Cristiani laici: responsabilizzazione ormai non più rinviabile

La vigilia di Natale del 1969 il rev. Joseph Ratzinger era da poco ordinario di Dogmatica e Storia dei dogmi all’Università di Ratisbona in Germania. Concludeva una serie di lezioni radiofoniche. Le sue affermazioni sulla realtà della Chiesa hanno oggi il suono di una profezia. Me le ha fatte trovare sul tavolo don Paolo Zuttion, già missionario in Africa, responsabile della Caritas diocesana e amministratore parrocchiale a San Giuseppe in Monfalcone, conversando delle nostre comunità cristiane nella prospettiva del prossimo futuro.L’allora teologo, oggi Papa emerito Benedetto XVI, affermò:  “Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diverrà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare gli edifici che ha costruito in tempi di prosperità. Con il diminuire dei suoi fedeli, perderà anche gran parte dei privilegi sociali. Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza che rimetterà la Fede al centro dell’esperienza. Sarà una Chiesa più spirituale, che non si arrogherà un mandato politico flirtando ora con la Sinistra e ora con la Destra. Sarà povera e diventerà la Chiesa degli indigenti.Allora la gente vedrà quel piccolo gregge di credenti come qualcosa di totalmente nuovo: lo scopriranno come una speranza per se stessi, la risposta che avevano sempre cercato in segreto. A me sembra certo che si stanno preparando per la Chiesa tempi molto difficili. La sua vera crisi è appena incominciata. Si deve fare i conti con grandi sommovimenti. Ma io sono certissimo di ciò che rimarrà alla fine: non la Chiesa del culto politico, ma la Chiesa della fede. Certo essa non sarà mai più la forza dominante della società, nella misura in cui lo era fino a poco tempo fa. Ma la chiesa conoscerà una nuova fioritura ed apparirà agli uomini come la patria, che ad essi dà vita e speranza oltre la morte”.Affermazioni lette e rilette, fotografando la struttura delle comunità cristiane nel Monfalconese: 15 parrocchie in un’area che conta circa 61500 abitanti, sette delle quali senza parroco e affidate ad un amministratore parrocchiale; 18 sacerdoti residenti (due nati prima del 1940, sei tra il 1940 ed il 1950, tre tra il 1950 e il 1960, quattro tra il 1960 ed il 1970, tre sono nati dopo il 1970). Due i diaconi permanenti. Ogni parrocchia dispone, solitamente accanto alla parrocchiale, di spazi o edifici adibiti a ricreatori. A Monfalcone c’è anche una storica scuola materna. Accanto alle chiese ci sono quindi anche queste strutture che hanno bisogno di attenzioni e risorse finanziarie.Tutti rilevano che il numero dei fedeli “praticanti” è da anni in diminuzione, che “i giovani” non frequentano, che si fa fatica a trovare persone disponibili a svolgere dei servizi alla comunità, dalla catechesi alle incombenze economiche alla stessa pulizia degli ambienti parrocchiali. In ogni caso, anche l’età delle persone ’disponibili’ è, per buona parte, vicina se non oltre a quella, già avanzata, della pensione. Le comunità non riescono con le loro disponibilità economiche a garantire il buon stato di chiese e strutture parrocchiali per cui il ricorso ai contributi pubblici o a quelli derivanti dall’8 per mille è inevitabile.Ma fino a quando questo sarà ancora possibile? E questo è ciò che si vede, che si può misurare in modo abbastanza preciso. Non è misurabile allo stesso modo l’esito dell’impegno di sacerdoti, diaconi, catechisti e quanti svolgono un servizio nella comunità, ma il loro stesso giudizio fa trasparire forti preoccupazioni per il futuro, pur tenendo presente che lo Spirito può far sorgere credenti anche dalle pietre. “Non siamo davanti a un problema di metodi o di leggi; la fede non funziona con le leggi; rischiamo di fare cose che non portano a Cristo. La fede non si chiude in strutture. Vedi San Paolo, conosceva bene la dottrina della sua religione, ma poi tutto è stato cambiato dall’incontro con il Signore”. Rosy Boscolo, esercente in piena attività che trova il tempo per fare la catechista, legge una situazione nella quale vede molto “individualismo” anche nelle nostre assemblee domenicali: “ci sono talvolta tanti individui in chiesa. Ci troviamo per il rito ma poi … ognuno a casa sua”. Sulla stessa lunghezza d’onda Luciana Paoletti, collaboratrice nelle attività parrocchiali di una parrocchia senza parroco: “la domenica è il minimo, siamo tra persone felici di trovarsi, di parlarsi, ma sarebbe bene che poi questo continui dopo la messa, anche con il prete. Il rito non è sufficiente per essere una comunità di fede”. “I giovani sono un problema – dice con rammarico – e non ci sono gruppi che li aiutino. E’ difficile…”. Il problema è evidente ribadisce don Paolo. Il ridimensionamento numerico del clero è ben visibile, ma “c’è anche un ridimensionamento generale della Chiesa”. “Stiamo reagendo ad una crisi – sottolinea don Paolo – come fossimo ancora una maggioranza, ma non è questo il futuro, andiamo verso il piccolo resto e già oggi abbiamo difficoltà a mantenere strutture ed istituzioni degli anni del cristianesimo di massa”. Proprio le strutture – rileva il sacerdote – “pesano in modo impressionante sui parroci che devono mantenerle” anche sotto il profilo finanziario. La crisi di cui parlava nel 1996 il teologo Ratzinger si rileva oggi anche nella vita delle comunità del Monfalconese. Negli scorsi mesi Voce Isontina ci ha condotti in una riflessione sul ruolo e le funzioni dei diaconi permanenti, un dono importante per la vita delle comunità quando queste figure possono davvero testimoniare una fede che si esprime nella carità e nel servizio, più alle persone che ai riti liturgici. Può aumentare il loro numero nelle nostre comunità? Quale contesto ecclesiale ne permette la crescita nella fede e nella conoscenza in modo da poter essere una presenza significativa nelle comunità del futuro? Ma il discorso si allarga poi a quale Chiesa sopravviverà alla situazione di crisi che molti, ancora oggi, non vogliono vedere? “Sarà una Chiesa dei laici, sarà fatta di piccole comunità che, attraverso un sacerdote, si sentiranno in obbedienza e comunione con il Vescovo”. Rosy se ne dice certa perché “già oggi ci sono esperienze che dicono che questo è possibile. Dicono che l’esperienza di fede e la testimonianza convincono più della dottrina e si sente il bisogno della speranza, il bisogno di un senso dentro le vicende della vita di ognuno e della società. Dobbiamo recuperare il gusto dello stare assieme da credenti”. “Con meno preti – va avanti Luciana – le persone devono assumersi nuove responsabilità e saperle condividere. Siamo noi che dobbiamo crescere; non basta partecipare ai riti”.   “La responsabilizzazione delle famiglie e dei laici cristiani- ha scritto recentemente don Renzo Boscarol – non è più rinviabile, affidando loro compiti diretti di responsabilità (…); si tratta di rendere le persone capaci di guidare una preghiera, di presiedere una liturgia o un annuncio della resurrezione, di guidare una piccola comunità o di annunciare il Vangelo con semplicità”.  “Abbiamo visto questo nelle nostre missioni – concorda don Paolo – ma è anche quanto ho visto in Francia dove ho incontrato un parroco di 22 parrocchie. Andiamo verso una ridotta presenza del clero nei territori rispetto a quello cui eravamo abituati.” “In missione – ricorda – il sacerdote è il garante della trasmissione della fede, colui che amministra i sacramenti e porta all’unità, ma sul posto c’è l’autorità dell’anziano del villaggio e l’azione dei catechisti rivolta soprattutto a chi chiede di diventare cristiano”. Dedicarsi alla formazione, a far crescere possibili vocazioni sacerdotali ma dando la stessa importanza alla formazione dei laici disponibili al servizio nelle comunità: sono indicazioni da tempo arrivate ma bisognose di traduzione nella pratica. “Torniamo alla catechesi come esperienza e testimonianza prima ancora che insegnamento di dottrina” afferma Rosy. “Usciamo da una logica in cui tutto deve essere deciso dal sacerdote in modo che lui possa dedicarsi al cuore della sua missione” dice don Paolo. Non dobbiamo perdere “il sentire del popolo, credendo fortemente nel sensus fidei del popolo di Dio e dando così corposità alle indicazioni conciliari rimaste troppo sulla carta” riflette don Renzo.  Le comunità cristiane, a volte sottovoce altre volte parlando chiaro, si interrogano su quale sarà la Chiesa di domani. Parlando di questi temi, al Quinto Convegno Nazionale della Chiesa italiana nella cattedrale di Firenze il 10 novembre 2015, Papa Francesco ha detto: “Si può dire che oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca. Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Questo nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli: il Signore è attivo e all’opera nel mondo”.