Il calcio deve tornare alle sue origini

Che il calcio italiano non se la passi bene è davanti agli occhi di tutti: probabilmente con la fine degli anni Novanta la serie A ha vissuto il suo periodo d’oro. La fuga dei tifosi dagli stadi appare ormai irreversibile, colpa delle televisioni, dei prezzi dei biglietti che in tempi di crisi continuano a lievitare e, fatto non secondario, con i giocatori italiani ridotti ormai in netta minoranza.Ci sono state annate in cui squadre come l’Inter entravano in campo senza nemmeno un italiano; mentre le altre “grandi” si limitavano a un paio di elementi sugli undici titolari. Ora si sta correndo ai ripari e pian piano Milan, Juventus e Inter stanno cercando di invertire la rotta. Se attualmente il modello di italianità resta il Sassuolo di Eusebio Di Francesco, balza agli occhi la situazione che da alcune stagioni troviamo all’Udinese di patron Pozzo.La compagine bianconera aveva conquistato la massima serie negli anni Ottanta: nel decennio successivo era diventata veramente la porta bandiera del calcio regionale con un nucleo formato da giocatori della regione o del vicino Veneto. Tutti ricordano i vari Paolo Miano, Papais, Rossitto, Gerolini… : di Udinese si parlava ogni giorno, nei bar da Pordenone a Monfalcone, in quanto il popolo friulano ne aveva fatto il simbolo della rinascita, dopo il terremoto del 1976. Pensandoci bene, proprio da quel momento iniziò la scalata della società bianconera alla piramide calcistica italiana. Come non dimenticare quell’Udinese che conquistò prima la serie B e poi la serie A, guidata da capitan Fellet?Vennero poi gli anni ’80 e l’arrivo dei primi stranieri: Ivica Surjak, spalatino ex ala della nazionale Jugoslava, e poi Artur Antunes de Coimbra, in arte Zico, all’epoca uno dei primi cinque calciatori al mondo. Poi arrivarono in Friuli altri stranieri di qualità come Amoroso, Alexis Sanchez, Inler e altri ancora, fermo restando che lo zoccolo duro, se non proprio di casa nostra, era quanto meno italiano, con Totò Di Natale il portabandiera.Ora invece tutto è cambiato: con ostinazione la dirigenza ha invertito rotta, andando a pescare in Paesi più o meno esotici i propri giocatori, i quali, la stragrande maggioranza non accendono di certo la fantasia dei propri tifosi. In queste prime partite di campionato stabilmente entrano sul terreno di gioco undici stranieri di dubbio valore; di conseguenza assistiamo a un certo distacco della tifoseria verso una squadra che inizia a non sentire più sua.Questa esterofilia a tutti i costi sta inaridendo i vivai, anch’essi ormai infarciti da giovani che per lo più arrivano dal Sud America o dall’Africa: giovani scelti non tanto per le loro capacità, quanto per il loro basso costo e di conseguenza la possibilità di poter aumentare il profitto una volta ceduti a qualche club che va per la maggiore (sperando che ogni anno ne possa uscire almeno uno). Tutto questo a discapito dei nostri ragazzi, i quali meriterebbero ben più considerazione.Scorrendo le formazioni delle venti squadre di serie A e le ventidue di serie B, ci sono almeno una cinquantina di calciatori stranieri, non parliamo di quelli provenienti dagli Stati UE, che onestamente non possono essere considerati all’altezza dei campionati nei quali vengono utilizzati; anche perchè i più bravi scelgono ormai di andare nei campionati spagnoli o inglesi, lasciando al nostro campionato, a parte casi isolati, solamente le seconde scelte. Se la nostra serie A vuol tornare a contare deve invertire la rotta con convinzione, partendo dagli stadi di proprietà e dai vivai formati esclusivamente da giocatori di casa nostra; avendo la pazienza di aspettare un paio di anni per vedere i frutti, cosa che invece da noi non succede, in quanto basta perdere una partita e tutti sono già in discussione.