Fede, impegno e rettitudine

Fede, impegno e rettitudine. Don Renzo è stato un punto di riferimento per tutti noi. Restano impressi i suoi modi diretti ed accoglienti, la sua disponibilità al confronto aperto e franco, il suo costante invito alla coerenza etica e morale.Presente nell’Istituto di Storia Sociale e Religiosa fin dai primi anni di attività, nella profonda convinzione che studiare la storia fosse un modo per aiutarci a comprendere il nostro presente, nel rispetto per le persone che ci hanno preceduto. Per tanti anni nel Direttivo dell’Istituto, ha collaborato attivamente assieme a don Luigi Tavano e ai tanti che hanno contribuito alla crescita di questa realtà, punto di riferimento per la ricerca storica sul Goriziano, sulla sua Chiesa e le sue genti, al di là dei confini di oggi. Tra i percorsi di studio e di memoria che ha sollecitato non posso non ricordare il volume sui fatti di Ronchi dell’8 settembre 1943, esempio di carità cristiana e di umanità verso quelli che in quel momento erano gli ultimi. L’attenzione per le persone si traduceva in un costante impegno per il prossimo. La sensibilità per il mondo del lavoro era legata all’aver visto il sudore sulla fronte di tanta povera gente. Le sue origini contadine, che ha ricordato anche in due piccoli libri pubblicati assieme all’Associazione Culturale Bisiaca e dedicati rispettivamente ai “Rodareti” – la famiglia paterna, di Vermegliano – ed ai “Presoti” – la famiglia materna, originaria del pordenonese ed emigrata in Bisiacaria -, non cessavano mai di essere presenti nei suoi occhi. Insegnamenti vivi che ha portato nel suo ministero sacerdotale. Una fede forte la sua, maturata negli anni di Seminario ma che aveva radici nella sua famiglia ed era stata rafforzata dall’esempio di don Virgulin, che don Renzo continuava a chiamare “il mio parroco”, anche quando era lui orami da tempo parroco di Ronchi.Guardava con attenzione alla vita politica, intesa come vita democratica – fondata sui valori della Costituzione – alla quale come cristiano si sentiva chiamato a partecipare con pienezza. La sua vocazione alla comunicazione era evidente; ma comunicazione di qualcosa, nella costante necessità di trasmettere valori e di narrare i propri tempi. Non mi riferisco solo agli anni di direzione di Voce Isontina, ma ad una pratica – scrivere, raccontare, testimoniare – che non ha mai smesso di praticare.La sua presenza nell’Istituto, come anche in tante altre realtà culturali del Goriziano, era segnata dalla necessità di un lavoro consapevole di conservazione e valorizzazione della memoria. Un’attenzione che lo ha portato a ricordare in tanti modi i fratelli nel sacerdozio che aveva conosciuto ed apprezzato, oltre ad impegnarsi attivamente per evitare la dispersione del patrimonio umano e religioso del territorio.La storia complessa, difficile, articolata di queste terre era un terreno impervio ma necessario. Una storia vista come percorso dell’uomo, del popolo di Dio, dell’essere cristiani in cammino. La lezione del Vaticano II, con il suo portato di novità era per lui centrale; lui che aveva visto da vicino l’applicazione del Concilio, da sacerdote che si trovava ad essere accanto ad un vescovo, Pietro Cocolin, di cui serbava sempre un intenso ricordo.Nel 2019, mentre preparavamo assieme il convegno sui Cattolici isontini nel secondo dopoguerra, stavamo riflettendo sulla necessità di affrontare a breve proprio gli anni del Concilio. Don Renzo avrebbe fortemente voluto che si cominciasse a studiare quei tempi, che lui aveva vissuto con intensità come seminarista. Purtroppo non sarà possibile ascoltare la sua testimonianza e la sua lettura di quegli anni nel Convegno che andremo ad organizzare prossimamente sulla chiesa goriziana durante il Concilio. Ma ci impegniamo ad onorare in quell’occasione la sua volontà e la sua memoria.