Gli anni Quaranta di quella Gorizia che non sarebbe più stata la stessa

Gli anni della scuola elementare, che per me trascorsero tra il 1937 e il 1942, compresero molte nuove amicizie, per lo più vissute a Gorizia o comunque partendo dalla nostra città. Amica mi fu la città stessa con le sue vie e i suoi dintorni, mi furono cari i colli e i monti che la circondano: un insieme di bellezze che resero positiva la mia vita e la mia crescita, mi furono, in altre parole, amiche. Le parentesi vissute fuori città accrebbero il mio patrimonio umano di ragazzo, favorevoli anch’esse, sempre vissute però con Gorizia nel cuore, ogni volta ritornandovi con gioia e sollievo. Le amicizie di quel tempo sono state tutte incontri senza legami profondi, ma ugualmente importanti, con loro ho imparato a stare con gli altri, i coetanei ma anche le persone adulte, ad amare l’ambiente che mi ospitava.

La scuola di via Cappella

I primi amici di quegli anni furono i compagni dell’ambiente scolastico, conosciuti nella scuola di via Cappella, un istituto non proprio vicinissimo alla zona della nostra residenza. Lo raggiungevamo, io e gli scolari del vicinato, percorrendo tutta la via Barriera, l’attuale via dei Catterini, immettendoci in via Corsica e seguendola fino ad una stradina laterale, stretta e ombrosa, che imboccavamo e che a me non dispiaceva. Si trattava dell’attuale via D. Molino: alla sua fine, svoltando a destra, si trovava l’edificio scolastico di via Della Cappella.Il percorso per arrivarci si faceva per noi di via Caprin particolarmente interessante in via Barriera, perché la strada veniva costeggiata dal torrente Corno. Le sue acque attiravano la nostra attenzione, sulle pietre che ne formavano il greto ci sfidavamo a inventare la migliore “via d’acqua”. D’inverno, quando il torrente si presentava ghiacciato, cercavamo di camminare sopra le lastre di ghiaccio che si erano formate, sfidando il rischio di una loro rottura, come del resto qualche volta succedeva… Spesso poi, siccome il torrente s’inoltrava in una galleria per passare sotto la via San Gabriele, m’inoltravo nel tunnel per sbucare in via Corsica, per poi da lì proseguire verso la scuola con i compagni che attendevano.Col tempo imparai che per andare a scuola esisteva anche un itinerario alternativo, quello di via Montesanto, un po’ più lungo però, in ogni modo anche quello con le sue attrattive.Un giorno poi assieme a mia madre inaugurai un percorso inedito, dal momento che la mia genitrice doveva recarsi al forno presso il quale si servivano i miei, in via Favetti. Percorremmo parte di via Carducci e poi svoltammo a sinistra proprio sulla via che interessava a mia madre, imparai così che anche quella strada portava in via Cappella e incominciai a frequentarla.  Percorrendola mi accorsi che sulla sinistra della via, ad un certo punto, si apriva una porta che permetteva di vedere l’interno. Si trattava di un monolocale, vi dimoravano due vecchietti, marito e moglie. Notai che erano molto poveri, così mi decisi, prima di arrivare a scuola, di lasciare loro la mia merenda. Avevo conquistato due nuovi amici, anziani e poveri, ma molto espansivi ed affettuosi. A scuola trovavo i compagni di classe, che mi erano sì amici e la cui amicizia mi risultava molto gradita, ma che conoscevo meno bene del resto del gruppo di via Caprin. Con loro però imparai a “leggere, scrivere e far di conto”, e a stare in una disciplinata compagnia come quella scolastica. Me li ricordo sconosciuti il primo giorno di scuola quando, dopo i preliminari dell’appello, assieme ci ritrovammo nell’aula.In quel momento mi sentii perso, con attorno tanta gente mai vista, non solo chi come me stava seduto al banco, ma anche i bidelli e persino la maestra! Me li ricordo ugualmente quando, diventati consumati amici, salutammo l’ultimo giorno, ci sentivamo ormai a nostro completo agio, orgogliosi e sicuri, come dei piccoli conquistatori che avevano raggiunto la meta. In effetti, stavamo lasciando un mondo ormai diventato troppo piccolo per le nostre pretese!C’è da aggiungere che, per coloro che volevano proseguire gli studi alle medie, esisteva l’esame d’ammissione. Bisognava darlo in via Randaccio, dove si trovava la sede della scuola futura, da frequentare se le cose andavano bene. L’esame lo diedi anch’io, meno preoccupato durante le prove scritte, molto emozionato il giorno della prova orale, ma le cose al momento opportuno volsero al meglio, l’esame venne superato ottimamente.I mie per premio mi regalarono l’abbonamento ferroviario per Sistiana, dove mi sarei recato al mare.

Il tempo delle amicizie

Così avvenne e non vi andai da solo, con me venne Pino Romitelli  e per un intero mese condividemmo il viaggio e i bagni in un’incantevole baia, appartata e confortevole. Dalla stazione del nostro arrivo, prima di raggiungere il mare, ci accoglieva una stupenda e panoramica pineta, che volentieri percorrevamo in discesa e a piedi. Ci aspettava una ridente piccola spiaggia per prendere il sole e fare i nostri tuffi. Sulla sua battigia conoscemmo, tra gli altri, un pescatore che vendeva ai bagnanti il frutto della propria pesca e ce lo facemmo amico. Ne sortì un incontro insolito e molto interessante, che ci portò a conoscenza della vita e del lavoro sul mare, con i loro rischi e la fatica che richiedevano. Quella col pescatore risultò un’amicizia simpatica e preziosa, che ci rivelò un mondo da noi lontano e fino ad allora per noi sconosciuto.Sui tempi delle amicizie c’è da dire che non esistevano solo quelle del mattino, coltivate a scuola, stavo invece assieme ad altri amici nel pomeriggio. A incominciare da quelli della nostra residenza e a coloro che abitavano nelle case vicine.I più vicini erano quelli della prima abitazione che veniva dopo la nostra, andando verso via Montesanto, erano i figli dei signori Comolli. Abitavano in una confortevole villetta, che sul retro si apriva ad un ampio cortile e una serie di costruzioni che servivano all’impresa della quale i residenti erano titolari. Davanti alla casa vera e propria si stendeva un prosperoso frutteto che confinava col cortile del nostro palazzo. C’erano gli alberi di pesche ed io, un giorno, per far conoscere ai miei compagni quanto ero coraggioso, davanti a loro penetrai da solo nel campo e raccolsi uno dei frutti, portandolo trionfante ai miei osservatori, ammirati per tanto ardire. Non raccontai loro però, quanta paura avevo avuto durante la mia impresa: l’importante era ciò che si vedeva e fu un trionfo! Si vede che bastava poco per acquistare prestigio presso i coetanei  del cortile…  I ragazzi dei Comolli erano due fratelli più o meno della nostra età. Giocavamo volentieri a casa loro, alla domenica, quando gli ambienti e le attrezzature da lavoro della ditta erano liberi, praticamente a nostra disposizione. C’era un camion, il cui posto di guida offriva svariate opportunità di gioco, da fermo naturalmente. Ma ci piaceva soprattutto  la stalla del cavallo, dove oltre al quadrupede si trovava un bel fienile, sofficemente foraggiato, che ci permetteva di fare le nostre capriole. Comunque ogni cosa del cortile dei nostri vicini, compagni di gioco, ci attraeva e, quando potevamo, ne approfittavamo ben contenti.Altri compagni con i quali trascorrevamo il nostro tempo, li trovavamo nella casa che veniva subito dopo quella dei Comolli, sempre nella direzione di via Montesanto. Erano i figli e le figlie dei signori Torroni, una famiglia di origine romana, che abitava nel piano rialzato di una palazzina. Con loro si giocava alla guerra, perché in fondo al prato che si trovava dietro l’abitazione, sorgevano ancora i resti in muratura di una trincea del periodo bellico. Ne approfittavamo volentieri, combattendo su quelle rovine, circondate da un reticolato. Di quei giochi bellici mi rimane un bel ricordo, in particolare del… reticolato, perché mi lacerò con una bella ferita la gamba sinistra. Nell’occasione mi accorsi che l’amicizia e il gioco alla guerra hanno anche loro un prezzo…

Gli animali di casa

Contribuì ad arricchire il mio senso dell’amicizia persino lo scambio di simpatia con alcuni animali domestici, anche con loro stabilii un certo rapporto. Tra questi innanzi tutto alcuni cani, gli animali che mi piacevano di più e che era più facile incontrare. La prima delle mie conoscenze canine si trovava nella mia stessa via, gli passavo spesso davanti e mi fu facile farmelo amico, quando raggiungevo il cancello della villa nella quale si trovava relegato mi faceva una grande festa. Si trattava di un bel cane lupo. Il secondo esemplare, sempre di pastore tedesco, lo incontravo in via Montesanto all’altezza della caserma della forestale, ne era il custode, facendo la guardia al di là di una alta staccionata che lo divideva dal marciapiede e dalla strada. Per fargli le coccole da vicino scavalcavo il recinto e m’intrattenevo con lui, anzi, una volta, nel ritorno dalla visita, nello scavalcamento del recinto caddi malamente e mi feci un grosso taglio sotto il ginocchio. Mi è rimasta ben impressa la faccia spaventata del mio amico Italo D’Achille, che era con me, quando vide la mia ferita! Si preoccupò e fece chiamare la “Croce Verde”, venni così trasportato su un’ambulanza all’ospedale, al Brigata Pavia, dove venni adeguatamente curato. Da un dottore che medicò per bene la mia ferita e mi annunciò che doveva cucirla con un punto… che alla fine si trasformò invece in ben cinque! Rassicurazione opportuna comunque la sua che in qualche modo tendeva a tranquillizzarmi, ma chi mi tranquillizzò davvero fu l’infermiera che durante tutta l’operazione mi tenne stretta la mano e al momento opportuno mi detergeva il sudore sulla fronte. Brava davvero!Il terzo dei cani che mi furono affezionati lo vedevo di là del Corno, sempre un bell’esemplare di cane-lupo. L’osservavo quando percorrevo via Barriera, il povero animale veniva tenuto a catena in un cortiletto e durante i miei passaggi mi esprimeva tutta la sua gioia. La condizione che manifestava mi faceva pena però, correva su e giù fin che la catena glielo permetteva, ma si vedeva che avrebbe voluto potersi muovere di più. Così un giorno decisi di attraversare il torrente e di andare a liberarlo: l’animale, una volta libero, invece di andarsene per conto suo, come speravo, mi si accodò. Mi seguì fino a casa, dove venne festosamente accolto dai miei compagni, diventando l’amico di tutti. Ci  divertivamo con lui, giocando sulla strada, non pensavamo ad altro, fino a quando non  arrivarono i suoi padroni che, dopo qualche protesta con i miei genitori per quello che avevo combinato, contenti per il recupero del loro animale, se lo ripresero. Non occorre dire che da parte mia non mi azzardai più di andarlo a liberare! Amavo i cani, ma mi piacevano anche i gatti, ne avrei volentieri posseduto uno. Così, il giorno nel quale m’imbattei in un gattino miagolante, apparentemente abbandonato, non ci misi un attimo a prenderlo e portarmelo via. Ne condivisi il possesso con gli amici del casamento, non lo portai a casa, perché sapevo che i miei non l’avrebbero voluto. Noi ragazzi lo adottammo perciò un po’ tutti e divenne un personaggio con il quale giocare e divertirci. Aveva la sua cuccia, che gli avevamo preparato ai piedi del grande abete del cortile, lì aveva le sue cose e lì gli portavamo da mangiare. Era estate e l’animale si accontentava di stare all’aperto, ma passata la buona stagione, arrivato il freddo, incominciò a cercare riparo all’interno di un tetto. Individuato poi dove abitavo, si accomodava sul tappeto davanti al nostro appartamento. Alla fine i miei si commossero e lo accolsero tra noi: fu così che il gatto “Muci”  divenne il quinto componente della nostra famiglia…A proposito di amicizie animali devo aggiungere che vi fu un tempo durante il quale la nostra famiglia allevò i conigli e i colombi. Questi ultimi  li tenemmo per poco, fatti sparire ben presto in seguito alle proteste dei vicini. Dovevamo invece provvedere al mantenimento dei conigli rimasti a nostra disposizione, innanzi tutto procurando l’erba, indispensabile per il loro mantenimento. E, dal momento che gli stessi animaletti li allevavano le famiglie anche dei miei compagni di cortile, noi figli si partiva assieme per la raccolta del prezioso alimento per loro. Ci recavamo dalle parti del “cimitero vecchio”, verso la campagna che si apriva alla fine di via San Gabriele. In queste spedizioni ci accompagnava, in aggiunta al solito gruppo di noi ragazzi e ragazze, anche la Piera Lovera, più avanti in età di noi, ma si vede ugualmente amante degli animali domestici e del verde.