Campeggio in Val Canale

Il massimo a cui pensavamo per l’estate era un vero e proprio campeggio, che ad un certo punto avremmo voluto fare in montagna. Don Cesco, animatore del progetto, venne designato a reperire la località dell’eventuale residenza montana e a partire per rendersi conto sul posto della situazione. Come punto di riferimento venne individuata una colonia della “Pontificia” goriziana, l’ente che in diocesi si occupava delle colonie. Si trattava di una vecchia polveriera adattata a soggiorno per i ragazzi. Il complesso sorgeva alla fine della Val Saisera, nel Tarvisiano, in una zona molto bella, ai piedi del Montasio.Nel viaggio per raggiungere la meta designata avrei accompagnato io don Cesco, dal momento che, come figlio di ferroviere, viaggiavo con il biglietto gratuito. Arrivati lassù ci attendeva una bella scarpinata tra i boschi della valle, quando poi raggiungemmo la nostra meta, avemmo la bella sorpresa che per noi non c’era posto. Delusi e piuttosto avviliti riprendemmo la via del ritorno e per quel giorno che volgeva ormai alla fine riparammo a Valbruna. Qui il parroco ci ospitò nella sua canonica. Passammo la notte assieme, don Cesco ed io, in una cameretta, tra preghiere, tuoni e fulmini come non ne avevamo mai visti e sentiti: sembrava che i monti, incombenti attorno a noi, volessero precipitarci addosso. Al mattino seguente proseguimmo per la prossima tappa pieni di speranza, saremmo andati dal parroco di Ugovizza. Gli illustrammo la nostra situazione e questa volta le cose andarono per il verso giusto, riuscimmo a trovare una soluzione per il sognato soggiorno. Nell’abitato di Ugovizza ci vennero messi a disposizione i locali, non ultimati, di una futura latteria, si trattava di poco ma a noi bastava: avevamo trovato! anche se in un modo un po’ anomalo ed arrangiato…Una mattina partimmo, da Piazzutta, su un camion carico delle masserizie che ci sarebbero servite, dai materassi alla stufa per farci da mangiare. Noi, la parte giovanile della compagnia, venimmo sistemati e stipati in un breve spazio del cassone dell’automezzo, che appariva strapieno. Il viaggio fu bellissimo, perché dalla posizione che occupavamo vedevamo tutto, potemmo così osservare il panorama, soprattutto della parte più spettacolare dell’itinerario, quella tra i monti. Passammo persino davanti alla stazione di Carnia, luogo della mia nascita!Il soggiorno nell’incompiuto caseggiato che occupammo, da noi subito adattato ad alloggio, ci parve sin dall’inizio confortevole. Ci trovavamo ai margini dell’abitato del grazioso paese, all’inizio della strada che conduceva nella valle di Ugovizza, alla base del monte. Di là della strada scorreva un incanalato torrente, che poco distante formava una piccola cascata, tutte acque non balneabili, ma che verranno da noi utilizzate per diversi piccoli servizi. Non ci mancava nulla, persino la chiesa del villaggio era a portata di mano, perciò la nostra permanenza nella Valcanale, a settecento metri d’altezza, tra il verde e gli abeti, risultò davvero piacevole. Dalla nostra posizione, oltre ad ammirare la bellezza del luogo, partimmo per uscite quanto mai gratificanti, soprattutto sui monti più o meno circostanti. La cima più alta delle nostre ascensioni fu quella del “Cacciatore” sopra il Lussari, ma altre mete significative furono il “Jof di Miezegnot” e i “Due Pizzi”. Nella valle di Ugovizza salimmo ad una vecchia miniera, diventata soggiorno dell’AC, raggiungemmo la vetta del “Sagran” e sconfinammo persino in Austria! Subito fermati da due guardie di frontiera austriache, armate di un fucilone che non ammetteva obiezioni: quella dei due gendarmi fu un’avventura da poco che però in qualche modo ci spaventò, ci fece comunque capire come dovevamo comportarci da quelle parti.Davanti alla nostra latteria-campeggio era stato piantata un’asta sulla quale sventolava il tricolore ed una bandiera vaticana; alla base del pennone, al momento dell’alza e dell’ammaina bandiera, cantavamo l’inno nazionale ed un canto che ci aveva insegnato don Cesco inneggiante alla liberazione cristiana. Tra la prima e l’ultima esibizione canora trascorreva la nostra giornata, tra mille iniziative e le puntate verso le montagne. Non mancava mai comunque lo spirito religioso, che in ogni occasione rappresentava il sottofondo permanente del nostro agire, ma veniva anche curato in alcuni particolari momenti. Ci pensavano i don presenti tra noi, che li coltivavano con particolare cura. Del resto facevamo presto a raggiungere la chiesa a noi vicina, bastava attraversare un ponticello e fare pochi passi, qui assistevamo alla Messa o vi sostavamo, non solo per pregare, ma anche per ascoltare gl’insegnamenti che ci venivano impartiti dai nostri solerti e bravi assistenti. Infatti, come ogni nostra iniziativa anche il campeggio era stato pensato non solo per stare insieme e godere dei benefici della montagna, ma anche per arricchire la formazione spirituale ed interiore dei suoi partecipanti. Devo dire, che l’aspetto formativo e religioso ad Ugovizza venne ben curato e sortì anche i suoi effetti: alla fine eravamo diventati più robusti fisicamente, più entusiasti nello spirito, ma anche più ricchi di buoni propositi.Tra le escursioni che facemmo ve ne furono alcune speciali, volte a conoscere il Tarvisiano. Prima tra tutte la faticata ascesa al santuario del monte Lussari, in questo caso non solo per godere delle bellezze naturali, ma anche per onorare la Vergine e sostare un po’ in preghiera. Spettacolare ed istruttiva risultò a sua volta la gita ai laghi di Fusine e quella alle Cave del Predil e al vicino lago di Raibl. Un’altra uscita di un certo rilievo la compimmo a Malborghetto dove visitammo un complesso difensivo, completamente sotterraneo, che ci fece immergere sotto terra e visionare vari locali adibiti all’uso militare, al momento della nostra visita vuoti. L’immersione nelle viscere della terra servì anche a farmi prendere un bel mal di gola, visto il contrasto tra le temperatura esterna e il fresco delle gallerie… ma per fortuna lassù tutti i mali si guarivano presto!Il nostro soggiorno alpino terminò in modo degno e coerente con le cose buone che avevamo imparato. Dal momento che tra i rifornimenti che avevamo era avanzata una certa quantità di pasta decidemmo di portarla alla popolazione, che sapevamo affamata, di una località che si trovava appena di là del confine. Caricammo gli zaini e partimmo, raggiungendo la meta e distribuendo alle persone accorse alla nostra offerta alimentare ciò che avevamo portato. Capimmo che tanto era il bisogno di quei poveretti che offrimmo loro persino le merende che dovevano servire per noi. Venimmo in ogni modo ricambiati con del latte appena munto dalle mucche che i montanari del luogo allevavano, assaggiando così, per la prima volta, il latte… austriaco! La spedizione di soccorso oltre confine, terminata senza problemi, concluse il nostro soggiorno montano, a gloria della capacità operativa del gruppo dei giovani della parrocchia di Piazzutta. A casa tornammo con il nostro solito autocarro, carico del materiale che ci era egregiamente servito, solo lievemente logorato e noi, i soliti viaggiatori del camion, un po’ dispiaciuti e mogi, già malati di nostalgia.