Quando la fede spezza le catene

Abbandonati nudi per le strade, incatenati agli alberi o a blocchi di cemento, imprigionati nelle loro stesse capanne; questa la sorte dei malati di mente in molta parte del continente africano dove questa disabilità è attribuita alla possessione di spiriti cattivi. Negli ultimi 25 anni, in quattro Paesi africani, sessantamila persone in questa sistuazione sono stati ospitati in centri di accoglienza dove affrontare con dignità il disagio mentale e giungere ad un reinserimento nella società attraverso il lavoro. Opera di grandi organizzazioni sanitarie? No. Frutto dell’impegno di un uomo che ha trovato la sua missione dopo aver riscoperto la fede ricevuta nella sua infanzia. Grégoire Ahongbonon, gommista con alterne fortune imprenditoriali, senza avere conoscenze in campo medico e psichiatrico, partito dal Benin e giunto in Costa d’Avorio, ha dato vita ad una sessantina di Centri di accoglienza sparsi  oltre che in Benin e Costa d’Avorio, anche in Burkina Faso e Togo. La sua testimonianza è stata attentamente seguita da un numeroso pubblico che ha riempito, nella serata del 22 maggio scorso, la sala conferenze del ricreatorio parrocchiale di Largo Isonzo a Monfalcone, rispondendo all’invito dell’Associazione di Solidarietà Internazionale Jobel Onlus. Introdotto da don Paolo Zuttion e da Meri Marin, dirigente infermieristica nell’Azienda Sanitaria Bassa Friulana Isontina, Grégoire non ha spiegato teorie sulla cura dei malati mentali; ha raccontato i perchè della sua vita, di una esperienza che, con l’aiuto della sua famiglia, lo ha portato a servire gli ultimi tra gli ultimi, persone senza alcuna difesa e abbandonate a se stesse, destinate a morire senza alcuna dignità. Le impressionanti immagini raccolte in città, villaggi e ’Centri di preghiera’ gestiti da sette religiose hanno ben illustrato la situazione per la quale la risposta di Grégoire parte dalla fede: ’perchè avere paura di queste persone se in loro io vedo il volto di Gesù?’. E allora il suo ’metodo’ inizia con il riconoscere la dignità della persona trovata nuda sulla strada o incatenata ad un albero; questa persona ha un nome, viene lavata, accolta con affetto e curata; impara un lavoro e, appena possibile, torna nella sua comunità. Diversi ritornano ai Centri dopo aver studiato ed essere diventati infermieri; si dedicano a curare gli altri. Grégoire racconta questo con semplicità, rimarcando che quanto sta avvenendo è qualche cosa di più grande di lui; viene da Dio.  Eppure, questa opera della fede, ha attirato l’attenzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e Grégoire viene invitato a parlare in congressi internazionali ed al Parlamento europeo. Lui però rimane con i piedi per terra e continua a mantenere i rapporti con le persone semplici, con le organizzazioni, come Jobel, che accompagnano la sua esperienza partendo dalla volontà di contribuire a ridare dignità a chi è povero ed emarginato. Angelo Righetti, psichiatra che ha avuto l’opportunità di vedere l’esperienza dei Centri di accoglienza avviati da Grégoire, nell’incontro a Monfalcone ha letto quanto fatto come una pratica realizzazione di quella definizione di Freud sulla salute mentale che “è amare e lavorare”. L’ho capita fino in fondo, ha detto,  proprio vedendo l’esperienza avviata da quest’uomo.  Rodolfo Casadei ne ha tratto un libro: “Grégoire – Quando la fede spezza le catene” edito da EMI (Editrice Missionaria Italiana). Da leggere e non solo per capire l’Africa.