“Se” e “come” proporre la Grande guerra nelle aule scolastiche

Tra queste possiamo senz’altro intravvedere anche quella concernente il “se” ed eventualmente il “come” la Grande guerra sia proponibile all’attenzione dei giovani d’oggi nei percorsi formativi che le diverse istituzioni scolastiche o universitarie riservano all’insegnamento della Storia. Per esperienza professionale concentrerò l’attenzione sui percorsi universitari di primo livello, quelli cioè relativi alle lauree triennali. Ciò consentirà tra l’altro di parlare di giovani di età e preparazione culturale di poco superiore ai loro pressoché coetanei che hanno da poco concluso i percorsi della scuola secondaria di secondo grado. Diverso infatti, come può essere facilmente intuito, è il livello di competenza che pur su ambiti in parte analoghi detengono i frequentanti i corsi specialistici, dottorali o post-dottorali universitari.A tale proposito si può iniziare col dire che la questione del “se” e “come” insegnare oggi la storia della Grande guerra ha come premessa a mio giudizio essenziale un problema che sta a monte dello specifico argomento qui considerato e che è probabilmente sotto gli occhi di ogni odierno insegnante di Storia:  è cambiato per le ultime generazioni , e cambiato in modo profondo occorre aggiungere, il rapporto con il passato. Pur non avendo risposte conclusive sul quando e per quali strade si sia compiuto tale passaggio, il problema pare evidente e rende l’insegnare Storia ai giovani d’oggi un’esperienza particolare: non saprei dire se più complessa, più frustrante, o altro, ma certamente assai diversa rispetto ad un tempo.Un primo aspetto di cui dunque tenere conto, e che come dicevo precede in sé il problema dell’insegnamento relativo alla Grande guerra, è affrontare la questione dell’importanza del passato e della sua conoscenza ai fini di una consapevole partecipazione alla vita sociale nel presente. Il nodo è appunto qui: perché non sembra più scontata, come invece era per le precedenti generazioni, l’importanza della conoscenza del passato – sia attraverso la memoria personale e collettiva, sia attraverso l’apprendimento scolastico e al limite lo studio postscolastico – per vivere nel presente. Su questo s’innesta poi un secondo aspetto anch’esso discriminante nel passaggio dalle precedenti alle ultime generazioni: la perdita della consapevolezza di far parte di una collettività, di qualunque genere essa fosse (di territorio, di lavoro, di fede religiosa o politica) per trovarsi soli o tutt’al più componenti di una ristretta cerchia di coetanei con cui condividere pressoché unicamente esperienze della più stretta contemporaneità. E’ come se la categoria “tempo” si fosse ristretta al solo presente. E’ dunque cambiato anche il rapporto con la società e con gli altri soggetti che assieme a noi la compongono, viventi oggi oppure, ed è ciò che conta nel discorso sulla Storia, vissuti nel passato.Su questo sfondo, che più che esecrare è opportuno cogliere e analizzarne le eventuali possibili forme di riequilibrio, si innesta la questione specifica del rapporto con la Grande guerra. Rapporto naturalmente solo di carattere culturale a questo punto, dato che è irrimediabilmente superata l’opportunità che detenevano le passate generazioni di fruire del racconto diretto di anziani familiari o conoscenti che a vario titolo erano stati testimoni di quella stagione, se non proprio dell’avvenimento nelle sue dirette dinamiche belliche. Ed era, soprattutto in territori come quelli della futura regione Friuli Venezia Giulia e della specifica provincia di Gorizia, un racconto di enorme valore: ancorché più simbolico che storicamente utilizzabile. Perché quella guerra era stata essenzialmente una guerra di contadini e di famiglie di contadini, dato che per diverse ragioni (o di ordine produttivo o di ordine amministrativo) gli altri ceti partecipavano indubbiamente allo sforzo bellico delle rispettive “patrie” ma non erano in massima parte al fronte.Occorre dunque passare attraverso lo studio e l’insegnamento della Storia per avvicinare le ultime generazioni alla Grande guerra. In tal senso si tenga conto che quello studio e il conseguente insegnamento non sono fissi nel tempo: cambiano, cioè, le modalità di approccio anche allo stesso fenomeno studiato. Riguardo in particolare a un avvenimento pur oggettivamente “bellico” come appunto la Grande guerra, oggi si riterrebbe del tutto superato un ricorso alla narrazione tipica della storia militare e politica di un tempo. Caporetto, Cadorna, Diaz, il numero delle battaglie sull’Isonzo, non sono certo divenuti aspetti irrilevanti di quella tragica storia, ma si ritiene necessario osservare il fenomeno da altri punti di vista: sociale, economico, ambientale. Non è cambiata la Storia come insieme di fenomeni, è cambiata la prospettiva storiografica, cioè il suo studio. Questo rappresenta a dire il vero un vantaggio per l’insegnamento odierno di fenomeni come la Grande guerra: perché allevia la noia del tradizionale apprendimento mnemonico del passato, per arricchirlo di spunti riguardanti la vita quotidiana, il lavoro, la lotta politica, la fede messa alla prova, di fronte a una così immane tragedia collettiva.Tragedia, appunto. E’ un’ulteriore dimensione che forse manca alle ultime generazioni, o perlomeno ne hanno una percezione totalmente diversa da quella di chi le guerre (nel caso italiano  ancora e soprattutto la Seconda guerra mondiale) le ha davvero vissute, o ne ha potuto sentire il ricordo diretto da chi le ha in ogni caso se non combattute almeno subìte. Per mia fortuna, anche se per pochi anni, non ho vissuta quella esperienza, ma sono comunque cresciuto nel suo ricordo e ancor più nella memoria della fatica della ricostruzione: ricostruzione materiale, certo, ma soprattutto economica e sociale, sullo sfondo tra l’altro di una spaccatura ideologica del nostro Paese che, a fronte di un indubbio diffuso livello di benessere raggiunto tra la fine degli anni Cinquanta e i primi Sessanta, ha impedito allo stesso di esprimere forse il meglio delle possibilità che potenzialmente deteneva come complessiva comunità nazionale. Forse anche questo andrebbe insegnato ai giovani italiani di oggi (dico italiani, perché ben diverso è il vissuto degli emigrati recenti dalle aree dei conflitti tuttora in atto), che sperimentano le guerre solo attraverso gli strumenti della comunicazione di massa. Che la guerra, oltreché immane tragedia, è anche un’incredibile sconfitta del genere umano rispetto a ciò che potrebbe e saprebbe fare, se non si dedicasse periodicamente alla sopraffazione e talvolta annientamento di parti di se stesso. Non è l’ultimo degli insegnamenti che la Grande guerra può offrire.

*docente di Storia Contemporanea presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Trieste