Un anno della propria vita dedicato al prossimo!

Quattro giovani ragazze, quattro storie, quattro esperienze di crescita personale e professionale. Sono Asia, Antonia, Silvia e Chiara, da pochissimo rientrate dal loro anno di Servizio Civile Universale, vissuto in Costa d’Avorio e Bolivia. Il Servizio Civile Universale, in questo caso coordinato dal CVCS di Gorizia con la partecipazione del Centro missionario diocesano, “è la scelta volontaria di dedicare fino a un anno della propria vita al servizio di difesa, non armata e non violenta, della Patria, all’educazione, alla pace tra i popoli e alla promozione dei valori fondativi della Repubblica italiana, attraverso azioni per le comunità e per il territorio. […] rappresenta un’importante occasione di formazione e di crescita personale e professionale per i giovani, che sono un’indispensabile e vitale risorsa per il progresso culturale, sociale ed economico del Paese”. (www.politichegiovanili.gov.it).
Abbiamo incontrato le quattro ragazze e loro stesse, ancora con negli occhi e nel cuore le esperienze da pochissimo concluse, ci hanno raccontato le loro emozioni.

 

Opportunità internazionale

Asia è da poco rientrata da Bouaké, in Costa d’Avorio. Ecco la sua esperienza.

Asia, raccontaci come hai scelto la tua destinazione e perché hai scelto di “prestare” un anno della tua vita proprio al Servizio Civile Universale

Ho scelto di partire per il Servizio Civile Universale perché all’Università ho studiato Cooperazione Internazionale, pertanto l’ho subito visto come una grande possibilità per effettuare una prima esperienza appunto in campo internazionale. Oltre a ciò, il mio grande sogno è quello di poter operare sul territorio Africano, non solo quindi studiarlo sui libri ma anche conoscerlo, vederlo con i miei occhi, comprenderlo.
Ho scelto la destinazione di Bouaké, in Costa d’Avorio, presso il Centro Notre Dame des Sources (dove opera anche la missionaria diocesana Claudia Pontel, ndr.) perché da poco avevo concluso un’esperienza di tirocinio presso un CAS, dove mi ero occupata prevalentemente di ragazzi ivoriani. I progetti erano tanti, così come le destinazioni: nel fare una prima scelta mi sono lasciata guidare un po’ dal “livello affettivo”; ho esaminato i progetti presenti in Costa d’Avorio e il progetto presso l’orfanotrofio mi ha colpito e mi è piaciuto moltissimo. Sono molto contenta della scelta che ho fatto.
Quella di prestarmi per il Servizio Civile Universale è una scelta che è maturata in me negli anni e che desideravo fare appena terminati gli studi, ma in realtà è stata presa un po’ anche “di pancia”: a pochi mesi dalla laurea, su uno dei social più diffusi un giorno mi è spuntato un post promozionale del Servizio Civile ed è stato in quel momento che mi sono “lanciata” in quest’avventura, presentando la mia candidatura. Sono partita subito dopo la discussione della tesi.

Di cosa ti sei occupata principalmente nella tua esperienza? E qual è un ricordo particolare che avrà sempre un posto d’onore nel tuo cuore?

Io e Antonia abbiamo operato appunto all’interno dell’orfanotrofio Notre Dame de Source a Bouaké. Abbiamo vissuto proprio all’interno del Centro, insieme alle “maman” e ai bambini. Ci siamo occupate proprio dei bambini e ragazzi accolti, che sono 50 e partono dai neonati fino ai ragazzi al 24esimo anno d’età, passando per i bambini e i ragazzini.
Il nostro lavoro si è concentrato prevalentemente sui bambini della scuola primaria. Ci occupavamo di sostegno scolastico ai piccoli della II, III e IV elementare; oltre a ciò una parte della nostra attività si svolgeva in un centro di osservazione minorile – un carcere minorile – dove due volte a settimana ci recavamo per svolgere o attività educative o colloqui con i ragazzi.
Uno dei ricordi che sicuramente porterò con me sono i momenti vissuti insieme, grandi e piccoli. Un esempio: quest’anno in Costa d’Avorio è stata giocata la Coppa d’Africa e una delle partite giocate dalla Nazionale è stata particolarmente “vissuta” dal momento che rischiava l’eliminazione. Eravamo tutti insieme a guardare la partita e, proprio agli ultimi secondi di gioco, il team ivoriano ha segnato un goal.
È stato bellissimo vedere l’esultanza, i balli, i giochi dei grandi con i bambini, tutti che si divertivano, contenti per la propria Nazionale e per il proprio Paese, tutti quanti abbracciati ad aspettare questo momento, le maman incluse! I momenti indimenticabili sono un’infinità, questo è uno dei tanti.
Vivere questi momenti nella casa, sono emozioni belle che porterò sempre con me.

A qualche ragazzo o ragazza indeciso se effettuare o meno il Servizio Civile Universale, cosa diresti?

Tornassi indietro, è una scelta che rifarei ad occhi chiusi, senza pensarci due volte, per tantissimi motivi: i legami affettivi che si creano, l’esperienza professionale e umana vissuta, ma soprattutto perché impari a non dare per scontate tante piccole cose, ad avere una prospettiva un po’ più ampia del mondo e anche delle cose più vicine a te. È un’esperienza che consiglio senza dubbio: se qualche ragazzo o ragazza in questo momento è dubbioso sul da farsi, dico loro partite! Provateci in ogni caso!


A chi sta per partire dico: “Lasciati stupire!”

Il SCU ha portato in Costa d’Avorio anche Antonia. Ci lascia il suo racconto.

Antonia, raccontaci del tuo Servizio Civile Universale e della tua particolare scelta.

Insieme ad Asia, ho svolto il mio anno di Servizio Civile universale a Bouaké in Costa d’Avorio. Anche per me la scelta tanto di prestare il mio servizio, quanto della destinazione, è stata dettata in parte dagli studi che ho svolto – ho studiato Diritti Umani e Cooperazione Internazionale -, pertanto è stato l’anno giusto per avviarsi in quell’ambito lavorativo, fare esperienza, conoscere veramente cos’è la cooperazione.
Il Servizio Civile è una realtà che conoscevo già; avevo in effetti già presentato la mia candidatura qualche tempo fa, poi è sopraggiunta la pandemia da Covid19 ed è stato tutto messo in stand by. Ho erò solo rimandato.
La scelta è stata poi dettata anche dal “voler” tornare in Africa: avevo già fatto un mese di volontariato in Kenya e volevo tornare nel continente.
La Costa d’Avorio e in particolare il progetto al Centro Notre Dame des Sources li ho scelti un po’ “di pancia”: ho letto il progetto, le finalità, le caratteristiche… mi ha colpito e mi sono detta “va bene, è questo che voglio fare!”.

Cosa porterai con te da quest’esperienza? Quale ricordo ti emoziona di più?

Tantissimi i ricordi vissuti al Centro Notre Dame des Source e nel corso dell’anno di Servizio Civile, è difficile scegliere!
Tra i tanti, sicuramente l’aver visto i bambini più piccoli – ricordiamo che il Centro accoglie anche neonati – imparare un po’ alla volta a camminare.
So che può sembrare una cosa banale ma essere stata lì con loro in quei momenti, aver vissuto i loro piccoli ma grandi progressi, è qualcosa di estremamente emozionante.
Un altro ricordo che porterò per sempre nel cuore l’ho vissuto l’ultimo giorno di permanenza, quello dei saluti. L’ultima sera passata con i bambini, i ragazzi, con la direttrice, come ci hanno salutato, i pianti emozionati di tutti, anche dei bambini più “tenaci” che durante l’anno non si erano mai lasciati andare… sapere di aver avuto un impatto, sapere che conserveranno dei ricordi con noi e di quello che abbiamo fatto insieme è qualcosa di bellissimo ed emozionante.

Cosa consigli ai tuoi “colleghi” che stanno per scegliere il Servizio Civile Universale?

Il mio consiglio è quello di “buttarsi”; nel momento in cui si è insicuri se fare o non fare quest’esperienza, farla.
Non pensarci troppo, “lanciarsi” e vedere come va. Potrà andare benissimo, potrà andare malissimo, potrà andare così-così, ma è solo vivendola e dandosi questa possibilità che lo si scoprirà e in ogni caso è un’esperienza di crescita personale infinita. Si impara tantissimo di sé stessi, delle relazioni con gli altri e che ci sono diversi modi di comunicare. Infine è un’importante opportunità di crescita professionale, se questo è l’ambito a cui uno aspira.
A chi sta considerando il Servizio Civile Universale dico: non lasciatevi intimorire dalle insicurezze, non lasciate che queste vi frenino da un’opportunità davvero grande.
Lasciatevi stupire!


Ridefinire il proprio modo di vivere

Da poco rientrata da un’esperienza all’estero anche Silvia. Ha raccontato per noi le sue emozioni.

Silvia, dove hai vissuto la tua esperienza e perché hai scelto proprio quella destinazione e quel progetto?

Da poco rientrata dalla mia esperienza di Servizio Civile Universale in Bolivia. Conoscevo già la realtà del Servizio Civile e la volontà di candidarmi era iniziata già l’anno precedente, quando però dovevo ancora terminare i miei studi universitari, pertanto si era tutto fermato solamente ad un livello conoscitivo e informativo.
L’anno successivo ho presentato la mia candidatura e ho selezionato come destinazione la Bolivia, nello specifico a La Paz, perché ero interessata all’area dell’America Latina.
Guardando poi i progetti, ho subito notato quello nei centri penitenziari. A Padova, dove studiavo Scienze Politiche e Diritti Umani, avevo già iniziato ad operare presso la Casa Circondariale, pertanto avevo trovato delle affinità, delle somiglianze in questo progetto con quanto stavo già facendo.
Ho scelto quindi principalmente la mia destinazione proprio in base al progetto, anche per volontà vedere la differenza, per comprendere le due realtà, i loro diversi funzionamenti.

Nel corso della tua esperienza, cosa ti è stato chiesto di seguire? Che emozioni porti con te ora?

Il progetto che abbiamo seguito io e Chiara si svolgeva nei centri penitenziari di La Paz e abbiamo avuto modo di entrare in 4 dei 6 centri per adulti che si trovano nella capitale boliviana.
Uno era per giovani dai 18 ai 28 anni, l’altro un carcere femminile, uno maschile di massima sicurezza e uno maschile “standard”.
Il nostro programma seguiva in particolar modo il “post penitenziario”, occupandosi quindi del reinserimento sotto diversi punti di vista delle persone che escono dai centri una volta concluso il periodo di detenzione: lavorativo, familiare, psicologico, salute ed educazione.
Noi lavoravamo assieme ad un gruppo di assistenti sociali e ci occupavamo soprattutto dell’aspetto familiare, quindi del curare le relazioni del detenuto con la famiglia, dei colloqui con entrambe le parti e dell’aspetto lavorativo, collaborando all’avviamento di piccole attività. In Bolivia infatti è complicato per gli ex detenuti trovare un lavoro da dipendenti, pertanto in questi progetti di “post penitenziario” si cerca di aiutarli ad avviare attività in proprio.
Ci sono state ovviamente tantissime cose che ricorderò per sempre. Una che mi ha colpito molto è successa proprio verso la fine della mia esperienza di Servizio Civile Universale, dentro al penitenziario San Pedro, un luogo particolare: è un carcere autogestito, all’interno ci sono situazioni che a volte non si riescono nemmeno ad immaginare…
L’ultima volta in cui ci sono entrata mi sono stupita non solo dell’affetto dimostratomi dalle persone ma anche per il fatto di essere consapevole che non avrei più rivisto quel luogo che, la prima volta in cui ci misi piede dentro mi fece dire “non so se voglio più tornarci!”; l’ultimo giorno mi sono emozionata a doverlo “lasciare”, a non vederlo più. Ho compreso che, grazie all’esperienza vissuta, al contatto con le persone che lì dentro vivono, lo vedevo in quel momento completamente diverso.

Cosa consigli a chi sta pensando di vivere quest’esperienza?

Io dico a chi sta scegliendo e ha qualche dubbio di partire in ogni caso, soprattutto di farlo senza crearsi troppe aspettative precise o predefinite. È bello e giusto che ci siano e che si stia “cercando” qualcosa, ma magari alla fine non si troverà quello che si stava cercando ma si troveranno tante altre cose che nemmeno si immaginava ci sarebbero state.
Oltre a ciò, vivere il Servizio Civile all’estero fa veramente rendere conto della propria posizione di privilegio: vedere come vivono persone in altre parti del mondo, viverlo insieme, è molto diverso dal leggerlo o studiarlo e ridefinisce un po’ anche il tuo modo di vivere una volta tornato a casa.


L’emozione nel vedere riconquistare la propria libertà

Ad operare nelle Carceri di La Paz anche Chiara, che racconta oggi la sua esperienza.

Chiara, come ti sei avvicinata al Servizio Civile Universale?

La scelta di presentare la mia candidatura per il Servizio Civile Universale è stata dettata anche dalla volontà di fare un’esperienza all’estero.
Come Antonia avevo già fatto un mese di volontariato internazionale proprio in Kenya ed era stata un’esperienza molto impattante, ha davvero cambiato il mio modo di vedere tante cose.
Una volta terminata l’Università (ho studiato Giurisprudenza) sentivo di avere in parte anche il “bisogno” di fare un’altra esperienza all’estero. Inizialmente avevo considerato delle esperienze più autogestite, come il “Work Away”.
Non conoscevo ancora il Servizio Civile Universale ma, per caso, mentre stavo maturando l’idea di partecipare a qualcosa di più organizzato e strutturato, un’amica mi ha raccontato di essere stata selezionata per un’esperienza di SCU in Tanzania.
Questo ha fatto da stimolo decisivo e così ho inviato la mia candidatura e sono stata selezionata alla seconda domanda.
Il progetto, anch’io un po’ come Silvia che era con me in Bolivia, l’ho scelto sulla base del fatto che ero interessata a svolgere qualcosa di inerente i centri penitenziari, perché anch’io già svolgevo attività di volontariato in un carcere di Bollate, città dove vivo.

Che ricordo, ripensandolo, ti emoziona di più?

Come ha spiegato Silvia, la nostra esperienza di Servizio Civile Universale ci ha portate all’interno delle carceri di La Paz. Non sempre abbiamo lavorato insieme, fino a marzo abbiamo operato in due centri diversi: Silvia a San Pedro, io al centro di Qalauma, che accoglie i detenuti giovani dai 18 ai 28 anni.
Il mio ricordo più bello si ricollega proprio a questo centro. Tra le tante storie incontrate, c’è anche quella di un ragazzo di nome Americo: da tanto tempo, almeno da dicembre, mi diceva che a breve sarebbe uscito.
Purtroppo in Bolivia succede spesso che le udienze vengano rinviate, poi nel mentre succede qualcosa che ritarda il tutto, ci sono nuovamente rinvii… insomma, l’uscita di Americo è stata più volte posticipata e io cominciavo a credere che probabilmente non sarei riuscita a vederlo libero prima della fine del mio Servizio Civile. Sapevo che aveva un’udienza ai primi di maggio ma poi non ero stata aggiornata sulla situazione, anche perché avevo iniziato a seguire anche il carcere di San Pedro con Silvia.
Un giorno, uscendo proprio da San Pedro e rientrando verso la nostra abitazione, ho visto fermo ad un chiosco – a mangiarsi una tucumana, un piatto tradizionale – proprio lui, Americo!
Sono rimasta senza parole, la felicità nel vederlo per strada, libero, è stata una delle sensazioni più belle che io possa aver provato: sapere che, in 10 mesi, sei riuscita effettivamente a vedere qualcuno che è riuscito a riconquistare la sua libertà, è una grande emozione.

A chi sta scegliendo se presentare la propria candidatura al SCU, cosa ti senti di dire?

Consiglio assolutamente a chi sta valutando quest’esperienza di partire e darle un’opportunità. Io ad esempio sono partita informandomi molto, ho chiesto in giro, cercavo un progetto strutturato…
Quello che poi ho capito stando lì e vivendolo, è che probabilmente nessuno vivrà mai l’esperienza perfetta al 100%, perché ci sono sempre variabili in gioco e qualche difficoltà, ma è bello anche imparare a gestire questi momenti più complicati, quelli in cui le cose non vanno come avevi programmato.
Poi ovviamente è prezioso l’insegnamento di non dare nulla per scontato: ci si rende conto, parlando con persone che non si sarebbero mai incontrate nella propria vita se non si fosse fatta quest’esperienza, che c’è chi deve lavorare molto di più per ottenere ciò che tu hai già in partenza, da quando nasci; è qualcosa che veramente non è scontato.

A cura di Selina Trevisan