Ius soli. Oltre gli slogan

Ultimo esempio in ordine di tempo è la discussione scatenatasi in questi giorni nel mondo politico a seguito dell’approdo al Senato della legge che, se approvata, permetterebbe l’acquisizione della cittadinanza italiana non più solo in base allo ius sanguinis ma anche grazie ad uno ius soli temperato ed allo ius culturae.La nuova normativa porterebbe a concedere la cittadinanza italiana automaticamente ad un bambino nato in Italia quando almeno uno dei due genitori si trovi legalmente nel nostro Paese da almeno 5 anni (con qualche ulteriore specificazione se il padre o la madre con permesso di soggiorno non proviene dall’Unione Europea); potranno diventare cittadini italiani anche i minori stranieri nati nella Penisola o giunti entro i 12 anni che abbiano alle spalle almeno cinque anni di scuole italiane (superando almeno un ciclo completo elementare o medio). Per i ragazzi fra i 12 ed i 18 anni la cittadinanza potrà essere richiesta dopo sei anni di vita in Italia ed il superamento di un ciclo scolastico. Questioni, come si vede, importanti ma che ancora una volta vengono affrontate, dall’una e dall’altra parte, unicamente dal punto di vista ideologico a colpi di slogan come se in Italia non ci potesse essere una terza via fra le posizioni di chiusura incondizionata – sempre ed a prescindere – e quelle di apertura, altrettanto incondizionata – sempre ed a prescindere -. E così veniamo quotidianamente bombardati dalle urla di chi paventa il rischio di invasioni di legioni di immigrati pronti a sfidare la morte sulle rotte mediterranee solo per far nascere i propri figli in Italia e dalle immagini di bambini che con i loro sguardi struggenti e malinconici da spot pubblicitario vogliono farci capire che è colpa delle nostre indecisioni sul tema se la loro esistenza quotidiana è irrimediabilmente rovinata non potendo sentirsi come i loro coetanei italiani.Una premessa è necessaria anche per sgomberare il campo da possibili equivoci: in questo caso non è assolutamente messo in discussione il sacrosanto diritto all’accoglienza di chi, per i più svariati motivi, è costretto a fuggire dalla propria terra. Una volta acquisito questo dato sarebbe, però, il caso di fare un passo indietro e cominciare a chiederci cosa voglia veramente dire, oggi, essere Italiani. Metabolizzata l’indigestione di retorica degli autoritarismi che hanno dominato la prima parte del secolo scorso, nel nostro Paese una certa ideologia dominante ha voluto riempire di connotazioni prettamente negative concetti quali Patria, Stato, Nazione ed i relativi simboli: per logica conseguenza, di essi si è impadronita la parte contrapposta e l’inevitabile conseguenza è stato lo sminuire ed il perdere il valore concreto di questi termini ma, soprattutto, del patrimonio ad esso collegati e sottinteso.Un patrimonio – culturale, storico, religioso – che non può essere visto come motivo di divisione ma deve essere considerato una ricchezza: il rispetto invocato e preteso del proprio DNA di origine riceve ulteriore valore se sommato al rispetto del DNA acquisito. Ripensare a cosa significhi essere oggi italiani può portarci, allora inevitabilmente, a ridare nuovo valore ed importanza anche ad un passo così importante come quello della concessione della cittadinanza.Altrimenti, per l’ennesima volta, rischieremo di avere un contenitore finemente decorato. Ma desolatamente vuoto.