Se accoglienza è Cultura

L’intervista che l’arcivescovo Carlo ha rilasciato nei giorni scorsi al quotidiano “Il Piccolo” ha proposto numerose sollecitazioni alla città di Gorizia tanto in vista dell’appuntamento del 2025 con la capitale europea della cultura quanto per ciò che concerne la presenza degli immigrati che giungono nell’Isontino seguendo la cosiddetta Rotta balcanica.Il dibattito che ne è seguito, tanto sulle pagine dello stesso giornale quanto sui social, offre lo spunto per alcune considerazioni su quest’ultimo argomento.È ormai chiaro che, continuando a definirla “un’emergenza”, abbiamo relegato l’immigrazione unicamente a fenomeno di sicurezza nazionale evitando di  affrontarne in maniera seria ed approfondita le motivazioni geo-politiche e le conseguenze che lo stesso ha non solo per chi migra ma anche per chi si trova a vivere nelle terre di immigrazione.Ora più che mai è il tempo che la propaganda lasci spazio ad una responsabilità capace di visioni politiche (e non partitiche!) a lungo raggio: l’esperienza di accoglienza diffusa – anche alla nostra latitudine – di quanti sono stati costretti ad abbandonare l’Ucraina al momento dell’invasione russa, ci dimostra quanto sia fondamentale anche in tema di immigrazioni una narrazione diversa. Come giornalisti abbiamo la responsabilità di dare una storia, un volto ed un nome alle persone che cercano una vita diversa nel nostro Paese non limitandoci a farlo unicamente quando si tratta di dare un’identità ai bambini morti sulle spiagge greche o alle mamme che con i loro figli non sono sopravvissute all’attraversamento del deserto.Dobbiamo ricordare che “l’abbruttimento” con cui dipingiamo chi giunge nel nostro Paese sui barconi che attraversano il Mediterraneo o dopo avere percorso la Rotta balcanica dipende dal fatto che quelle persone le obblighiamo ad attendere il rilascio di qualche documento in bivacchi di fortuna caldi d’estate e freddi d’inverno, esposti alle intemperie e privi di accesso a bagni e docce: in poche parole, negando loro la dignità di esseri umani.È il momento di ripensare una nuova legge sull’immmigrazione magari partendo da una sburocratizzazione dei percorsi di riconoscimento.La legge Bossi – Fini risale al 2002 e dalla sua approvazione non sono solo trascorsi 21 anni ma è cambiato il mondo. Gli imprenditori italiani ci ripetono che per rispondere al reale bisogno di manodopera avremmo bisogno di trovare chi possa occupare almeno 250 mila posti nuovi di lavoro all’anno. Un dato che comprende le esigenze produttive delle aziende permanenti o stagionali (nelle campagne, nel turismo…) e quelle delle famiglie (ad esempio per le badanti). Nel 2022 l’Italia ha concesso circa 40 mila permessi di protezione ai richiedenti asilo: avessimo avuto la possibilità di distribuirli negli 8000 comuni italiani (in maniera magari proporzionale alla popolazione), la loro presenza sarebbe passata quasi inosservata. Certamente sarebbe necessario prevedere ed attivare percorsi di formazione per l’inserimento degli immigrati in quei settori strategici in cui la manodopera è carente. Ed il punto di partenza, magari, potrebbe essere l’offerta di qualificazioni professionali per quei minori non accompagnati sul cui futuro padri e madri di luoghi geograficamente da noi così distanti hanno investito i risparmi di una vita usandoli per pagare viaggi che dovrebbero essere di speranza e troppo spesso sono solo di disperazione e morte. Tutto questo, però, implica che il nostro Paese si faccia interprete di una nuova “Politica del Mediterraneo”: l’Italia deve ritornare a svolgere un ruolo da protagonista in quello che per millenni ha orgogliosamente definito “Mare nostrum”. Parliamo di un mare dove transita un quinto del traffico economico mondiale, su cui si affacciano tre continenti con una varietà unica di popoli, culture, religioni, lingue… ma che oggi sta sempre più diventando un “freddo cimitero senza lapidi” (per ricordare le parole di papa Francesco).Nell’attuale momento storico, il nostro Governo può farsi promotore di una politica dell’Unione Europea non solo “per” l’Africa ma “con” l’Africa, cercando di intervenire insieme sui gravi problemi che attanagliano i Paesi di quel Continente: un Continente sempre più simile ad un colosso dai piedi d’argilla come dimostra la scia di colpi di Stato succedutisi negli ultimi anni interessando Gabon, Mali, Guinea, Burkina Faso, Niger…Papa Francesco lo ha ricordato a più riprese e lo ha esplicitato in modo particolare nel Messaggio per la Giornata mondiale del rifugiato e del migrante del 2018 richiamando le quattro azioni fondamentali con cui affrontare il fenomeno migratorio: “Accogliere, proteggere, promuovere e integrare”.Gorizia ha, veramente dinanzi a sé un’occasione unica per dimostrare come accoglienza, protezione, promozione ed integrazione siano state e debbano essere parte fondamentale della Cultura europea. Ne è stata testimone in passato, speriamo lo sia anche in futuro.