“I barconi dei Balcani”

All’11 maggio 2015 Gorizia ospitava 217 persone, giunte in città per sottoporre la propria richiesta di protezione alla Commissione Territoriale, suddivise tra l’ex convento Nazareno, l’Hotel Internazionale, il dormitorio Faidutti e alcuni privi di un alloggio.L’Istituto di Sociologia Internazionale di Gorizia ha scelto un campione di 30 richiedenti, intervistandoli sulle loro storie personali, al fine di inquadrare e contestualizzare la situazione di Gorizia, valutandone la resilienza agli stress esterni, in particolare rispetto alla possibilità di accoglienza e integrazione dei profughi. “Questo obiettivo è legato alla considerazione che, se approcciata in modo obiettivo e sulla base di dati scientifici, la realtà goriziana potrebbe elevarsi a modello di efficienza e sostenibilità a livello regionale e italiano – hanno sottolineato i referenti del report -. Il modello proposto parte dal presupposto che ogni comunità possieda quattro tipi di risorse: finanziarie, naturali, umane e sociali. Un sistema sostenibile è quello che permette alla comunità di resistere agli shock e agli stress mantenendo le proprie risorse, ma anche di adattarsi nel tempo per aumentare le capacità già esistenti”.Le interviste ai 30 richiedenti asilo sono state svolte direttamente dai ricercatori ISIG tra il 5 e il 7 maggio presso la mensa di piazza San Francesco e l’ex convento Nazareno. Le interviste si sono focalizzate sul profilo degli intervistati, il racconto del viaggio che hanno intrapreso dal Paese di origine fino all’Italia, le ragioni che li hanno portati a Gorizia. “La causa comune che spinge queste persone ad allontanarsi dal proprio Paese d’origine è riscontrabile in conflitti di natura religiosa, di appartenenza o etnica, nonché dal rischio di un reclutamento forzato”, hanno chiarito i ricercatori. Ecco quindi che i richiedenti asilo presenti a Gorizia provengono tutti o dal Pakistan o dall’Afghanistan, sono tutti uomini e con un’età compresa tra i 18 e 38 anni. Questo perché sono “l’investimento” della famiglia allargata, più adatti a reggere il difficile e lungo percorso verso l’Europa.

Le migrazioni contemporanee“Ci troviamo di fronte a quelle che potremo chiamare le “Migrazioni 2.0″ – hanno riferito i ricercatori -: non è più il migrante con la valigia di cartone e una meta predefinita dell’epoca dei nostri nonni e bisnonni. Qui ci troviamo di fronte a passeurs che sono dei veri e propri attori economici che strutturano il viaggio dei migranti per tappe, i quali viaggiano da soli ma sempre connessi con il Paese d’origine per mezzo di telefonini, e-mail e social networks, attraverso i quali hanno ragguagli sui prossimi passi da compiere per raggiungere l’Europa”. Il pagamento è dilazionato ad ogni tappa, con la famiglia allargata – non solo i parenti più prossimi – che paga un importo tra gli 8.000 e i 13.000 dollari e spesso le tappe effettuate sono correlate anche all’importo e alla modalità di pagamento.”Possiamo distinguere due macro – rotte: quella esterna all’UE e quella interna all’Unione – hanno chiarito i ricercatori -. All’interno della prima, incontriamo tre rotte: quella balcanica primaria, quella secondaria e quella via mare”. Tutti i viaggi hanno come punto di partenza l’Iran e prevedono una prima tappa in Turchia. La rotta primaria vede quindi i migranti coinvolti in una permanenza forzata in Bulgaria, presso campi profughi, dai quali poi vengono fatti uscire senza aver avuto però la possibilità di effettuare la richiesta di asilo; segue quindi un transito in Serbia, una successiva permanenza in Ungheria nuovamente in campo profughi, dove si crea un’idea più chiara delle tappe da intraprendere. Dall’Ungheria c’è un transito in Austria e quindi l’ingresso in Italia. La rotta balcanica secondaria, dopo le tappe in Iran e Turchia, vede i migranti transitare in Grecia, Macedonia, Serbia e da qui o verso Croazia e Slovenia o verso Ungheria e Austria, con il successivo spostamento in Italia. Tutte queste tappe avvengono a piedi, su camion o su auto. La rotta via mare invece vede dalla Turchia uno spostamento in Grecia e da qui, nascosti in container, l’arrivo in Italia dalla costa.Caso a parte la macro – rotta interna all’UE, percorsa da richiedenti asilo che hanno ricevuto il diniego della richiesta in Paesi del Nord Europa, i cosiddetti “Dublino positivi”, rinviati nel Paese d’ingresso.

Perché a GoriziaLa scelta, come riferito dagli stessi migranti intervistati, non ricade sulla città nello specifico, quanto nell’arrivare in Italia, perché ritenuto il Paese ideale sia dal punto di vista dell’accoglienza, che da quello della rapidità dell’iter burocratico. Per molti è inoltre l’ultima speranza dopo aver visto rifiutata la richiesta in altri Paesi. A Gorizia pertanto molti sono arrivati per casualità, dovuta dal fatto di essere vicina al confine, altri per indirizzamenti ricevuti tramite passaparola e social networks prima e dopo l’ingresso in Italia. Alcuni sono stati indirizzati in Italia dagli stesi operatori sociali o poliziotti di altri Paesi, perché da questi considerato un posto più facile per fare richiesta di asilo. L’indirizzamento verso Gorizia è inoltre dovuto spesso dal sistema di accoglienza saturo trovato in altre grandi città. Una volta qui, tutti quanti hanno affermato di aver trovato la presenza della Commissione e un sistema efficiente per l’espletamento delle pratiche, reti di assistenza ben funzionanti e l’esistenza di un’economia dell’accoglienza.Gli intervistati sono anche stati interrogati sui loro progetti per il futuro: chi ha già una prospettiva lavorativa specifica vorrebbe stare a Gorizia, dove nota spazi di mercato; altri desiderano spostarsi verso grandi città italiane, per le maggiori possibilità lavorative e sociali. “Emerge come dato rilevante tra tutti gli intervistati – hanno aggiunto i ricercatori – l’intenzione di rimanere in Italia, ma non necessariamente in questa città”.

Gli sviluppi della ricercaIl report ” I barconi dei Balcani” ha messo in luce come oggi, dopo un anno e mezzo di trend non sia più appropriato parlare di emergenza, interrogandosi sul “perché” ma sia necessario passare ad interrogarsi sul “come”, andando verso un’accoglienza non buona o solidale ma che sia sostenibile. “Tra i problemi emersi dalle interviste – hanno aggiunto i ricercatori – sono emerse un’ambivalenza delle strutture di accoglienza, cosa che rende difficile il conteggio delle presenze in città, con il rischio di creare duplicazioni, nonché la mancanza di un centro di aggregazione che sia spazio di auto – rappresentazione e responsabilizzazione del migrante”.L’Isig passerà ora ad una seconda fase di studio, analizzando altri sistemi di accoglienza esistenti, sistematizzando i dati e andando ad analizzare nello specifico il “sistema Gorizia”. Il risultato sarà un rapporto di ricerca che potrà fornire possibili strategie di rafforzamento delle risorse e di potenziamento della sostenibilità del sistema stesso.

L’analisi di un fenomeno complesso

Quello dei migranti è un tema che, da molti mesi ormai, segna quotidianamente la cronaca non solo nazionale ma anche locale, coinvolgendo direttamente – forse mai come ora – il territorio isontino. Tra problemi legati al sovraffollamento dei luoghi che al momento accolgono i richiedenti asilo, i nuovi ingressi quotidiani sul territorio e il “rimbalzo” delle responsabilità su chi dovrebbe prendersi carico di queste persone, l’Isig ha svolto un’interessante indagine su questi migranti, partendo proprio da un dialogo con loro, andando alla ricerca della motivazione che li ha portati proprio a Gorizia. Il report – nato da una richiesta formale del Sindaco all’Isig – presenta un fenomeno che, seppur presente nella Regione da anni, ha toccato da vicino Gorizia solo negli ultimi 12 – 18 mesi; mira inoltre a mettere le basi di un’analisi più complessa, che possa vedere come protagonista lo stesso “sistema Gorizia”, messo in relazione al fattore di stress esterno, per comprenderne il grado della sua resilienza, ovvero la capacità di far fronte a eventi improvvisi o traumatici, trovando quindi le indicazioni per l’elaborazione di strategie per il rafforzamento delle capacità esistenti.

La normativa di riferimentoUn “rifugiato” è, secondo la Convenzione di Ginevra del 1951, una persona che “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche, si trova fuori dal Paese di cui ha cittadinanza e non può o non vuole, a causa di tale timore, avvalersi della protezione di tale Paese”. Un “richiedente asilo” è quindi una “persona che presenta richiesta di protezione internazionale, ossia il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria”.Altro punto che ancora crea alcune perplessità è quello dei cosiddetti “Dublinati”, ovvero le persone coinvolte nel Regolamento di Dublino del 2003 e successive modifiche. Questo regolamento determina lo Stato dell’Unione Europea competente a decidere della domanda di protezione internazionale, al fine di velocizzare la presa in carico della stessa e la decisione relativa al diritto di asilo. All’articolo 13 si afferma che “Se il richiedente ha varcato illegalmente la frontiera di uno Stato membro, quest’ultimo è lo Stato competente se il fatto è accaduto a non più di 12 mesi ed è accertato. In alternativa è competente lo Stato in cui il richiedente abbia soggiornato per più di 5 mesi prima di presentare la richiesta”. Molti richiedenti, avendo fatto ingresso in Europa per la prima volta dall’Italia, sono quindi rimandati qui da altri Paesi membri per effettuare l’iter per richiedere la protezione internazionale. L’autorità preposta è l’Unità Dublino, apposito ufficio del Ministero dell’Interno italiano.La richiesta di protezione internazionale potrà essere presentata dal cittadino straniero alla Polizia di Frontiera al momento dell’ingresso in Italia o all’Ufficio Immigrazione della Questura. Sarà quest’ultima a inviare la domanda alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale. Lo status di rifugiato dà diritto a un permesso di soggiorno di 5 anni, titolo di viaggio per rifugiati per recarsi all’estero, possibilità di ricongiungimento del nucleo familiare, accesso all’istruzione, all’occupazione e all’assistenza sanitaria, riduzione dei tempi per fare richiesta di naturalizzazione dopo 5 anni.