Carine, missionaria nel Kurdistan iracheno

Carine Neveu è una giovane laica consacrata della Comunità delle Piccole Sorelle dell’Agnello, un novo ramo all’interno dell’ordine delle Domenicane. Per molto tempo si è occupata di Solidarietà Internazionale, poi un giorno nella sua vita si è accesa la voglia di occuparsi anche del sostegno spirituale delle persone che già aiutava. Da qui la scelta di entrare nell’ordine domenicano e di partire in missione.Qualche settimana fa si trovava a Gorizia, ospite della Caritas diocesana. Il legame con la nostra terra è stretto: lo scorso anno i ragazzi della diocesi sono stati invitati proprio dalla Caritas a raccogliere delle “rinunce” durante l’Avvento. Queste donazioni sono poi state affidate al progetto che Carine sta attualmente seguendo sul territorio del Kurdistan iracheno.L’abbiamo incontrata e ci siamo fatti raccontare di più sulla sua vita e su questa sua esperienza.

Carine, la tua è una storia particolare: ad un certo momento hai deciso di lasciare tutto quello che stavi facendo per occuparti delle persone in difficoltà. Ci puoi raccontare il tuo cammino?

Sono missionaria da 8 anni, conosco molto bene l’America del Sud e l’Africa – dove ho operato – e da poco sono rientrata da una missione nel Kurdistan iracheno: ho operato lì per sei mesi, ora sono qui in Italia per una breve sosta ma già tra pochi giorni ripartirò per riprendere la missione per altri otto mesi.Ho un formazione in Agronomia e mi sono specializzata con un master nell’ambito della Solidarietà Internazionale; ho lavorato poi come professionista nel settore umanitario per sette anni, operando in diversi progetti, in particolare per quanto riguarda la sicurezza alimentare in situazioni di emergenza – in seguito a catastrofi naturali o conflitti armati – e per lo sviluppo agricolo. In seguito mi sono convertita al cattolicesimo, ho ricevuto il battesimo da adulta – a 25 anni – e ho lasciato il settore della Solidarietà Internazionale, iniziando a vivere con la Comunità, a vivere dentro le loro missioni: volevo stare con la gente. Da poco ho preso i miei primi voti di consacrazione, dieci giorni fa, sono molto felice.

Cosa ha fatto accendere in te la scintilla che ti ha portato poi a intraprendere proprio questo impegno?

Durante la mia esperienza professionale nel campo umanitario ho come sentito una chiamata: trovavo che in quel settore avevamo e offrivamo tante cose, ma non davamo alcun supporto spirituale verso Dio. Tutte queste persone avevano una grande spiritualità, ma la solidarietà internazionale non faceva nulla per accompagnarli nel loro percorso di Fede; per me era un’assenza molto forte. In situazione d’emergenza le persone hanno bisogno di risposte immediate: acqua, cibo, abiti, un posto dove stare, ma nel post emergenza la gente inizia a elaborare la propria situazione, realizzando di aver perso tutto; questo momento è un momento chiave ed è lì che necessitano maggiormente la dimensione psicologico – spirituale. Ho sentito quindi la chiamata a portare quella dimensione spirituale, una missione che completa tutto quello che si dà con la solidarietà internazionale.

In particolare di che cosa ti occupi all’interno della missione in Kurdistan?

Lavoro su tre punti: le mattine le passo con le sorelle Domenicane che si trovano lì e operiamo nelle scuole d’emergenza, organizzate in caravan e tende, per garantire la possibilità di ricevere un’educazione scolastica ai bambini rifugiati. Operiamo su due campi con circa 500 bambini, tutti cattolici. Personalmente mi occupo dell’attività di oratorio con questi bambini, affinché abbiano anche un luogo di riposo con Dio e Gesù, un luogo di pace e fiducia, per “staccare” un po’ da tutto ciò che vivono e per uscire un pochino da casa.Alla sera mi reco in un campo profughi che ospita circa 7.000 persone, 1.200 famiglie. Lì, con le Piccole Sorelle di Gesù di Charles de Foucauld, mi occupo di avviare un gruppo di preghiera per tutti, adulti e bambini, con l’adorazione del Santissimo: si tratta di offrire loro, più di tutto, un luogo di speranza. Molte cose sono diverse, come l’Adorazione stessa, che nel rito orientale non è praticata, ma loro sono molto aperti alla spiritualità e in molti partecipano al momento di raccoglimento, perché è in ogni caso un momento importante: necessitano profondamente di un incontro con Dio e con Gesù, un momento dove poter staccare da tutto, un’oasi di pace in mezzo al caos. È bello vedere questo incontro, questa condivisione tra la Chiesa orientale e occidentale.Sempre in questo campo mi occupo infine di Teatro del Vangelo con i bambini: rileggiamo il Vangelo di Marco e lo scopo è quello di evangelizzare i piccoli che, in questo momento, vivono la situazione peggiore. Abbiamo scelto, io e la responsabile del campo, di accogliere in questa attività proprio quelli che vivono maggiormente una situazione di sofferenza, per aiutarli a sentirsi “sollevati” anche per mezzo di questa attività. Attualmente lavoriamo con circa 20 bambini.

Hai forse già notato dei cambiamenti da quando hai iniziato questo tuo progetto?

Sì, ed è davvero bello osservare il miglioramento. Da quando abbiamo iniziato a lavorare con i bambini, che erano molto tristi e sconfortati, poco a poco hanno iniziato ad appropriarsi dell’oratorio, diventando consapevoli che quel luogo è il loro, è il loro incontro con Gesù, dove possono parlare con lui e trovare un momento per “respirare”. Si vede che sono più tranquilli, parlano di più… è un ritorno alla vita. Purtroppo i bambini sono come spugne e quando sono a casa assorbono tutto il dolore e i traumi dei loro genitori, cosicché spesso si deve ricominciare molte volte per avere un risultato positivo; è un lavoro lungo.

Quanti rifugiati si trovano attualmente nella Regione?

In Kurdistan in questo momento ci sono circa 1 milione e 500 mila rifugiati, ma la situazione non è stabile, c’è molto movimento di cristiani, musulmani sciiti e yazidi, le tre civiltà maggiormente colpite dalle vessazioni. Soprattutto gli yazidi hanno sofferto un vero e proprio genocidio.

Quali sono i loro principali bisogni? Di che cosa si confidano?

Dicono di aver bisogno di speranza, di compassione e di ascolto. Insieme alle Piccole Sorelle di Gesù faccio anche molte visite all’interno del campo profughi per incontrare le persone: in questi momenti si aprono e si sfogano. Quello che chiedono più di ogni cosa sono la speranza e il futuro: molti vivono nel campo da più di due anni e sono al limite della stanchezza morale e psicologica. Soprattutto i giovani non vedono un futuro, certi arrivano a desiderare di morire… è terribile. Il Kurdistan stesso sta vivendo una bruttissima recessione, con la perdita di posti di lavoro, la mancata erogazione delle paghe, si va assistendo a una vera regressione.

Come mai in questi giorni ti trovi proprio a Gorizia?

Sono qui per incontrare la Caritas Diocesana: nel corso dell’ultima missione ho ricevuto una donazione da parte dei bambini e ragazzi della Diocesi di Gorizia su un’iniziativa della Caritas e vorrei poterli ringraziare tutti! L’aiuto è importantissimo, serve davvero molto per le nostre attività. Per i bambini e ragazzi che seguiamo in Kurdistan è davvero importante sapere che ci sono persone che pensano a loro, giovani come loro, perché spesso si sentono soli in questa prova che stanno passando. Apprezzano molto il contatto con la preghiera, lo scambio di notizie e il contatto con altri Paesi, li fa sentire sostenuti, è come un regalo per loro e voglio ringraziare per tutto questo.

Tra poco rientrerai alla missione. Di cosa ti occuperai ora?

Il lavoro che svolgerò nei prossimi mesi sarà lo stesso della precedente missione, per proseguire con i buoni frutti dati già dai primi mesi di lavoro. Seguirò tutto l’anno scolastico e sono molto felice di ciò, perché potrò dare un senso di continuità e creare un’abitudine alle attività messe in atto. Quello che mi piacerebbe fare è visitare anche altri campi, anche musulmani e yazidi, perché i bisogni sono gli stessi: hanno necessità di essere sostenuti ma non sono presi in carico; i cattolici hanno un sostegno reale da parte delle Chiesa, ma così non è per gli altri, che sono soli. È importante darsi a tutti, la misericordia è universale.

Dal tuo personalissimo punto di vista, cosa stai cogliendo da questa opportunità?

È un’avventura forte e che mi prende molto, ma personalmente è anche una scoperta dell’origine della Fede, delle prime civiltà del mondo e della Fede cristiana orientale, i nostri fratelli. Leggere i passi dei profeti e sapere di trovarmi proprio in quei luoghi di cui parlano, per me è qualcosa di incredibile, è come poter entrare direttamente nell’Antico Testamento. In più è entusiasmante vedere la Fede di questi popoli, il loro credere fermamente: è una civiltà molto antica e la loro Fede è identitaria, profonda e non dubita mai.