Il passato ed il presente nella campagna di Ermanno Rossi

Casa Candussi Pasiani, trasformata, nella pratica, in sede municipale – a Romans – è uno splendido esempio del riuso intelligente d’ un bene ai fini di cultura e memoria in una comunità.In “zona Cesarini”, ma non per caso, vi è stato fatto ciò che poco si è raggiunto altrove, ma che si sarebbe potuto fare. Salvare e valorizzare: prima la cultura, poi la “enogastronomia”, del cui futuro ci si riempie la bocca, dimenticando: ciò che sta cadendo – ed è tanto – a quel settore, in primo luogo, tarperà le ali.”Crodeghin”, refosco e ribolla gialla, anche dei nostri, si troveranno ad Auckland, Johannesburg e Honolulu e, se continuerà a cadere ciò che sta cadendo, brindisi e sollazzo a papille gustative i potenziali turisti se li sapranno troveranno là.In questo palazzo, paradiso dei ricchi, inverato spesso dai sudori dei poveri, par di sentire ancora l’eco di ruote ferrate, rotolanti sui ciottoli di fiume, che selciano lo spazio entro anditi, i quali immettono al cortile interno e dirigono ai piani superiori.Premessa verbosa per parlare d’una mostra di pittura? No, se si è visitata la personale di Ermanno Rossi, che ha riempito di forme e colori il “puàrtin” di questa meraviglia del secondo Settecento, e la ampia cucina con lo “sburt” del focolare, ancora con tracce di “sfrusìn”, un tempo fastidioso, ma ora così romantico, e chic. Parlava tanto di umanità, fermata in scene di vita, con persone – al maschile e al femminile – in momenti di dubbio, interrogativi, o straripante di gioia vitalistica.Ma un argomento che prevaleva in queste tele, per lo più di grande formato, e nelle acqueforti della grafica, era la campagna, già la campagna: esercizio di retorica di annoiante romanticismo passatista? Proprio no: c’è passato e presente; storia ed evoluzione, memoria, con un che di nostalgia e presa d’atto. Perfino ammonimento a non forzare la natura, rubandole spazi, con “guadagni” che coartano la sua libertà. Se no, perché insistere a rappresentare i fossi (sempre più riempiti per carpire spazi impossibili…), le ceppaie di alberi e “cisis”, che stanno sparendo anche qui, per geometrismi “razionali” da riordino fondiario ingordo di coltura?Ermanno Rosssi, nato nel 1942, a Santa Maria la Longa, se non lo fa a posta senza dichiararlo, ha interiorizzato la poetica della luce e della immensità che qui ha visto esprimerle il soldato Giuseppe Ungaretti con parole, piene e misurate, da lasciare in apnea corpo e anima.La luce, nella poetica pittorica di Ermanno Rossi, gioca un ruolo particolare: si spalanchi nell’immenso cielo con le inflessioni di bleu, azzurro, celeste, indaco, violetto, ceruleo, rosato, sia nel verzicare di verdi, e poi nell’esplodere di gialli che bevono sole e luce.Stoppie, segno che si è raccolto e che la terra dà; che tutto viene da lì, sia nella tradizione; sia nella agricoltura contemporanea, fin nella paglia stretta dal rotoballe che lui rappresenta.Uno vuole ritrovare l’anima: si perda nelle sue campagne odoranti di fieno e di terra. Vuole andare più in dentro con l’anima? Si lasci incantare da una delle chiesette da lui dipinte; una di quelle di campagna, col tetto a capanna, sormontato da umile campanile a vela (anche la chiesetta vuole la sua voce). Accanto vi trova quei cipressi, spesso ridotti dai più a complemento cimiteriale, e invece parole di vita mediterranea, che aggiungono poesia verticale a un paesaggio in cui l’occhio sembra perdersi.Sua mamma, quand’era ragazzo, lo fece andare da Giuseppe Zigaina, che gli insegnasse i segreti del mestiere, oltre che a guardare il mondo. Qualche lampo del Maestro si coglie; che sia stato a Parigi, si vede, ma il linguaggio si è fatto personale, e quando arriva all’astrazione, fa capire, che morfologia e sintassi sono padroneggiate, nutrite d’ intelligenza e d’anima.