“Diakonia della carità, della parola e della liturgia”

Attualmente i diaconi permanenti in servizio pastorale sono undici. Lo scorso anno, 2016, è morto il diacono Pietro Basile, che era tra i primi cinque ordinati nella nostra diocesi nel 1993. In quell’anno assieme a lui, furono ordinati anche Baggi Franco, Gatta Mario, Petri Mario, Zuccon Paolo. Nel 1996 venne ordinato Nucera Renato, nel 1998 Braida Marco e Conti Carlo. Nel 2000, in altra diocesi, fu ordinato Molli Franco. Nel 2002 Persi Vincenzo, nel 2005 Zudini Luciano, ed infine nel 2009 Piccagli Giorgio. Tutti hanno frequentato l’Istituto di Scienze Religiose e hanno seguito i percorsi diocesani di formazione al ministero.

Don Alessandro, di fronte al fenomeno dell’invecchiamento e della riduzione dei presbiteri – non solo a livello decanale ma anche diocesano e nazionale – come ritiene che questa figura accompagni ed accresca la comunità? Ci faccia una “fotografia” della situazione…

Innanzitutto dico che l’attuale fenomeno della riduzione del numero dei sacerdoti fino a sentire sensibilmente il problema di questa scarsità, non è un fatto nuovo. Questa realtà ha iniziato a manifestarsi fin dagli anni Sessanta e fu analizzata dai padri presenti ai lavori del Concilio Vaticano II. Indubbiamente essa rappresenta una criticità, che però va colta come opportunità di crescita e di rinnovamento; dobbiamo sempre rimanere in ascolto di ciò che lo Spirito dice alle Chiese. Anche la scarsità dei sacerdoti può essere, ora, l’occasione per riconsiderare il diaconato e per coadiuvarne la sua attuazione (ci si può chiedere se l’intenzione del Concilio di Trento di ripristinare il diaconato non fosse rimasta lettera morta proprio a motivo del sufficiente numero dei sacerdoti). Tuttavia dobbiamo ben guardarci dal ritenere il diaconato e il diacono come “supplenza/sostituzione” del sacerdozio. Esso ha  e deve essere riconosciuto nel suo carattere ministeriale proprio.Più che parlare delle funzioni che un diacono può adempiere a sostegno della crescita delle nostre comunità sottolineerei invece la missione che il diacono deve avere proprio nel facilitare l’edificazione delle comunità stesse. Questo a ragione della trasversalità della sua presenza in un determinato contesto sociale ed ecclesiale. Il diacono può assumere  questa missione, perché il suo rapporto con il mondo ha delle dimensioni che sono differenti rispetto ai preti o ai vescovi. Pensiamo, ad esempio, al diacono come sposo e padre di famiglia o collega di lavoro ecc.  Gli ambiti, poi, di azione pastorale sono sempre gli stessi. Non c’è nulla da inventarsi e non c’è da pensare a dei “super diaconi” che debbano fare chissà cosa e magari al posto di chissà chi. Mai si deve dimenticare che il diaconato si definisce sempre nella triplice diakonia della carità, della parola e della liturgia, dove la prima deve fare da baricentro per le altre due.

Quella del diacono è una figura ministeriale rilevante. La presenza nel mondo, nella pastorale ordinaria e nella comunità sono espressione del suo incarico nel territorio. Allora, può dirci come questo servizio pastorale si contestualizza e si concretizza oggi sul nostro territorio?

La maggior parte dei diaconi della nostra diocesi è prevalentemente impegnata nella pastorale ordinaria delle parrocchie cui sono stati inviati. Non mancano tuttavia alcuni mandati che si estendono in ambiti più ampi, chiamiamoli di “respiro diocesano”, e ritengo che saranno destinati ad aumentare. Attualmente un diacono è impegnato a seguire per la Caritas, il progetto “Dignità e operosità”, che si propone di favorire ed accompagnare l’inserimento lavorativo di persone disoccupate. Un altro, oltre che a svolgere il servizio in parrocchia, ha ricevuto il mandato di coadiuvare, con un sacerdote, l’assistenza spirituale dei gruppi del Rinnovamento nello Spirito presenti in diocesi.

Parliamo del Monfalconese. Quali sono  – a suo avviso – le esigenze nella comunità decanale, delle quali possono occuparsi i diaconi? Si fa abbastanza?

Nell’ambito del monfalconese, considerata una certa concentrazione di attività industriali, pensiamo solo al mondo della cantieristica e del suo indotto, si potrebbe valutare la possibilità di un servizio diaconale nel settore della pastorale sociale e del lavoro, ma ritengo riduttivo riferirsi alla dimensione di un solo decanato. Lo sguardo deve rimanere ampio, includente tutta la diocesi, in un impegno di pastorale integrata che coinvolga diversi settori missionari, ad esempio il mondo del lavoro e quello giovanile. Oltretutto, teniamo presente che anche le disponibilità dei diaconi non sono molte. Lei mi chiede se si fa abbastanza? Le rispondo che nella vigna del Signore c’è sempre molto da fare. E siccome il fare deve derivare da un essere credo sia sempre più necessario pensare a percorsi di  formazione permanente dei diaconi e di coloro che, in futuro, potrebbero essere accolti per un cammino di discernimento vocazionale. Molto dipenderà da quanto si vorrà e si potrà investire in questo senso.

Come si può rafforzare la missione evangelizzatrice del diacono? Le comunità hanno secondo lei coscienza della presenza di questo uomo che “serve” non solo quello che è “il tempio” ma anche “il mondo” cui esso è legato?

Nel breve excursus storico che ho cercato di delineare ho tratteggiato le dimensioni della missione evangelizzatrice in cui anche il diacono può essere impegnato. Attualmente come Chiesa diocesana, attraverso un cammino iniziato alcuni anni fa, ci stiamo interrogando e ripensando in percorsi e orizzonti pastorali di collaborazione e di unità tra le diverse realtà parrocchiali che formano il nostro tessuto ecclesiale. Anche se ancora è tutto in cantiere, tuttavia non possiamo più esimerci da questa progettualità di integrazione. Molte parrocchie fanno sempre più fatica ad attuare da sole la loro proposta pastorale. Ci sono gesti essenziali di cui ciascuna comunità non può rimanere priva, ma ci sono altre istanze, pensiamo ad ambiti come quello dei giovani, delle famiglie, della carità, del lavoro, solo per citarne alcuni, in ordine alle quali non si potrà non lavorare insieme su un territorio più vasto rispetto a quello circoscritto di una singola parrocchia. C’è la necessità, non ancora sufficientemente metabolizzata, di operare una convergenza progettuale ed operativa. Vedo allora, che in questo cammino di collaborazione e corresponsabilità, anche i diaconi – in sinergia con nuove ministerialità che si potrebbero scoprire – possono essere ripensati e valorizzati nelle loro competenze. Si tratta di definire sempre meglio gli ambiti ministeriali da affidare ai diaconi permanenti, secondo una figura propria e non derivata rispetto a quella sacerdotale, ma coordinata con il suo ministero, nella prospettiva dell’animazione del servizio su tutti i fronti della vita ecclesiale. Naturalmente bisogna cogliere ciò che è realisticamente praticabile e condivisibile. La Chiesa, frutto dello Spirito Santo è sempre dinamica, in movimento nella storia, se sapremo rimanere con i piedi ben posizionati sulla terra e con lo sguardo sempre fisso a Cristo, in ascolto dello Spirito, certamente sapremo vivere, come dice lei, “il tempio” e il “mondo” non come due realtà separate, che si oppongono a vicenda. Il Sacro si è comunicato nella storia per renderla sacra. Non si può servire Dio senza servire l’uomo. In questo senso anche i diaconi, ma non solo, non possono stare solo nel “tempio” o solo nel “mondo”, in sacrestia o fuori la sacrestia. Direi anche che la formulazione di questo pensiero sia concettualmente impropria. Ne abbiamo coscienza? La coscienza va sempre formata.

Papa Francesco ad esempio, sulla questione, ha fatto più volte riferimento parlando spesso di “nuova evangelizzazione”…

Certamente anche il discorso sul diaconato, può trovare nell’ambito della cosiddetta “Nuova evangelizzazione” per la trasmissione della fede cristiana uno spazio privilegiato di attenzione. Papa Francesco in perfetta continuità con i due pontificati precedenti, quello di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI e con il carisma suo proprio sta cercando di delineare vie nuove per trasmettere all’uomo contemporaneo la perenne novità di Gesù Cristo. Non escludo che potrebbe rilanciare in modo significativo la ministerialità diaconale. Il Papa ci riporta continuamente dentro al procedere della storia per poter discernere nel qui e ora la missione della Chiesa nel mondo. Vivendo questo processo dal di dentro, scendendo in strada, e non rimanendo fermi, sul ballatoio di una finestra delle astrazioni, vivendo e facendo la Chiesa, a mio avviso potremo essere facilitati nel trovare le risposte anche per le domande che ci  interrogano, come nel caso specifico, sulla ministerialità dei diaconi permanenti.

Lo scorso 28 gennaio, Mauro Salvatore di Brescia, diacono e padre di famiglia, è diventato il nuovo economo della Cei. Siamo di fronte a un “segno dei tempi”?

Non lo vedo come segno dei tempi, fin dai tempi più antichi della Chiesa, l’ufficio dell’amministrazione dei beni era anche di competenza dei diaconi. Anzi, ricordando il Sinodo di Elvira (306-309) che ho citato all’inizio, durante il suo svolgimento si sottolineò l’impegno dei diaconi proprio nel settore amministrativo della Chiesa. Quindi nulla di nuovo. Ai diaconi spettava anche questo.