La mia corsa in rosa

Tempo di giro d’Italia e tempo di ricordi personali da condividere legati ad una corsa che, in un modo e nell’altro, riesce sempre ad essere coinvolgente.Avevo quattordici anni quando mio papà mi regalò una bicicletta da corsa marca Motobecane.Alla televisione non mi sono mai perso una gara ciclistica, in una stagione agonistica dettata da eterne rivalità fra i due corridori che a quell’epoca andavano per la maggiore; Francesco Moser e Giuseppe Saronni. Era l’epoca in cui si iniziava a correre a febbraio e si finiva a novembre: ora con la globalizzazione sportiva tutti a inizio anno stilano un programma di corse su cui puntare e così fa davvero senso – e non in positivo – veder l’ultima maglia gialla, Vincenzo Nibali non presente alla corsa “rosa”.Ma torniamo a noi. Proprio nel 1979 inventammo io e un mio amico il nostro personale Giro d’Italia. Venti tappe da percorrersi giornalmente, senza giornata di riposo. Certo la concezione di Italia ovviamente era piuttosto limitata, in quanto era concentrata a Gorizia e dintorni, con il Monte San Michele come cima Coppi. Ovviamente in quei momenti cercavamo di immedesimarci in corridori veri: troppo facile essere  Moser o Battaglin, Saronni o Baronchelli. Per questo avevamo deciso di impersonare due ciclisti che avessero il nostro nome di battesimo. Io optai per l’allora velocista Paolo Rosola anche se ero tutto meno che veloce ma quanto meno avevo una sua caratteristica che era quella di arrancare in montagna. Mentre il mio amico Giuliano ebbe in sorte Cazzolato. L’importante era divertirsi e prendersi sul serio. Passati i primi chilometri a chiacchierare in “gruppo” come vedevamo alla televisione, negli ultimi iniziavamo le schermaglie con fughe e contro fughe, volate, arrivi in solitaria e cadute. Mitica una mia in discesa dal San Michele su una curva presa troppo veloce, con la corsa della mia bici finita in mezzo ai rovi. Peccato però che proprio alla penultima tappa, prima della gran crono finale la Sant’Andrea-Savogna-Sant’Andrea, la mia avventura nella corsa “rosa” finì nel più banale dei modi, con un arrotamento generale di noi due a Villanova di Farra: il risultato fu che la mia ruota anteriore prese la forma classica a otto. Senza ammiraglie al seguito e senza pezzi di ricambio a disposizione in un solo colpo svanirono i miei sogni di gloria al mio primo e ultimo Giro d’Italia. L’anno dopo, avendo acquistato il motorino, passammo dall’altra parte della barricata e quando superavo in velocità sulla strada qualche cicloamatore, immaginavo essere ancora alla corsa in rosa: seduto, questa volta, su una delle moto al seguito.