Crauglio: la chiesa di San Canciano Martire

Poderose le fonti e la bibliografia, utili ai ricercatori per ulteriori approfondimenti e ricerche, magnifico l’apparato fotografico, significative e inedite le scoperte realizzate, notevoli sia le attribuzioni eseguite sia le trascrizioni effettuate.Quest’opera monografica, come scrive il parroco don Giorgio Longo nella sua prefazione (p. 9), racconta “la storia vera, quella non di parte o a secondi fini, ma unicamente fatta dai documenti e dai racconti genuini raccolti «in loco», frutto di protagonisti e di testimoni ancora vivi: e ciò rende più vero, vitale e bello un paese, o meglio, una piccola (numericamente) comunità come Crauglio ma grande per la sua storia più che millenaria”.I principi che hanno guidato la pubblicazione sono chiaramente delineati e descritti da Tavian nella sua Premessa (pp. 11 – 12), infatti, se da una parte si è destinata ampia rilevanza al restauro e al recupero della Chiesa (intervento eseguito nel 2010) e si è posto l’accento su tutte le particolarità inedite, dall’altro lato si è voluta “soddisfare la sete di conoscenza del visitatore” che per la prima volta entra nella chiesa di San Canciano e si pone le classiche domande del neofita, cioè la descrizione degli altari, le decorazioni, gli autori delle opere e gli stilemi artistici.Il volume (144 pagine; ideazione don Giorgio Longo; testi e scelta apparato fotografico Giulio Tavian; progetto grafico e impaginazione Studio Pantanali di Aiello del Friuli; stampa Poligrafiche San Marco di Cormòns; referenze fotografiche di studio Riccardo Viola di Mortegliano, Archivio Storico Provinciale di Gorizia, Archivio Parrocchiale di Crauglio, Archivio dell’Arcidiocesi Metropolita di Gorizia, Giorgio Longo, Giulio Tavian, Luca Sergio; Studio Pantanali di Aiello del Friuli; 132 note nella prima parte e 182 note nella seconda parte) saggiamente organizzato e curato in modo eccellente nei testi e nella grafica, è diviso in due parti maggiori: la Chiesa di Crauglio dal medioevo alla fine del XVII secolo e la Chiesa di Crauglio dal XVII al XXI secolo.

Il Catapano

Della prima parte è da sottolineare l’importanza assoluta della trascrizione e traduzione in italiano del Catapano (od obituario) della chiesa realizzate da Giulio Tavian.Questo importante libro (ne esistono pochi altri nell’Arcidiocesi di Gorizia), definito anche obituario in quanto conserva la memoria dei morti, aveva come caratteristica quella di trascrivere al suo interno le date, gli eventi, i lasciti testamentari, le messe fondate e i documenti più importanti di carattere amministrativo di una chiesa. In ogni caso lo scopo principale era quello di commemorare i fedeli defunti e perpetuare il culto dei santi.Questo libro, scrive Tavian (p. 35) “fu impiantato a Crauglio nel mese di luglio del 1594, forse su impulso del visitatore apostolico Francesco Barbaro. In realtà, esso non si è limitato a registrare alcuni necrologi e pii legati, ma è stato impiegato quale sedimento composito di trascrizione di documenti originali (bolle di consacrazione, strumenti di erezione, affittanze) di cui non si volevano perdere le tracce”. Il Catapano di Crauglio, dall’analisi eseguita, purtroppo risulta molto avaro di informazioni dettagliate e di notizie che si sarebbero dimostrate una fonte preziosa per la ricostruzione storica.Il volume venne compilato dal craugliese Ercole Partenopeo da Reana, figlio del notaio Giovanni Partenopeo, rogitante a Crauglio nello stesso anno (1594).Come spiega l’autore a pagina 36 “il codice manoscritto cartaceo di Crauglio, in discreto stato di conservazione, misura mm. 310×210. È stato confezionato con 61 carte rilegate con filo robusto e rinforzato, sui due capitelli, da altrettanti frammenti cartacei estrapolati da un foglio stampato a tetragrammi rossi e notazione quadrata provenienti da un messale. […] Il Catapano è scritto in una gotica libraria anacronistica con inchiostro rosso e nero di seppia. Il frontespizio (c. 2r) presenta un testo in latino vergato in rosso da copista e disposto a righe via via più corte a formare un triangolo rovesciato”. Questo frontespizio offre importanti notizie, in quanto indica che il Catapano venne realizzato sotto la Cameraria di Nicola I de Corneo detto Steffaneo, nell’anno 1594, e che al suo interno trovano spazio i defunti e particolari scritture dedicate a lasciti testamentari e alle confraternite di San Giacomo e San Sebastiano. Il Corneo fu una figura luminosa per la chiesa di Crauglio in quanto diede una svolta, nuovo slancio e nuovo corso all’amministrazione della chiesa, e concorse, probabilmente di tasca sua, all’ingrandimento dell’edificio di culto oltre che ad arricchire di nuove opere d’arte la chiesa “che egli dovette percepire quasi come una proprietà personale”.Una decina di mani hanno completato nei decenni il volume, la lingua prevalente è il latino anche se non mancano le annotazioni in volgare. Giulio Tavian preferisce presentare la traduzione italiana dei testi latini presenti nel Catapano per agevolare il lettore e lo studioso.

San Giovanni Nepomuceno

La seconda parte della pubblicazione si apre con la descrizione e l’attribuzione della statua di San Giovanni Nepomuceno, esistente sul vialetto che conduce alla chiesa di San Canciano. Il culto di questo santo inizia con la sua beatificazione avvenuta nel 1721 e la sua canonizzazione del 1729. Molte comunità si vollero dotare di questo simulacro, modellato sulla falsa riga della statua posizionata sul ponte San Carlo di Praga.La statua, secondo Tavian, potrebbe essere stata posizionata all’incirca nello stesso anno di quella della comunità di Aiello, nel 1754. Scrive l’autore a pagina 70 “la statua, alta circa un metro e modellata nel calcare di Aurisina, si presenta in posizione eretta, resa aggraziata da una discreta ricercatezza compositiva. Lo scultore, infatti, le conferisce una plastica dinamicità spingendo in avanti il ginocchio destro e arretrando il piede sottostante ad increspare la sinuosa veste talare che scende fino al piedistallo: si nota il gusto per i particolari decorativi nell’orlo della cotta, accuratamente traforato con trapano e scalpello”. San Giovanni porta in mano un crocifisso, sulla testa è posizionato il classico tricorno, il volto è barbuto, assorto e pacifico. Secondo Tavian l’opera si discosta molto dai modelli goriziani del Mazzoleni “in favore di una maggiore scioltezza”; novità è l’attribuzione della scultura a Giacomo Contieri senior (1676 – 1759) dalle cui mani uscirono le statue poste sulle facciate delle chiese di Perteole e Campolongo.

Campanile e Campane

A pagina 73 inizia il racconto puntuale sulla storia del campanile e delle campane della Chiesa di Crauglio. Dalle parole sempre molto attente e ricercate, ma anche colme di calore, si coglie una delle passioni di Giulio Tavian che sono proprio le campane e il suo essere scampanotadôr.Il cantiere della torre campanaria ebbe inizio nel 1683, in quanto si andava a sostituire una bifora a vela “ove erano state appese le due campane già segnalate dal Porcia” nella sua visita del 1570. Il campanile venne terminato tra il 1698 e il 1700. Nei due secoli successivi subì diversi restauri: nel 1804, 1811, 1812, 1814, 1827, 1836, 1875, 1876, 1891, 1919 e nel 1926. Le annotazioni documentarie presenti nell’Archivio storico parrocchiale, anche in questa sezione del libro, sono moltissime e danno un chiaro spaccato sulla realtà presente in Crauglio tra il XVII e il XIX secolo.Il campanile è alto 17 metri, nella cella campanaria sono presenti tre campane, censite dallo stesso Tavian il 21 novembre 2011. Nella monografia si ritrovano le descrizioni minuziose dei tre bronzi(pp. 76 – 77), fusi dalla ditta Francesco Broili di Gorizia e Udine e datati 1885 (grande), 1935 (mezzana), 1935 (piccola).

Gli altari laterali

Da pagina 85 a pagina 121, Giulio Tavian entra nel vivo della descrizione spiegando gli interni e le tante opere artistiche della chiesa di San Canciano.Molto interessante la descrizione degli altari laterali. Quello di sinistra (1695) conserva la dedicazione antica alla Visitazione di Maria a Santa Elisabetta. Come racconta Tavian “la costruzione dell’altare è ben documentata nel libro dei Conti del cameraro Pietro De Narda e testimonia che fu pagata dall’Amministrazione della Chiesa. Iniziò proprio nel 1695 quando furono condotti «cinque carri di pietra da Gorizia per l’altare» e «pagato la Barcha di Gorizia per li carri che furono a levare la pietra»”. L’altare, su probabile progetto pacassiano, venne montato da Domenico Tofoluto e costò in totale 720 lire e 8 soldi, come risulta dalle quietanze di pagamento versate tra il 1695 e il 1696. Nell’alzata è realizzata una nicchia nella quale è posta la Vergine del Rosario del 1902, statua realizzata a Ortisei in Valgardena, giunta il 21 di quello stesso anno a Crauglio e benedetta dal predicatore Giovanni Kren.L’altare laterale destro invece fu finanziato dalla confraternita dei Santi Sebastiano e Rocco che da almeno tre secoli ne deteneva il possesso. Anche questo altare è stato realizzato, con buona probabilità, su disegno di Giovanni Pacassi e portato a compimento dallo stesso Tofoluto “spaccapietra” tra il 1695 e il 1696. La pala posta nell’altare raffigura la Deposizione di Cristo tra I Santi Sebastiano e Rocco, commissionata nella prima metà del XVIII secolo dalla stessa confraternita; Giulio Tavian attribuisce l’opera, in via dubitativa, al pittore Antonio Paroli.A pagina 112 l’autore presenta l’altare maggiore della chiesa ricordando che nel 1742, in occasione della visita dell’arcidiacono di Gorizia Sertorio Del Mestri, erano stati spesi 120 Ducati per l’erezione del nuovo altare maggiore di marmo. Venne ultimato intorno al 1745 e fu consacrato dall’Arcivescovo Carlo Michele d’Attems il 4 ottobre 1766 ponendo al centro della mensa le reliquie dei Santi Ermacora e Fortunato.

Suppellettili liturgiche

Il volume si chiude con l’inventario generale delle suppellettili liturgiche (pp. 122 – 135). Si contano 39 oggetti inventariati compresi tra il XVII e il XX. Da segnalare quattro reliquiari compresi tra il XIX e il XX secolo, due ostensori moderni, una pisside del 1829, una croce d’altare del XVII secolo, tre croci astili del XVII secolo, un turibolo e navicella del 1829, un tronetto del 1837, due candelieri del 1878, alcune vesti liturgiche del XIX secolo, nonché i gonfaloni processionali.Il volume contiene un’infinità di ulteriori piccoli e grandi particolarità e spunti di riflessione che lasciamo, come si diceva un tempo, al “benigno lettore”. La comunità di Crauglio e tutta l’Arcidiocesi di Gorizia potrà godere di un’opera raffinata, meditata, profonda e completa che mette dei punti fermi ma dà modo di aprire ulteriori spunti di riflessione sulla storia complessa, multiforme e affascinante del Goriziano.