Generare coi giovani parole di salvezza

Dal 14 al 19 maggio, un gruppo, formato da studenti di classi quarte del Liceo delle scienze umane di Cervignano con tre insegnanti, da adulti esterni alla scuola e dallo staff dell’Associazione Tenda per la pace e i diritti di Staranzano, ha partecipato al viaggio “Memoria e Impegno” in Bosnia Erzegovina, per visitarne i luoghi più significativi e incontrare  singole persone e associazioni che aiutano a capire la storia di quei luoghi e la situazione attuale.Dal 2010 Tenda per la pace  organizza viaggi di conoscenza in Bosnia Erzegovina dedicati ai giovani, percorrendo in 6 giorni le tappe di Pocitelj, Mostar, Sarajevo, Tuzla,  Poto¤ari, Bratunac, Srebrenica. Per gli studenti (quasi tutte ragazze) del Liceo Einstein, il viaggio è stato preceduto da 3 incontri di preparazione con esperti, per comprendere le finalità educative del progetto, rivolto  sia a conoscere i tragici fatti che, fra il ’92 e il ’95, hanno fatto rivivere in questo territorio  i drammi della guerra, dei genocidi, dei campi di concentramento, sia a riconoscere, tramite incontri con persone e testimoni che lavorano per la pace, le conseguenze tuttora presenti e l’impegno richiesto a ciascuno di noi per costruire prospettive di pace in Europa e nel mondo.A  Mostar, nel cortile dove persero la vita i giornalisti della sede RAI di Trieste Ota, Lucchetta e D’Angelo, abbiamo incontrato Jasna Jugo dell’associazione “Kos, Casa dal Cuore Aperto”, una donna con abiti islamici, che rifiuta la ghettizzazione “etnica” imposta alla Bosnia dagli accordi di Dayton e l’etichetta assegnatale di bosgnacca, frequenta ambienti cattolici e lavora per ricostruire quel tessuto multietnico, di dialogo e tolleranza, che caratterizzava il territorio prima della guerra e di cui era simbolo il ponte di Mostar, ricostruito nel 2004. A Sarajevo, presso lo Studenski Dom, dove eravamo alloggiati, abbiamo sentito la testimonianza di Faris Focak, che ha vissuto da bambino la resistenza della città nei quasi 4 anni di assedio, nella sua casa davanti alla storica biblioteca, che fu incendiata. Oggi, nel parco di fronte alla ricostruita biblioteca, si vede l’accampamento di 800 profughi delle guerre attuali, che, attraverso una nuova rotta balcanica, tentano di raggiungere l’Europa occidentale. Molte le testimonianze del lungo assedio subito nel Museo storico e in quello dei bambini e molte le ferite ancora visibili della guerra in edifici lesionati dalle granate e nei fori di pallottole sui muri. Camminando per la città abbiamo incontrato l’ambasciatore italiano, che si è fermato a parlare con noi.Jovan Divjak, ex generale dell’Armata Popolare Jugoslava, che, nonostante la sua appartenenza serba, ha guidato la difesa di Sarajevo, ci ha presentato le iniziative dell’associazione da lui fondata per aiutare prima i bambini vittime della guerra (più di 30.000 hanno perso almeno un genitore), poi i minori disabili o altrimenti svantaggiati.  Ha raccontato la sua esperienza nel libro “Sarajevo, mon amour”. La visita si è conclusa al Tunnel della salvezza, scavato nel 1993 per permettere l’arrivo di aiuti umanitari e di armi in difesa della città, oltre che per uscire: era lungo 800 m., oggi sono aperti al pubblico circa 25 m. A Tuzla abbiamo incontrato due giovani vittime della guerra, in particolare Zijo Ribic, un rom che nel 1992 aveva sette anni, ha visto stuprare la sorella maggiore, massacrare dai cetnici tutta la sua famiglia, è stato pugnalato al collo e gettato in una fossa comune sopra gli altri cadaveri, ma, per miracolo, come lui stesso ha detto, è sopravvissuto, venendo portato in ospedale da due soldati dell’esercito regolare serbo che si sono rifiutati di consegnarlo ai massacratori della sua famiglia. Dopo esperienze in orfanotrofi, lavori stagionali a Rimini come cuoco, ha dedicato le sue energie al ritrovamento dei cadaveri dei suoi familiari: nel 2010 è riuscito a dare una tomba ai genitori, nel 2016 a cinque sorelle e al fratellino di due anni; rimane un’altra sorella da trovare. Sta tuttora aspettando l’esito conclusivo del processo contro la banda di cetnici responsabili dell’eccidio, dapprima condannati e poi prosciolti in secondo grado.  La Fondazione Benetton ha realizzato su questa vicenda una mostra/reportage dal titolo “Io non odio”, le parole che Zijo ha continuato a ripetere anche nel giorno della sepoltura delle sorelle ritrovate. Di forte impatto emotivo è stata la visita al “Memorijalni Center” di Poto¤ari, dove sono sepolte le vittime di Srebrenica, quasi tutti maschi musulmani, uccisi tra il 9 e l’11 luglio 1995 dalle truppe serbo-bosniache di Ratko Mladic. Il grande cimitero di bianchi cippi in fila (8.372 le vittime, di cui più di un migliaio aspettano ancora di essere ritrovate) è stato deliberatamente collocato di fronte alla base dei caschi blu olandesi, che ebbero grandi responsabilità per non aver impedito il massacro, come ha stabilito anche la Corte suprema dei Paesi Bassi: una rilevante documentazione fotografica e filmica all’interno dell’edificio ne ricostruisce tutte le tappe. Il pranzo nella casa delle donne di Poto¤ari, vedove che si occupano di ricostruire i rapporti fra donne di varie etnie e religioni; la visita alla Cooperativa Insieme, che produce confetture e succhi denominati “Frutti di pace”; l’incontro a Tuzla con la neuropsichiatra, presidente dell’associazione Tuzlanska Amica, il cui obiettivo principale è il sostegno alle famiglie, hanno concluso un viaggio molto intenso, denso di messaggi e interrogativi, che certamente avrà un’importante ricaduta educativa ed esistenziale soprattutto sui giovani studenti, che vi hanno partecipato con grande interesse e sensibilità. Scrive nel suo libro “Giovani in cerca di senso” il sociologo delle religioni Castegnaro: “Generare con i giovani parole di salvezza”. Questo è un modo per farlo.