentamento alimentare, rischiamo che l’anno prossimo non ci sia da mangiare. Ciò crea anche ribellione tra la gente e non è da escludere che se la possano prendere con il Governo, armandosi per combattere i terroristi e facendo sfociare il tutto in una guerra civile.

Concludiamo quest’incontro parlando di qualcosa di lieto. Guardiamo proprio al lavoro della Chiesa nell’ultimo anno: com’è andato questo primo anno di cammino sinodale? Quali punti di forza sono emersi e su cosa invece servirà lavorare ancora per rafforzarsi? Cosa vi aspettate dal secondo anno?Nella prima parte di questo anno sinodale abbiamo, come richiesto dal Comitato, lavorato sul questionario, distribuito nelle parrocchie e in diverse strutture. La gente coinvolta ha avuto modo di riflettere sui quesiti, attraverso domande che hanno posto l’attenzione anche sul modo stesso di collaborare come Chiesa, sui punti di forza e su quelli invece più deboli, su come camminiamo e con chi lo facciamo… Ha permesso di avere una visione dei vari intrecci che sono intessuti all’interno della nostra stessa Chiesa.Abbiamo poi svolto la sintesi di tutte queste riflessioni e costruito un unico documento. Tra gli elementi peculiari sono emersi l’importanza dei vari ruoli all’interno della Chiesa: laici, preti nelle parrocchie, catechisti – figura molto importante per noi -; ogni singolo pezzo è molto rilevante, determinante, per costruire la Chiesa.Altro punto emerso è che le singole persone devono accettare il “darsi” alla comunità (candidarsi per i responsabili di Comunità, offrirsi per servizi alla Chiesa come il catechismo, le letture, il coro…) e su questo è partito un lavoro di sensibilizzazione.Ulteriore aspetto è stata la collaborazione con le altre confessioni religiose – musulmani, che sono al 60% nel Paese, animisti… -: siamo tutti fratelli, questo è emerso. Incontrandoci, lavorando insieme, è anche questo un modo per incontrare Cristo. Dobbiamo quindi continuare a costruire ponti per un dialogo giusto, pacifico e continuativo.Per il proseguimento di questo percorso sinodale abbiamo subito compreso che il “grosso” del lavoro arriva proprio da noi: tutto ciò che abbiamo fatto fino ad ora va sfruttato, dobbiamo utilizzare tutto ciò che è arrivato dalle parrocchie e sulla base di questo trovare i punti da sviluppare e migliorare. Per il prossimo anno quindi lavoreremo proprio su questa sintesi diocesana, per creare una Chiesa che sia veramente sinodale, che cammini insieme a Cristo e l’un l’altro.