Lo sguardo ospitale della vita affidata

“Ecco tua madre… ecco tuo figlio”. È questa l’immagine evangelica di Giovanni che accompagna la Giornata mondiale del malato. Ed è un’immagine che anzitutto non vuole scoraggiare, farci piombare nella realtà del dolore. Tutt’altro: sembra paradossale ma desidera sollevarci. Comunica un messaggio stupendo: l’uomo è affidato l’uno all’altro.

“Ecco tua madre… ecco tuo figlio”. Il Dio di Gesù Cristo offre una grande eredità che attraversa tutta la storia (i rapporti buoni, capaci di custodia) e desidera incoraggiare l’uomo e provocare alla prossimità, all’ospitalità. E tutto questo per evitare che la croce incontrata dall’uomo sia una mera “tragedia senza speranza” – come afferma papa Francesco per la XXVI^ Giornata del malato di domenica 11 febbraio – ma sia luogo dal quale è restituita la speranza, non quella utopistica, delle belle parole ma concreta, che nasce dai gesti. Dall’alto della croce, Gesù insegna il metodo per concretizzare la speranza: umanizzando la sofferenza. Ho davanti a me un’immagine plastica di questo.Ricordo un sacerdote nel letto dell’ospedale, provato non solo fisicamente ma soprattutto interiormente, molto agitato. Il primario lo prese per mano e iniziò a parlargli con molta delicatezza, e a poco a poco il sacerdote si rasserenò, sembrava perfino aver recuperato un po’ di energia. Prendendo per mano si trasmettono cose che le parole non possono esprimere da sole: compassione, implicazione personale, sostegno, profondo affetto. E tutti i gesti di prossimità, di ospitalità non sono gesti cristiani, ma semplicemente umani. Infatti Cristo si è incarnato per ridare all’uomo la strada per diventare umani: “Chi segue Gesù Cristo, l’uomo perfetto,si fa lui stesso più uomo” (Gaudium et Spes, 41). Credo allora che umanizzare l’uomo, umanizzare un medico, un infermiere significa riuscire a portare all’anziano, al malato il miglior farmaco di cui si possa disporre e che dà qualità a tutti i farmaci necessari per la cura. Questo sento di dirlo anche alla luce di una brutta storia – quella che è stata sottolineata nella “giornata della memoria” – che ha ricordato come nella condizione dell’ orrore, a partire dall’ingresso nei campi dell’ abominio, le persone – bambini compresi – diventavano numeri. Freddi numeri, uno dopo l’altro in un’atmosfera di urla e bestemmie. Nella stagione dell’indifferenza- se possibile ancora più gelida e senza anima- tale condizione rischia di ripetersi. Il numero di stanza A o B rischia di sostituire il nome e il cognome di chi è ospitato o allettato. Una brutta stagione nella quale i malati da degenti sono diventati ricoverati; l’ospedale da luogo di accoglienza e ristoro è diventato azienda… azienda ospedaliera. E questo anche nel linguaggio dei tecnici e competenti, oltre che degli amministratori. L’aumento indicibile delle opportunità chimiche e non, e di medicine sempre più mirate, anche per vincere gli effetti controproducenti, che mette a disposizione ogni cura che tendenzialmente è soggettiva- cioè dedicata alla singola persona con la sua storia e le sue debolezze- dovrebbe insegnarci a tornare appunto alla centralità della persona. Al malato come al sano. Al colpito da una malattia come alle persone che lo amano e si amano. A partire proprio da quello “sguardo ospitale” che nel Vangelo ha tracciato una prospettiva che è già una cura e certamente un sollievo, e ti può far cantare con la Mannoia che “per quanto assurda e complessa ci sembri, la vita è perfetta; per quanto sembri incoerente e testarda, se cadi ti aspetta”. “Ecco tuo figlio… ecco tua madre” altro non sono che un modo sempre nuovo e insospettato di guardare e di guardarsi, di essere presso la vita del prossimo, e in particolare del prossimo malato o anche solo ferito. Nelle case o nelle corsie degli ospedali, per chi sa leggere oltre alle competenze ed ai numeri, tutto questo è percepibile, si snoda stanza dopo stanza, abitazione dopo abitazione grazie alla presenza di chi opera, visita, testimonia di chi crede all’uomo. Questa presenza, che è insieme sacramento e servizio, molte volte silenziosa e senza gonfiamenti o tradimenti spiritualistici, è Chiesa. Chiesa che per questa strada di incontro può dire qualcosa anche a quei giovani che cercano di capire chi è questo Cristo e perché è necessario alla vita. La XXVI^ Giornata restituisca a tutti -non solo agli esperti- e a tutti i giorni la forza unica di questo sguardo ospitale materno e fraterno, e la potenza di un affidamento che sono il segreto della vita, oltre che la salute della Chiesa alla ricerca di essere fedele al Maestro, e pertanto credibile.

*Direttore della Pastorale della Salute diocesana

Sabato 10: La Giornata del Malato in diocesi

La celebrazione si terrà a Gorizia presso la Chiesa dell’ Ospedale civile: alle ore 15 preghiera mariana;  alle ore 15.30 la celebrazione eucaristica presieduta dall’Arcivescovo emerito Dino.Durante la celebrazione verrà conferita l’unzione dei malati ad alcune persone che si sono preparate per questo momento. I sacerdoti sono invitati a concelebrare, portando con sè camice e stola bianca.

Domenica 11

La Pastorale della Salute propone che in questo giorno o nei giorni più vicini all’11 febbraio nelle strutture socio-sanitarie, cioè negli Ospedali di Gorizia, Monfalcone e Pineta del Carso di Aurisina e nelle Case di Riposo si celebri l’Eucaristia. È opportuno che queste celebrazioni ricevano una sottolineatura particolare: siano il convenire della Comunità presente nel territorio all’interno delle strutture. Si manifesta così l’impegno della comunità di donare attenzione alle persone negli Ospedali e nelle Case di Riposo del territorio.