Vivere in famiglia con uno stile “di carità” il nostro essere coppia

Continuano anche questa settimana le pagine speciali sulla figura del diacono permanente, con l’intento di analizzare e comprendere il suo ruolo all’interno delle nostre comunità.  La parola in questa puntata a Paolo Zuccon, diacono della parrocchia SS. Redentore, il quale ci parla di una Chiesa in linea con il magistero di papa Francesco vicina ai poveri e che si pieghi sulle debolezze dell’uomo con carità e misericordia.

Come è incominciata la sua esperienza di diacono e perché ha deciso di intraprendere questa strada?

“Ho svolto per diversi anni servizio come capo scout nell’AGESCI e questa esperienza è stata fondamentale per farmi crescere nella fede attraverso incontri ed esperienze, una scuola di vita che mi ha educato e insegnato a vivere in uno spirito di servizio. Quando il vescovo Bommarco negli anni ’90 ha proposto in diocesi il diaconato permanente, ho iniziato il percorso di diacono prima nel discernimento e poi con la formazione teologica a Udine. Un periodo in cui ho verificato la vocazione che stava nascendo in me e che mi chiamava ad un servizio più impegnativo all’interno della chiesa, ma con lo stesso stile con cui avevo vissuto il periodo negli scout.”

La famiglia è decisamente partecipe alla sua scelta così importante di essere un diacono. Come la vivono i suoi cari? Moglie e figlio come si rapportano con il suo incarico?

“Mia moglie Chiara ha condiviso la mia scelta, dopo un primo periodo di “sorpresa e preoccupazione”, dovuto al fatto che non era ancora chiaro il nostro ruolo e quanto ci avrebbe impegnato siccome avevamo in quegli anni due figli piccoli. Dopo ventitré anni dalla mia ordinazione, posso dire che la mia scelta ha arricchito il nostro matrimonio, portandoci a vivere con uno stile “di carità” il nostro essere coppia: io in un modo, lei in un volontariato accanto a donne e mamme in difficoltà. Abbiamo cercato di confermare e realizzare le parole che avevamo scelto per una lettura del nostro matrimonio tratte dalla lettera di S.Paolo ai Romani: “servite il Signore, siate lieti nella speranza, ferventi nello spirito, solleciti per le necessità dei fratelli, gioite con chi è nella gioia, piangete con chi è nel pianto, attaccatevi al bene….”. I figli hanno un po’ “subìto” questa mia scelta ma ho cercato sempre di non venir mai meno ai compiti di marito e padre, ricordando che la mia prima vocazione rimane sempre il matrimonio, all’interno del quale poi si è inserita quest’altra strada che non deve assolutamente “interferire” con la prima, ma arricchirla con una grazia in più, un dono grande che ho ricevuto e del quale qualche volta non mi sento degno.”

Quali sono i luoghi del Suo servizio all’interno della realtà decanale del Monfalconese e diocesana?

“Presto servizio a Monfalcone dove anche abito, nella parrocchia del SS.Redentore, fino allo scorso settembre accanto a don Rino che ha retto la parrocchia per diversi anni ed ora dopo la sua morte, in collaborazione con il nuovo amministratore parrocchiale don Fulvio, parroco del duomo. Alla domenica svolgo il servizio liturgico durante la S.Messa, nei giorni feriali la liturgia della Parola e una volta a settimana seguo il centro di ascolto parrocchiale e collaboro con le catechiste. Una volta al mese invece faccio visita ad una ventina di persone della parrocchia anziane e ammalate e porto loro la comunione. Il servizio del diacono non è sempre legato ad una parrocchia e aiuto dunque don Fulvio nella preparazione degli adulti del decanato  al sacramento della cresima. Seguo  inoltre un gruppo di bambini della parrocchia di S.Giuseppe che si preparano alla prima Comunione, e, assieme a mia moglie, ad altre coppie e a don Francesco, tengo a Staranzano  un corso all’anno, di circa quindici incontri, per le coppie che desiderano sposarsi in chiesa e ricevere il sacramento del matrimonio. Non essendo poi ancora in pensione lavoro come fisioterapista all’ospedale di S.Polo e lo ritengo tempo non sottratto al mio diaconato, ma occasione per testimoniare, in mezzo ai colleghi e tra gli am­malati, il mio vivere la carità e l’accoglienza.”

Quali i punti di forza e di debolezza del ministero diaconale permanente oggi?

“Debolezza quando non si comprende bene il ruolo del diacono o la sua identità, che la riflessione teologica non ha ancora ben chiarito, sia da parte dei sacerdoti che da parte dei fedeli laici. Più che di debolezza elencherei alcune tentazioni che vanno a mettere in cattiva luce il diacono. Una è la clericalizzazione: pur facendo parte del clero per diritto canonico, la nostra vita, grazie al lavoro con cui ci sosteniamo anche economicamente, alla moglie e ai figli e nipoti, al vivere per alcuni in un condominio, ad un modo di vestire, ci avvicina molto di più ad uno stile laicale e questo può diventare una forza perché comprendiamo molto meglio vivendoli i problemi del lavoro e delle famiglie in difficoltà. Un’altra tentazione è l’isolamento o la chiusura in un’unica parrocchia. Non siamo “cani sciolti” ma è importante sentirci comunità diaconale che si incontra e condivide i problemi, le ansie ma anche le gioie sia tra di noi, sia con il delegato don Alessandro che ci segue ora, sia con il nostro vescovo di cui siamo diretti collaboratori. Dobbiamo ricordarci sempre che siamo parte di una Chiesa diocesana, pur prestando servizio in una parrocchia, dobbiamo avere questa visione d’insieme che ci può portare a compiti diversi e non chiusi in un unico ambito. Un’altra è la tentazione del fare dimenticandoci dell’essere: pur essendo chiamati certe volte a ruoli di “supplenza” o a seguire più cose, non dobbiamo dimenticarci la nostra spiritualità, fatta di preghiera, di momenti di silenzio, di ascolto della Parola, perché sono questi che danno senso a tutto il nostro fare e correre. La tentazione di sentirci indispensabili o accentratori specie dove c’è un parroco anziano o dove non c’è. E’ bello e gratificante sentirci valorizzati, sentirci un punto di riferimento per le comunità ma dobbiamo ricordarci che siamo chiamati a suscitare ministeri, a coinvolgere più persone possibili nelle comunità, ad animare e stimolare servizi, a coinvolgere e a creare unità nei luoghi dove siamo chiamati a compiere il nostro servizio. La tentazione di lamentarci dei preti, del vescovo, dei parrocchiani e di riversare le nostre lamentele a casa, appesantendo il clima famigliare qualche volta già carico di altre fatiche e sofferenze. Rischiamo di apparire tristi, arrabbiati, quando invece dovremmo gioire della grazia che abbiamo ricevuto, pur consapevoli delle difficoltà del nostro ruolo, e sognare come papa Francesco una Chiesa vicina ai poveri, che si piega sulle debolezze dell’uomo con carità e  misericordia per tutti, arricchita in questo dal recupero conciliare del diaconato permanente. Il futuro e la riuscita di questa figura dipenderà anche da come la viviamo noi, dalla gioia e dall’entusiasmo che deve trasparire nel nostro servizio, rafforzati ora anche dall’esempio del nostro confratello Piero Basile, che abbiamo ricordato nella preghiera nei giorni scorsi ad un anno dal suo ritorno alla Casa del Padre.”

Il servizio diaconale può essere visto non solo come aiuto liturgico ma anche influente per mantenere una pastorale attiva sul territorio. Cosa ne pensa della “linea” evidenziata nell’intervista di don Alessandro Biasin che abbiamo pubblicato in una delle scorse puntate di questo “Speciale”?

“Mi sento molto in linea con quello che ha scritto don Alessandro, condivido quando parla di missione, per l’edificazione delle nostre comunità. Come ho già detto prima, sta emergendo un nostro utilizzo in ambiti più specifici che vanno oltre la singola parrocchia e che valorizzano le competenze e le qualità specifiche di ognuno di noi. Credo inoltre che anche la pastorale vocazionale dovrebbe porre l’attenzione su questa figura, ovvero chiedere alle singole comunità parrocchiali, su segnalazione anche del parroco, che individuino al loro interno ” uomini di buona reputazione, pieni di spirito e di saggezza…” (Atti 6,3)  a cui proporre una strada  diaconale. Ovviamente con un serio discernimento, con l’aiuto di un padre spirituale, con una formazione adeguata ma anche mirata alle esigenze di una persona adulta che lavora e ha  una famiglia.”