AC, espressione di una Chiesa in uscita

“Il tutto abbraccia la parte – il nostro impegno” è stato il tema dell’annuale convegno a Roma delle presidente diocesane dell’Ac. Oltre 700 tra laici e sacerdoti hanno partecipato all’incontro che intendeva mettere mano al progetto, fatto proprio dalle diocesi italiane, al recente convegno ecclesiale di Firenze. Il tema fa emergere uno dei principi che Papa Francesco pone a fondamento della strategia dell’opera pastorale della Chiesa.”Il Vangelo possiede un criterio di totalità che gli è intrinseco: non cessa di essere Buona Notizia finché non è annunciato a tutti, finché non feconda e risana tutte le dimensioni dell’uomo, e finché non unisce tutti gli uomini nella mensa del Regno. Il tutto è superiore alla parte”. Così la Evangelii gaudium (n.237) puntualizza uno dei tre criteri che devono presiedere l’azione della Chiesa. L’Ac e le Chiese in Italia sono chiamate ad una lettura attenta dell’Evangelii Gaudium, che tanto illustra sull’operare del cristiano, e spinge, in quanto laici associati,  a “continuare a camminare ’con tutti e per tutti’, senza smettere mai di “essere popolo”. In questo spirito è importante valorizzare la pluralità, le idee, la sensibilità, le esperienze per costruire “la strada per giungere al bene”. Una strada, quella della Chiesa e della pastorale, fatta di alleanze delle quali si sente il bisogno, e che sono il mezzo per “raggiungere il tutto” nel lavoro, fra cittadini e istituzioni, nella scuola e nella famiglia, fra laici e presbiteri, tra le generazioni e nell’impegno politico che impone anche la revisione critica della “scelta religiosa dell’Ac”.La ricerca del “tutto” può sembrare scontata: il richiamo, invece, permette di focalizzare quanto sia importante percorrere una strada di unità per contrastare forme diverse di individualismo che percorrono anche le nostre strade, dettato anche di buona volontà, ma che non raccoglie pienamente il messaggio della Chiesa dell’Evangelii gaudium. Ai presenti è stato regalato emblematicamente un mattoncino del Lego, perché, come ha detto il presidente Truffelli  “un insieme di tanti pezzi diversi tra loro, per colore, dimensione, utilità, ma tutti accomunati dalla capacità di collegarsi tra loro, di connettersi per dare vita a qualcosa di più grande, di più bello”. È anche la nostra ricerca ed impegno.È sempre più palpabile il cambiamento che sta avvenendo in Azione Cattolica. C’è uno stile sempre nuovo, molti più sorrisi e meno lamentazioni. Sento che l’AC è espressione di una Chiesa sulla strada, che cogliere davvero i segni dei tempi di un mondo smarrito e sempre più bisognoso di attenzioni e cura. Appassionata di dialogo quale sono, non potevo non apprezzare le opportunità che ci sono state date non solo di parlare di dialogo ma di farlo e viverlo.Dei mini-convegni organizzati, ho partecipato a quello sul dialogo interculturale. È intervenuto, con la sua testimonianza, padre Mazas, direttore de “Il cortile dei Gentili”, una struttura del Pontificio Consiglio della Cultura, fortemente voluta da Benedetto XVI e che si occupa del dialogo con i non credenti. Scopo del “cortile” è quello di far uscire i credenti dalle strutture ecclesiali per incontrare chi non la pensa come noi, chi non crede, chi contesta. Negli ultimi anni (in particolare dopo l’11 settembre 2001), un comune pensiero laicista inizia a preoccuparsi di religione solo in quanto un “problema”, qualcosa di pericoloso da conoscere per tenere sotto controllo.Vista la generale diffidenza nei confronti delle religioni, non possiamo, come credenti, non sentirci in dovere di uscire e dialogare nella semplicità della nostra vita, impegnandoci nell’essere testimoni del Vangelo. L’atteggiamento della Chiesa “in uscita” proposto da papa Francesco, ci provoca costantemente e ci mette alla prova su come ci spendiamo nell’uscire dalle nostre parrocchie per incontrare chi non la pensa come noi.La religione fa parte della società, religione e cultura sono inscindibili. I responsabili della società devono fare in modo che questo dialogo trovi sempre più spazio, se uno stato prende parte per una sola religione non può essere possibile un dialogo, perché manca l’armonia. Nell’incontro dell’altro si scopre il volto del fratello e uno non può vivere senza l’altro. Padre Laurent ci riporta poi il testo di un filosofo francese: cosa vuol dire essere credenti e atei? Un ateo afferma di non credere, che sia. Ma per essere coerente non deve divinizzare nulla al suo posto; sarebbe incoerente. Non può idolatrare altro. L’ateo quindi non deve fare del proprio ateismo una religione. Essere atei vuol dire rifiutare ogni idolo e restare aperti a ogni avvenimento. Il credente, invece, crede in Dio. Ma credere non è vedere e Dio è infinitamente ascendente. I doni della Chiesa danno un’apertura all’inimmaginabile e invisibile. Credenti e atei hanno bisogno gli uni degli altri: l’ateo col credente purifica il suo ateismo e il credente con l’ateo purifica la sua fede. Entrambi devono fraternizzare. Per questo il cortile dei gentili è una esperienza fondamentale. L’ateo deve cercare ancora e il credente deve aprirsi ancora.” E se di dialogo inter-culturale si parla, non può prescindere dalla conoscenza, dal sapere, dal conoscere: basi imprescindibili per l’incontro.Il Papa chiama tutta la Chiesa ad andare incontro ai non credenti. Il dialogo è un lavoro continuo che si può realizzare su campi diversi, come quello sociale, sia a livello locale che nazionale e internazionale. È un lavoro continuo, che si svolge per sempre, senza fine. Non per raggiungere un punto o una conclusione definitiva: dopo questa generazione ne verrà un’altra che dovrà essere educata al dialogo.Al termine della giornata del sabato, dopo aver parlato di dialogo inter-culturale, abbiamo condiviso con un pastore valdese e un sacerdote ortodosso la preghiera ecumenica. Hanno commentato per noi il testo degli Atti degli apostoli che racconta la vita della prima comunità cristiana: At 2, 42-47. Un testo meraviglioso che ci mostra il volto più bello del cristianesimo, quello suscitato dallo Spirito Santo dopo il giorno della Pentecoste. Ci siamo chiesti se riusciremo un giorno come cristiani a concretizzare nuovamente questa Pentecoste, che ci rende capaci di parlare di Gesù Cristo in lingue (e culture) diverse, rimanendo uniti nello spezzare il pane, nella preghiera (seppur vissuta con stili diversi), nella comunione (espressione concreta della missione evangelica) e nell’insegnamento (che educa).

Emanuela Vanzan

Vice presidente settore adulti

Dialogo intergenerazionale

Sono i laici per primi che possono condurre la Chiesa lungo le strade del mondo”, per camminare “con tutti e per tutti”, come fermenti di fraternità, annunciando la gioia del Vangelo e prendendosi cura di ogni esistenza. Per questo è importante formare cittadini che sappiano dare testimonianza di una fede che trasforma la vita e la storia, che spendano i propri talenti dentro la vita di ogni giorno guidati da una retta e matura coscienza per costruire lì una società più giusta, più bella, più umana”. Questa la conclusione del presidente nazionale Matteo Truffelli al Convegno delle presidenze diocesane svoltosi a Roma dal 29 aprile al 1° maggio.Per prendere in mano l’esistenza umana dobbiamo confrontarci con lo spirito sinodale che ha sempre contraddistinto l’associazione che in questo miniconvegno a cui ho partecipato  ha tracciato e ricordato alcuni punti che ci permettono di creare un movimento creativo per concretizzare il nostro tempo. Da un primo incontro di relazione si può giungere al vero dialogo.  In questo spirito si è introdotta la relazione della dott. Paola Versa, psicologa e psicoterapeuta. La comunicazione  nella mera quotidianità non è sufficiente a portarci ad un vero dialogo. Ci occorre al presenza di alcuni elementi fondamentali. Il dialogo è una relazione tra l’io e il tu. Si comunica la propria vita affettiva e cognitiva e si entra in relazione con l’altro, il tu, e in questo modo la propria esistenza si appaga nell’accoglienza dell’altro.Sono quindi necessari alcuni punti fermi: il primo e fondamentale è l’autenticità personale, il togliersi tutte le maschere. Il secondo è l’accettazione incondizionata dell’altro, via da pregiudizi, credenze, valori, si accetta l’altro indipendentemente dalla sua personalità. Il terzo è la comprensione e comunicazione empatica, quel mettersi nei panni dell’altro che ci permettevi ave chiara la sua esperienza personale e ciò che essa produce nella sua esistenza. Nel confronto e nel dibattito che sono seguiti si è evidenziato che gli adulti hanno necessità di una formazione continua, che richiede il mettersi in gioco per poter instaurare un vero rapporto dialogico, che la vera sfida è costruire relazioni efficaci, che spesso quando l’individuo non si sente accolto, la solitudine e le derive ad essa correlate (alcol, droga, ecc.) sono la sola risposta. Solo nel vero incontro relazionale con l’altro anche la nostra vita si trasforma. E’ quindi un vero percorso donato.

Maria Luisa GiustiPresidente Diocesano