La liturgia pasquale aquileiese

All’avvicinarsi della Settimana Santa abbiamo pensato di presentare in tre puntate quanto in quei giorni si svolgeva nella liturgia ad Aquileia; perché, verosimilmente, tali riti non avevano svolgimento nelle altre comunità cristiane nelle zone fuori Aquileia. Appare evidente che le cerimonie rituali trovavano motivo e condizionamento della stessa realtà inerente alla città patriarcale. Come, del resto, sarà avvenuto nelle altre sedi episcopali suffragate.Non vuole essere questo uno studio approfondito e comparato su tutte le cerimonie, bensì offrire notizie desunte da vari codici esistenti nella nostra regione e in particolare i codici conservati a Gorizia, a Udine, a Cividale e a Trieste. Fonti preziose di notizie liturgiche e musicali che ci hanno conservato molta parte dell’antico patrimonio rituale del Patriarcato. Alcuni di questi codici sono stati consultati direttamente dall’autore, altri invece, perché giacenti lontano da noi, sono stati studiati attraverso gli scritti di chi li ha direttamente compulsati.Non è proposito dell’autore sviscerare il rito aquileiese in sè e nemmeno le cause della sua eliminazione da parte dei patriarca Barbaro, ma piuttosto far conoscere alcune particolarità dei riti che si svolgevano nella “Mater Aquileyia” durante la settimana santa dal sec. X-XI al Sinodo di Udine del 1596.A questo scopo si ritiene necessario ripartire la descrizione dei riti della Settimana Santa in tre sezioni e precisamente: 1) Domenica delle Palme, lunedì, martedì della Settimana Santa; 2) Giovedì e Venerdì Santo; 3) Sabato Santo e Pasqua.

Domenica delle PalmeLa raccolta del popolo di Dio e del clero avveniva nella chiesa principale, cioè in basilica e la processione partiva “cum vexillis” cioè con “stendardi e gonfaloni” si direbbe oggi perché la festa è solenne. La “stazione” in questo giorno era l’antico santuario di San Felice, un tempo fuori le mura ma conglobato in esse dal Patriarca Poppone e poi distrutto nel 1774. Durante il tragitto si cantano antifone e salmi, e qui giunti, per prima, si cantava l’antifona propria dei due martiri Felice e Fortunato, ove si trovavano le loro reliquie. Poi iniziava la vera e propria cerimonia del giorno.La benedizione delle palme e dell’olivo e di qualsiasi altro genere di rami di alberi iniziava con salmi e antifone e poi il suddiacono cantava un tratto dell’Esodo; poi veniva cantato il “Tratto” nel quale si avevano dei cenni dall’Antico Testamento sulla futura Passione di Cristo. A ciò seguiva il vangelo di S.Luca cantato dal diacono: “Avvicinandosi Gesù a Gerusalemme”.Il Pontifex poi recitava una preghiera e poi un esorcismo sulla “creatura di fiori e di fronde” e quindi cantava un prefazio abbastanza lungo, che iniziava con la creazione… “tu o Dio hai ordinato alla terra di produrre legni fruttiferi, benedici pure questi rami di diversi alberi tra i quali l’olivo abbondante di olio… e hai voluto che la colomba portando il ramo d’olivo annunciasse la pace al mondo…”. Seguivano poi altri cinque “Oremus” ove in uno si legge che “quanti riceveranno questi  rami d’olivo, possano essi ricevere per sè la protezione dell’anima e del corpo e possano godere sempre della tua protezione”.Da S.Felice poi si muoveva la processione del ritorno in basilica, fermandosi ad un certo punto del tragitto, non definito, ma che si può benissimo supporre circa a metà strada tra le due chiese, mentre i fanciulli cantavano l’inno tuttora rimasto nel rito: “Gloria laus et honor”. Terminato di cantare anche questo inno, i fanciulli gettavano fiori ai piedi del Pontifex e poi davanti a lui si prostravano cantando l’antifona: “Fulgentibus palmis”, cui seguiva in loco il canto del vangelo di Matteo: “Avvicinandosi a Gerusalemme” da parte del diacono.Poi il Pontifex salendo su un pulpito, lì teneva il discorso della festa. Dopo ciò si riprendeva a cantare l’inno che iniziava con le parole “Magno salutis gaudio” che viene attribuito a S.Gregorio Magno e che ancora oggi è cantato dalla Chiesa ambrosiana proprio nel ritorno verso la chiesa principale dopo la benedizione delle Palme.Ecco invece quanto ci riporta un altro codice riguardo alla cerimonia di questo giorno liturgico.La cerimonia della benedizione delle Palme avveniva, come sopra descritto, salvo la lettura del Vangelo che era quello di Marco, al posto di quello di Luca. Poi cantate le varie antifone e i molti “Oremus” nella chiesa ove si erano raccolti, iniziava la processione per il ritorno e ad un dato luogo, per nulla specificato, avveniva una “stazione” si direbbe liturgicamente: lì si trovava già esposta la santa Croce su “tappeti puliti”. Ora qui cantavano tre antifone diverse e allora tutti, cioè l’officiante, i suoi aiutanti, il clero e il popolo, si prostravano devotamente ad adorare la Croce, mentre il coro cantava l’altra antifona: “Con rami splendenti accorrono le turbe”.In questo momento il celebrante, aiutato dai suoi ministranti, elevava la Croce per tre volte cantando: O crux ave spes unica, elevando ogni volta di un tono la melodia. Ciò terminato si avvicinavano i fanciulli alla Croce, cantando la solita antifona: “Pueri Hebreorum”, e gettavano a terra i rami di olivo o di palme e, proni in terra, adoravano la santa Croce. Altrettanto fanno poi altri cantando l’altra consimile antifona e stendevano a terra le “loro cappe”, ricordando quanto facevano molti Ebrei al momento del passaggio di Cristo, quando entrò trionfalmente a Gerusalemme. Per ultimo, in questa significativa cerimonia il celebrante si prostrava davanti al Crocifisso mentre stava così in adorazione veniva toccato da un ministrante con una palma che gli ingiungeva: “percuoterò il pastore, così sta scritto”. È in riferimento scritturale una forzatura del testo evangelico ma che ci fa ben comprendere come durante le cerimonie della Settimana Santa si tendeva a drammatizzare certi racconti scritturali.Ed eccoci subito ad un’altra “drammatizzazione” e precisamente a Udine.In un codice della biblioteca Capitolare di Udine si legge che durante la cerimonia della domenica delle Palme “al puto chel chavalca l’aseno col campanaro che mena l’asenello” erano dovuti “soldi 14” come retribuzione per la loro prestazione. Ciò dimostra che in tale domenica si rappresentava l’entrata di Cristo a Gerusalemme, e un fanciullo faceva le sue veci mentre il campanaro accudiva all’asinello.La Messa delle Palme ad Aquileia, stando al Messale del 1519, aveva tre letture e precisamente la prima da Geremia profeta, là dove si parla dell’Agnello mansueto che viene portato al macello, e della volontà di togliere il giusto dalla terra dei viventi. La seconda lettura invece era di quel tratto del libro della Sapienza ove si dice: “…Accerchiamo il giusto perché è contrario alle nostre opere…”. La passione di Cristo era letta dal vangelo di Marco.

Lunedì santoTale giorno come gli altri due seguenti il Messale aquileiese li nomina così: lunedì, martedì, mercoledì “dono le Palme”.In tale giornata tutti, clero e popolo, si radunavano nella chiesa principale e, con la “capsa reliquiarum” dei santi martiri, la processione si snodava verso la chiesa del “monasterium majus Aquileiense” o semplicemente “monasterium” affidato alle monache benedettine. Durante il tragitto venivano cantate varie antifone e diversi responsori, riguardanti la passione del Signore accomodando convenientemente testi del Vecchio Testamento; e così si arrivava intanto alla prima chiesa di Ognissanti e senza entrare si passava oltre cantando un’antifona particolare tratta dai vesperi di tutti i santi.Cammin facendo si arrivava alla chiesa di S. Silvestro si proseguiva fino a giungere all’ultima chiesa prima di Monastero, cioè a quella di S. Alessandro ove, cantata l’antifona del santo e con tre salmi penitenziali si proseguiva poi alla chiesa delle benedettine ove, completati i salmi penitenziali, veniva celebrata la Messa votiva “per la salute dei viventi”. Durante la processione di ritorno alla basilica si cantavano le litanie dei santi. Alle invocazioni i fedeli rispondevano con “prega per noi presso il Signore” (“ora pronobis ad Dominum”).

Martedì santoLa processione di questa giornata aveva come meta la chiesa di S.Stefano e distava dalle mura circa un miglio. La chiesa fu distrutta ai tempi di Giuseppe II. I fedeli si radunavano con il clero nella basilica e da lì partivano processionalmente cantando lungo il tragitto antifone, responsori e versetti spesso intercalati da salmi. Lungo il percorso la processione sostava anche oggi nella chiesa di Ognissanti ove venivano cantati tre salmi penitenziali con l’antifona tratta dai secondi Vesperi della festa di tutti i Santi.Terminato ciò la processione proseguiva fino alla chiesa di S.Stefano ove, cantata l’antifona del santo veniva celebrata la Messa “per i peccati”. Alla fine tutti ritornavano alla basilica cantando le litanie come nel giorno precedente.Particolarità degna di nota è il fatto che nei primi tre giorni della Settimana Santa pur essendo quasi forniti di una messa propria (con tre letture due del Vecchio Testamento e il Vangelo), la messa celebrata nella Chiesa ove si soffermava la processione era una particolare messa e precisamente il lunedì quella “per la salute dei viventi”, il martedì quella “per i peccati” e il mercoledì quella “per i defunti come fosse giorno anniversario della loro morte”.

Mercoledì santoCome nei due giorni precedenti veniva fatta la processione portando le reliquie dei santi e ci si dirigeva alla chiesa di S.Giovanni “in foro”. La chiesa ove si sostava durante il tragitto era quella di S.Andrea (corrispondente probabilmente a quella di S.Antonio. Nei documenti non vengono citate le chiese di S.Ilario all’ospedale e di S.Felicita pur esistenti in Aquileia). Sostando nella chiesa di S.Andrea veniva cantata l’antifona: “O buona Croce a lungo desiderata… vengo sicuro a te, godendo…”. Nelle antifone e nei frequenti responsori si fa più pressante il ricordo dell’imminente passione di Cristo. Dopo i tre salmi penitenziali la processione riprendeva il cammino verso la meta, cioè la chiesa di S. Giovanni “in foro”. Qui, cantati i rimanenti quattro salmi penitenziali, si celebrava la messa “per i defunti” come fosse giorno anniversario della loro morte. Il ritorno avveniva come negli altri due giorni.Sta bene notare che al rientro in basilica in tutti e tre i giorni, terminate le litanie, si cantava l’antifona della Madonna: “Ti preghiamo o vergine delle vergini, preghiamo te degnissima porta del re eterno, te preghiamo o regina del mondo che ti sei meritata di essere la porta del Cristo allo scopo di intercedere per noi presso il tuo figlio”. E mentre la “capsa reliquiarum” era portata in mezzo alla chiesa si recitava l’ultimo “oremus” della giornata, che era rivolto alla Vergine Santissima.È significativo che ogni giorno a chiusura della celebrazione liturgica veniva rivolta una preghiera conclusiva alla Vergine Maria che nella liturgia aquileiese teneva largo spazio devozionale.

1. continua(da Voce Isontina del 31 marzo 1984)