50 anni di comunione fra Chiese sorelle

Cinquant’anni sono un periodo significativo per la vita di una persona anche longeva e lo sono anche per una comunità che ha già qualche secolo di vita come la nostra Chiesa. Per chi li ha vissuti fin dall’inizio, sono invece pochi, passati quasi in un attimo, anche se pieni di iniziative e di attività.Oggi celebriamo i cinquant’anni dell’avvio della missione diocesana in Costa d’Avorio. Un avvio dovuto allo sguardo lungimirante e aperto alla missione e alla cattolicità dell’arcivescovo di allora, Mons. Pietro Cocolin, condiviso dalle Suore della provvidenza, dai missionari del PIME, da diversi sacerdoti – e qui un ringraziamento particolare va dato a mons. Giuseppe Baldas che fin dall’inizio è stato il motore della attività missionaria della diocesi – e anche da diversi laici e laiche, chi è partito ma anche i tanti gruppi missionari che in diocesi hanno sostenuto con la preghiera e il concreto aiuto l’impegno missionario. Nella équipe che partì c’erano sacerdoti diocesani, religiose e laici: fu un’intuizione formidabile considerati i tempi, che parla di una pastorale condivisa (potremmo chiamarla “sinodale”), che può essere d’esempio anche oggi.È giusto poi fare memoria con grande riconoscenza di tutti coloro che nel tempo si sono succeduti nella presenza in Costa d’avorio e Burkina Faso: diversi di loro sono presenti a questa celebrazione. Il loro rientro in Diocesi, terminato il periodo di impegno missionario, è stato ed è tuttora un grande arricchimento per la nostra Chiesa. Un ricordo affettuoso e orante spetta a coloro che hanno ormai raggiunto la casa del Padre dopo aver lavorato in missione: don Luciano Vidoz, don Flaviano Scarpin, Giuseppe Burgnich, P. Gennaro Cardarelli, p. Ivano Tosolini, suor Pieralba Bianco, suor Pia Berardin. Non va dimenticato il “Centro Volontari Cooperazione allo Sviluppo” nato a Gorizia nel 1980 grazie all’iniziativa del Centro Missionario Diocesano.Un grande grazie va anche dato alle Diocesi che ci hanno accolto, ai Vescovi che ci hanno sempre onorati della loro amicizia e della loro stima, ai sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, catechisti, laici e laiche con cui si è collaborato in fraternità, uniti dalla stessa passione per il Vangelo. Desidero a questo proposito salutare il vicario generale di Bouaké Alain Pierre Yao – delegato dall’arcivescovo Ahouanan – che rappresenta la sua e anche le altre Diocesi con cui nel tempo si è consolidata una profonda comunione fra Chiese. Ma il primo ringraziamento va al Signore e per questo celebriamo l’Eucaristia. Lo facciamo in una domenica particolare che chiude il tempo natalizio e ci presenta l’avvio della missione di Gesù con il suo battesimo. Tutti i Vangeli sono concordi nell’individuare in quell’episodio ciò che costituisce l’inizio della vita pubblica di Gesù. Un inizio che non avviene con un solenne ingresso a Gerusalemme, ma nel deserto, presso il fiume Giordano. Lì l’ultimo e il più grande dei profeti, annunciava l’arrivo imminente del Messia e predicava un battesimo di conversione, affinché la via per il Signore veniente fosse spianata e il cuore fosse aperto ad accoglierlo libero dai peccati. Per questo la gente si affollava vicino al Giordano attendendo il proprio turno per il battesimo e per confessare i propri peccati. Possiamo solo intuire, grazie a quanto riportato dal Vangelo di oggi, lo stupore di Giovanni vedendo in mezzo a quella gente proprio Gesù, il Messia, mescolato tra i peccatori e non giudice e castigatore dei peccati. E proprio mentre Gesù riceve il battesimo di penitenza, ecco che il Dio trinitario si manifesta: lo Spirito appare sotto forma di colomba e risuona la voce del Padre: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”. Sembra proprio l’evento meno adatto per la manifestazione di Dio: molto più idoneo il monte Sinai o almeno il roveto ardente nel deserto. E sicuramente appare più adeguata la misteriosa trasfigurazione sul Tabor. Invece Dio sceglie di rivelarsi proprio sulle rive del Giordano come Colui che ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio per i peccatori, anzi identificando suo Figlio con i peccatori. Paolo in una sua lettera afferma che il Figlio di Dio si è fatto peccato per noi: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio” (2Cor 5,21). E ancora, nella lettera ai Galati, afferma: “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge, diventando lui stesso maledizione per noi, poiché sta scritto: Maledetto chi è appeso al legno” (Gal 3,13). Questo è il nostro Dio. Un Dio ricco di misericordia, pieno di amore e di compassione, che si manifesta in Gesù, il servo che – come afferma il profeta – non spezza una canna incrinata, non spegne uno stoppino dalla fiamma smorta, un Messia che – come ricorda in questo caso Pietro nel suo discorso nel cap. 10 degli Atti – è passato “beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui”.Questo Dio è quello che i nostri missionari sono andati ad annunciare in terra d’Africa, cercando di vivere lo stesso stile di Gesù e manifestando concretamente l’amore di Dio con un impegno fattivo a favore della promozione delle persone e delle popolazioni. Un annuncio che è importante anche qui e ancora oggi. Siamo in una società che rischia di perdere o forse ha già perso il riferimento a Dio, che è tornato a essere sconosciuto. E si agisce come se non ci fosse: “etsi Deus non daretur” è un modo di dire coniato nel XVII secolo per dire che il diritto funziona anche se non ci fosse Dio, ma ora vale per tutte le dimensioni della società. E quello che ci preoccupa e ci addolora come credenti è vedere che si può vivere in apparenza tranquillamente, senza inquietudine, a prescindere dal fatto che Dio ci sia o non ci sia. Semplicemente la questione non interessa a moltissime persone. Abbiamo bisogno quindi anche noi qui di ricevere l’annuncio di Dio. Stiamo diventando terra di missione come più di 70 anni fa si diceva della Francia. E probabilmente avremo presto bisogno di missionari che vengano dall’estero, anche da Paesi dove negli scorsi secoli e decenni sono andati i missionari europei, non per tenere in vita comunità morenti tappando i buchi lasciati dalla carenza di sacerdoti, ma per riproporre la bellezza e la forza dell’annuncio cristiano.Intanto stiamo vivendo in questi anni una forma molto bella di ritorno, per così dire, dell’attività missionaria ed è quella del rapporto tra Chiese sorelle tutte impegnate, sia pure in diversi luoghi del mondo, ad annunciare e vivere il Vangelo. Una relazione che si concretizza in particolare nell’ospitare per alcuni anni per lo studio, ma anche per l’attività pastorale, dei sacerdoti provenienti da Chiese amiche. Una presenza che potrà essere sempre più di conoscenza reciproca e di scambio di esperienze con un arricchimento reciproco. Penso per la nostra Chiesa, per esempio, al tema dell’iniziazione cristiana degli adulti dove le Chiese di più recente formazione hanno maggior esperienza di noi, o anche quello della articolazione in comunità locali, molto vivaci e affidate alla ministerialità laicale. I sacerdoti presenti tra noi potranno in questo esserci di aiuto. E naturalmente colgo l’occasione per ringraziare don Giulio e Alessandra (e anche don Franco e l’altra Alessandra) per il lavoro di accoglienza verso questi sacerdoti, oltre che per l’impegno di animazione missionaria della diocesi, con una bella e significativa collaborazione con altre pastorali, in particolare la Caritas diocesana e l’Ufficio catechistico.Ringraziando pertanto il Signore per l’impegno di questi decenni, chiediamo a Lui di essere sempre più suoi testimoni, in comunione con tante Chiese sorelle e nella condivisione della grande gioia del Vangelo.

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“Diteci come possiamo aiutarvi!”

Il saluto del Vicario generale della diocesi di Bouakè

“Cera una volta un paese in Africa, in Costa d’Avorio, ove c’era un lebbrosario abbandonato. E dei bianchi cominciarono a mandare degli aiuti per costruire per loro delle case decorose. Poi, cinquanta anni fa, arrivarono dei bianchi, dei preti, dei laici, delle religiose, che cominciarono a far conoscere Gesù, predicando e facendo tante cose buone: chiese, dispensari, scuole…E tante persone che erano rimaste in Europa li sostenevano con la loro preghiera e con i loro mezzi, con gioia ed entusiasmo.La loro preoccupazione era che le persone potessero conoscere Gesù: tanti lo hanno conosciuto e seguito, convertendosi e seguendo la legge dell’amore. E così sono state fondate nuove parrocchie; e la Chiesa e il Regno di Dio si sviluppava. Da quelli che sono diventati cristiani, sono nate vocazioni al matrimonio, alla vita religiosa e sacerdotale.Questa non è una favola che finisce perché tutti vissero felici e contenti, è una realtà che continua, è la storia di questa entusiasmante avventura missionaria di cui ache io sono il frutto e il testimone.Ho conosciuto padre Gennaro Cardarelli, mi ha battezzato padre Giovanni De Franceschi del PIME, entrambi venuti con Gorizia. Sono cresciuto nella parrocchia di Nimbo, con don Michele Stevanato e don Paolo Zuttion e sono il primo sacerdote di questa parrocchia. Ora sono il vicario generale della diocesi di Bouaké.Eccellenza Monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli, lei è l’Arcivescovo di Gorizia. L’Arcivescovo di Bouaké, Monsignor Paul Siméon Ahouanan, mi ha inviato oggi qui. Parlo a nome suo, del suo Ausiliare mons Jacques Ahiwa e di tutti i vostri fratelli di Bouaké per dirvi il nostro più sentito grazie per quanto avete fatto, per averci dato tanti che ci hanno fatto del bene: Senza togliere nulla a nessuno oso citare uno fra tanti, monsignor Baldas cui va un saluto speciale. Il nonno ha fatto crescere figli e nipoti: se ha bisogno di aiuto, sono i figli e nipoti che lo aiutano, grati per tutto quello che ha fatto per loro. Noi siamo i vostri figli, i vostri nipoti: se possiamo aiutarvi, diteci come, siamo pronti a farlo. Siamo contenti della nuova visione del cenro missionario che risponde ai bisogni di oggi: avete accolto dei preti che qui studiano e vi danno una mano nella pastorale e vi dico grazie anche per questo. E’ chiaro che si può fare di più, e siamo pronti a cercare insieme nuove modi per cooperare tra Chiese sorelle. Ancora a tutti voi grazie”.mons. Alain Paul Yao