Siamo custodi!

Il tempo dell’Avvento irrompe con l’invito a vegliare. Nella nostra società vegliare è sinonimo di sorvegliare, vigilare, perché dobbiamo difenderci dall’altro, dal diverso, da colui che proviene dalle periferie che può compromettere la nostra incolumità, le nostre sicurezze. Per questo noi costruiamo muri, reticolati, installiamo sistemi di allarmi. Creiamo, come dice Zygmunt Bauman, delle “no go area”, dei luoghi di separazione dove segregare le persone considerate diverse (ad esempio gli stranieri, i poveri, i malati e gli ex carcerati): “per quelli abbastanza fortunati da poterle aggirare sono aree in cui non si deve entrare (no “go in” areas); ma per chi le abita l’avvertimento significa impossibilità di uscire (no “go out” areas)” (Z. Bauman, La Società dell’incertezza).Vegliare potrebbe avere un altro sinonimo: il verbo custodire o aver cura. Ma chi dobbiamo custodire e di chi dobbiamo avere cura? Ce lo dice Papa Francesco nell’omelia della Santa Messa per l’inizio del ministero petrino del Vescovo di Roma: “È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!”Il compito del custode è il ruolo che il buon samaritano ha offerto al locandiere a cui ha portato colui che è incappato nei briganti dicendogli: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno” (Lc. 10,35). Lo sappiamo che il locandiere della parabola del buon samaritano siamo tutti noi a cui Gesù, il buon samaritano, ci consegna il nostro fratello che dobbiamo custodire e di cui dobbiamo avere cura. Per questo il buon samaritano ci dà i denari, che sono i nostri talenti. Ci sono molte persone, anche nella nostra diocesi che, invece di costruire muri e reticolati, vogliono essere dei custodi. Ci sono coloro che custodiscono il creato, affinché rimanga il giardino del Paradiso Terrestre. Un esempio è costituito dai tanti supermercati che non gettano gli alimenti ancora buoni, non commerciabili, nella discarica, ma li offrono alle mense dei poveri, alle Caritas parrocchiali e agli Empori della Solidarietà. Ci sono coloro, e sono tanti, che si impegnano a custodire il bene comune impegnandosi nel volontariato, nelle Caritas o nelle associazioni. Ci sono coloro che custodiscono il lavoro in un tempo di crisi economica in cui abbiamo preso il lusso di sprecare il talento e le capacità di tanti uomini, e soprattutto donne, rimasti senza lavoro. Custodiscono il lavoro le Amministrazioni Pubbliche e gli imprenditori che offrono luoghi per progetti di inserimento lavorativo nel Fondo Straordinario di Solidarietà o in altri progetti analoghi. Ci sono coloro che custodiscono i valori della famiglia accogliendo ad esempio in casa un giovane profugo e insegnando così a proprio figlio che “aggiungi un posto a tavola” non è solo un titolo di un noto musical. Infine ci sono i tanti volontari che si prendono cura del prossimo, soprattutto dei più poveri (malati, senza fissa dimora, persone in gravissima emarginazione sociale): pensiamo ai volontari dei Centri di Ascolto, dei dormitori, delle mense …