Il soldato canterino

La parabola di vita di Giovanni Zoff è stata breve, 28 anni appena. Di lui, ci restano alcune cartoline e tre quaderni cartonati a righe. Da essi, si capisce che aveva le sue passioni: canto, disegno e l’amore per la vita e la donna.Possiamo affermare senza fallo che amasse l’amicizia: in una pagina di quaderno fa firmare uno spolverio di amici e, quando parla di sé coscritto, parla dei suoi compagni con evidente affetto.Un altro aspetto del suo carattere abbiamo, di sicuro, proprio grazie alla sua raccolta poderosa di canti: era aperto agli altri. Canti in friulano triestino, napoletano, romanesco, italiano, qualcosa in tedesco, riferimento a canti spagnoli. Per il triestino, soprattutto, deve aver avuto simpatia, come del resto la nostra gente della Contea aveva; era anche informato e annota i canti che erano particolarmente riusciti nei concorsi.Apertura totale, senza ideologie: riporta perfino una canzone che palpita per il Tricolore a Tripoli, evidentemente nata nella guerra Italo-Turca del 1911, e il “Va pensiero”.In italiano sono una sessantina, due in friulano (una, Il cjant dal Friûl, parole di Vencul, musica di Cesare Augusto Seghizzi, composta nel 1910, fra l’altro censurata dalla polizia austriaca, perché parlava di un Friuli dal Timâf a le Livenze). Canzoni triestine 17, romanesca 1, e una in napoletano (O marenariello) anche tradotta in italiano. Parte militare nel 1912, col mitico Reggimento 97°, il küstenlandisch-krainisches-Infanterie-Regiment General George von Waldstätten, che aveva uno dei suoi battaglioni a Bjelovar.Verseggiava anche in friulano il nostro Giovanni Guglielmo: alla buona, senza pretese, a volte con le parole prese per il collo e costrette a rimare. Comincia raccontando che alla leva sono andati nel 1911, e poi:”Une grande conpanie/che chist an, sin presentas;/ che di me che ierin altris/ nis an fat duc vinc soldaz/ Ierin clape misturale/mistirans e contadins/co soldaz han orut fani/ no sin i ultins e nance i prinz.Intanto adopera un punto e virgola, poi anche l’esclamavo; non è poco! E poi è fatalista: Il soldat  za di antic iere/ E sarà pel avignì/nus an fat? Non avilisi/ e neppur nance vaì…/ E sintint che i bruse ai zovins/doi tre ains per mont a la…Ma più di tutto dispiace abbandonare la morosa, il bel paese, la morosa, il padre e la madre, e le belle ragazze che, con un tocco di naturalismo paesano, descrive “del color di lat e vin”.In lui, c’è sentimento ondivago: rassegnazione, realismo e ribellione dell’animo.

Le abastanze pene amareSot dei altris dovè sta!      Ma son stas prime di noaltrisE par chist non mai tramà…

Loro non tremano neanche davanti al fuoco, e poi

In chist cas no sove nuienancia oponisi no valIn comples le mior soldazcome muars  o in (Ospedal).

Non era peggio una volta, soldati senza tempo, mentre

Ma cumo son bagatellis chel poc timp che la si fasVe coragio mai avvilisiE provà di vivi in pas.

Questo lo scrive il 25 febbraio 1913, ed era già a Belovar, in Croazia, da quasi un anno, su un quaderno intitolato “Libro di canzoni e ricordi militari”. Annota sempre data e luogo della trascrizione. Quasi tutte hanno per luogo Bjelovar, una a Sveti Ivan Žabno e un paio a Banjaluka in Bosnia.Sono canzoni d’autore e allora lui ci mette di chi è la musica e di chi le parole, e poi tante popolari, alcune metricamente dei “rispetti”.Ogni tanto, dipinge, pare con acquarello, usato come tempera, o a pastello: paesaggi vicini, come Trieste, Romans Gradisca, o lontani come Bjelovar e tante donne…come poteva.L’argomento che prevale è quello amoroso, che qualche volta scivola nell’ammiccante, nel più esplicito e – qualche volta – perfino nel lubrico.Quella più popolare è “maledetta sia la svelia” (i Friulani sentono poco la gl) Interessante come descrive la partenza, il 5 marzo 1912, per il servizio militare (evidentemente verrà trattenuto fino al 1914, a capire dalle datazioni).La descrizione ha toni di solennità “… la grande piazza era affollata di cittadini Triestini Il quale ammiravano il loro partito Militare che onoratamente davano il loro saluto… Suonavano l’inno Imperiale quando usiva la bandiera fuora del portone della caserma…”.Saluto delle autorità militari, poi verso la stazione meridionale “…La folla numerosa ci accompagnavano fino alla stazione con saluti onorevoli…poi prima di entrare alla stazione passiamo con un saluto al Conte e ad generale e a tutti i Generali e ufficiali che restavano a Trieste…”. Saluti dei parenti sui binari che commuovono i cuori “…dei patrioti nostri che dobbiamo… partire per tere straniere della Croazia. I gridi di evviva penetrano nei cuori fedeli come spunti dolorosi e addio di tutte le parti…”.Decisamente più triste, ma profondamente realistica, la sua descrizione, in versi friulani, della partenza da Romans:

La me partenze di RomansIO! Romans me ciarIo devi abbandonatiPar cause militarRapit di te io soiIl treno le pront che mi spieteO! devi abandona speranzisAmor Genitors e parintatDulla che zovin mi ha fatSventure che ben grandePar me che provi chisteIIO soi tradit di visteIn une nazion straniereMi tociarà stesereIn mut di non savèDevi sospirà la patria Di me lontaneIIIAl Regiment 97Soi al destinTriest bramatDi passami la vite del soldatMa dopo i 2 mesun trist augurNus le vignutche il nestri Regimenta Belovar ven trasferitIVO! purs noaltrisNun scomensin a ramenàIn Croazia nus tocia laIn tal pantan e in ta miseriaAhime! vite amareDi podele racontaVVi la spieghi alle presteQui i versi si interrompono, ma sono bastevolmente rappresentativi di uno stato d’animo doloroso.Non sappiamo più nulla di lui. I parenti dicono sia morto a Bjelovar nel 1918, ma non si sa come né perché.Restano le sue canzoni, i sui disegni ingenui, e la sua voglia di vivere travolta dalla scelte sciagurate dei “Grandi”.